I ruoli individuati dal T.U.s  81/2008

LA RESPONSABILITÀ IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO IN EDILIZIA

Il legislatore, con il Testo Unico approvato con il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, successivamente modificato con il decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, ha elaborato una disciplina organica in materia di sicurezza sul lavoro, fornendo la definizione e disciplina delle figure che svolgono un ruolo significativo all’interno dell’impresa.
 
Il settore dell’edilizia rappresenta da sempre uno dei settori produttivi maggiormente coinvolti nell’applicazione delle misure di sicurezza necessarie a garantire la tutela dei lavoratori, con particolare riferimento alle attività svolte nell’ambito dei cantieri di lavori pubblici e privati.
 
In tale ottica, l’Ance è da tempo impegnata nella diffusione della “cultura della sicurezza” attraverso la promozione della prevenzione e del rispetto delle regole finalizzate a tutelare i lavoratori presso le proprie Associazioni territoriali e le imprese associate.
 
Per