Cassazione Penale, Sez. 4, 08 febbraio 2022, n. 4319 - Contatto della piattaforma con la linea elettrica aerea e morte del lavoratore. La posizione di garanzia deriva non dal fatto di essere datori di lavoro ma dal fatto di essere titolari della PLE

2022

Fatto


l. P.A. e P.M. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., perché, in cooperazione tra loro, nella loro veste di gestori della s.r.l. P. e titolari dell' impresa appaltatrice, P.A. anche quale responsabile dei lavori, sulla base del contratto di appalto, e direttore tecnico di cantiere; P.M. anche quale amministratore unico e legale rappresentante della società, entrambi quali datori di lavoro di fatto di I.A., lattoniere che lavorava "in nero", consentendo che il lavoratore operasse sul cestello di una piattaforma, per lo svolgimento delle mansioni a lui affidate, nonostante in prossimità vi fosse una linea elettrica aerea a media tensione (15 KW), con parti attive non protette o non sufficientemente protette, ad una distanza inferiore ai limiti di legge, di talché il lavoratore veniva inavvertitamente a contatto con la predetta linea elettrica, cagionavano il decesso dell'I.A..


2. I ricorrenti, con due ricorsi di analogo contenuto, deducono violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la ditta P. risultava essere investita solamente dell'organizzazione per il rifacimento del tetto e non risultava essere l'effettiva appaltatrice della lattoneria nè risultava essere il datore di lavoro, fittizio o reale o comunque di fatto, dell'I.A.. Il teste G. ha riferito che la piattaforma era stata collocata in loco ancora prima dell'inizio dei lavori ma P.A. aveva proibito l'utilizzo della piattaforma elevabile, per il quale occorreva uno specifico patentino, a IM. e a I.A., opponendosi alla loro presenza, in quanto soggetti privi dei requisiti minimi richiesti dalla normativa in tema di sicurezza sui cantieri. Fu il coimputato M., a cui faceva capo la ditta Olafer, a ingaggiare IM. e a distribuire i vari compiti sul luogo ove poi si è verificato l'incidente, incaricando IM. di rifare la lattoneria. Dunque IM. e I.A., che lavorava con IM., hanno eseguito lavori per la società del M. e non per la ditta P.. E infatti il teste ME, dipendente della società Olafer di M., ha riferito di aver visto I.A. e IM. sul luogo ove poi si sarebbe verificato l'incidente ancor prima dell'intervento della ditta P.. Il reale datore di lavoro di I.A. era IM., che era titolare di partita IVA e che aveva a disposizione strumenti, beni e mezzi per svolgere l'attività. Solamente per una ragione formale, la mancanza del DURC, IM. portò I.A. a lavorare presso la Olafer, senza assumerlo formalmente. E infatti fu IM. a presentare la ditta P. a M. e a fornire il materiale per il rifacimento della lattoneria, diverso tempo prima dell'infortunio. IM. era dunque il vero subappaltatore ingaggiato da M., nonché la persona che aveva determinato l'ingresso di I.A. sul cantiere e il reale ed effettivo datore di lavoro del medesimo, sulla base di quanto riferito in dibattimento dallo stesso IM.. Quest'ultimo ha dichiarato che, contravvenendo alle direttive dell' impresa titolare dell'utilizzo della piattaforma, ovvero della ditta P., aveva proceduto all'uso del suddetto macchinario in via del tutto autonoma.
2.1. I.A., comunque, ha contravvenuto alle direttive emanate dalla ditta P., titolare della piattaforma, della quale non era dipendente, in merito all'utilizzo della piattaforma stessa, usando il predetto macchinario con iniziativa del tutto autonoma e ponendo in essere una condotta esorbitante dal procedimento di lavoro, incompatibile con il sistema di lavorazione e inosservante delle disposizioni sulla sicurezza, con conseguente esclusione della responsabilità penale dei titolari della ditta P.
2.2. Ingiustificatamente, comunque, non è stata riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., poiché la ditta P. non era il soggetto giuridico per il quale I.A. prestava la propria attività lavorativa e P.A. aveva espressamente proibito ai dipendenti della società Olafer, in quanto sprovvisti di apposito patentino, l'utilizzo della piattaforma elevabile.
2.3. Carente è la motivazione anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo dato individuare i criteri che hanno determinato l'applicazione della pena erogata in concreto.
2.4. Anche in merito alle statuizioni civili la motivazione è carente, in considerazione della insussistenza di un'effettiva posizione di garanzia nonché di elementi che fondino la declaratoria di responsabilità.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.



Diritto




l. Il primo motivo è infondato. I ricorrenti muovono dall'assunto secondo cui la posizione di garanzia sulla quale si fonda l'addebito si riconnette alla qualità di datore di lavoro della vittima e dunque propongono, con un ampio apparato argomentativo, la tesi che essi non rivestivano tale qualità. Ma la posizione di garanzia su cui si basa la contestazione non si ricollega affatto alla qualità di datori di lavoro della vittima ma a quella di titolari della piattaforma e, per quanto riguarda P.A., anche di direttore tecnico di cantiere.
Orbene, che gli imputati avessero la disponibilità, giuridica e di fatto, della piattaforma interessata all’infortunio é da considerarsi incontroverso, in quanto ciò e ammesso dagli stessi ricorrenti, i quali, infatti, assumono, nell'ottica della censura che verrà analizzata in prosieguo, che il lavoratore, utilizzando la piattaforma, abbia trasgredito alle direttive emanate dalla ditta P., in qualità, per l’appunto, di titolare della piattaforma stessa. E, nella stessa prospettiva, il giudice a quo sottolinea che la piattaforma in esame era stata noleggiata dalla ditta P. Costruzioni presso la DM Noleggi di Vittuone.
Dunque è pacifico che la piattaforma fosse nella disponibilità giuridica e fattuale degli imputati. Per di più, come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, P.A. era direttore tecnico di cantiere. In tale qualità, gli imputati avrebbero dovuto vigilare affinchè operatori non abilitati e non in possesso del necessario bagaglio tecnico ed esperienziale non utilizzassero il macchinario. E infatti il giudice a quo ha cura di sottolineare che dalla testimonianza resa da Ca. era emerso che, per utilizzare questa piattaforma, bisognava essere esperti e quindi dotati di un'adeguata formazione e di uno specifico patentino. E non vi é dubbio, secondo quanto chiarito dalla Corte territoriale, che l'I.A. non ne fosse in possesso e che, più in generale, egli non fosse un esperto di piattaforma PLE. Né pub assumere rilievo quanto dedotto dai ricorrenti in ordine alla circostanza che P.A. avesse proibito l‘utilizzo della piattaforma elevabile a IM. e a I.A., opponendosi alla loro presenza. Tale asserto é smentito da quanto affermato dal giudice a quo, secondo cui P.A., a cui era stato affidato il cantiere, era perfettamente consapevole di aver bisogno di un lattoniere per dare esecuzione all'appalto e di non averne uno tra i suoi dipendenti. Per questo affidò all'I.A., che era un lattoniere, un compito tipico delle mansioni di tale figura. Ma quand'anche fosse corretto, in punto di fatto, l’asserto formulato dai ricorrenti non avrebbe comunque rilievo sul piano giuridico, poiché il garante non pub limitarsi a emettere direttive in merito all'osservanza delle normative in materia antinfortunistica ma deve anche adeguatamente vigilare sull'esatta ed effettiva ottemperanza alle disposizioni emanate, nel concreto esplicarsi dell’attività lavorativa, tanto più che, come risulta dall’apparato argomentativo della pronuncia impugnata, P.A. era presente in cantiere al momento dell’infortunio. Nonostante ciò l'imputato consentì ad I.A. di espletare un compito che viene connotato in termini di obiettiva pericolosità dal giudice a quo, il quale pone in rilievo che l’I.A., privo di dispositivi di protezione, salì ad una altezza di circa 8 metri, ad una distanza di circa un metro e mezzo rispetto alla linea elettrica, con un conseguente elevato rischio di urtare il cavo, come poi avvenne.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento. Il comportamento del lavoratore può essere ritenuto abnorme allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267 del 10-11-2009, Rv. 246695). È dunque abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli ( Cass., Sez. 4, n. 23292 del 28-4-2011, Rv. 250710) o che abbia espletato un incombente che, anche se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell'ambito del ciclo produttivo (Cass., Sez. 4, n. 7985 del 10-10- 2013, Rv. 259313) .
2.1. Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che dalla testimonianza di un altro lavoratore, G., si evince che, il giorno dell'infortunio, I.A., doveva "prendere delle misure" per i lavori di lattoneria sul tetto del capannone e per questo salì sul cestello, insieme al muratore G., e, manovrando il cestello, salirono tutti e due. I.A. prese queste misure ma, prima di scendere, si avvicinò ai cavi e rimase fulminato. Dunque il lavoratore si infortunò durante l'espletamento di incombenti rientranti appieno nelle sue mansioni. Di qui la conclusione secondo la quale non può ravvisarsi abnormità del comportamento del lavoratore.
Tale conclusione è del tutto conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa in ordine all'assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori , poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161). Da ciò consegue che non può essere ravvisata, nel caso di specie, interruzione del nesso causale. L'operatività dell'art. 41, comma 2, cod. pen. è infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non può, pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a quella del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). L'interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione. In questi casi, è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202). Ma abbiamo visto come, nel caso in disamina, l'operazione che stava effettuando il lavoratore rientrasse appieno nelle sue attribuzioni. Si esula pertanto dall'ambito applicativo dell'art. 41, comma 2, cod. pen.

3. Anche la censura concernente l'applicazione dell'art. 114 cod. pen. è infondata. Ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante del contributo di minima importanza, il giudice deve comparare contributi dei vari concorrenti, effettuando una valutazione delle condotte di ciascuno (Cass., Sez. 4, n. 1218 del 9-10-2008, Rv. 242388). La predetta attenuante è infatti configurabile quando l'apporto del concorrente non abbia avuto soltanto una minore rilevanza causale rispetto alla partecipazione degli altri concorrenti ma abbia assunto un'importanza obiettivamente marginale, ossia un'efficienza eziologica così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'iter criminis ( Cass., Sez. 1, n. 26031 del 13-6-2013, Rv. 256035; Sez. 6, n. 24571 del 20- 6- 2012, Rv. 253091). Si è infatti sottolineato, in giurisprudenza, che l'attenuante non può trovare applicazione sulla base di una semplice graduazione della gravità delle condotte ma comporta un esame dell'apporto causale di queste ultime (Cass., Sez. 5, n. 40092 del 7--11-2011, Rv. 251121). Nel caso in esame, il giudice a quo ha posto in rilievo l'estrema pericolosità della situazione esistente nel cantiere allestito dagli imputati, con lavoratori che operavano in quota, in prossimità di cavi dell'alta tensione, onde l'apporto arrecato dagli imputati nella vicenda in esame, caratterizzato dalla grave omissione di cautele doverose non può essere considerato di minima importanza: trattasi di motivazione del tutto congrua ed esente da vizi logico-giuridici.

4. Le determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione immune da vizi logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è senz'altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento alla notevole gravità del fatto e al significativo grado di colpa di entrambi gli imputati, che avevano acconsentito allo svolgimento della prestazione lavorativa in condizioni di estrema pericolosità, nonchè ai precedenti per violazione di norme antinfortunistiche da cui ambedue gli imputati sono gravati.

5. L'ultima doglianza, concernente le statuizioni civili, non è supportata da autonome argomentazioni, avendo il ricorrente richiamato le censure formulate a proposito dell'insussistenza di una effettiva posizione di garanzia e della carenza di profili di cooperazione colposa e di responsabilità nella causazione dell'evento, onde, in assenza di argomentazioni ulteriori o diverse, sono da richiamarsi le osservazioni formulate ai paragrafi precedenti a proposito delle predette censure.

6. I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.



PQM


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 16.11.2021


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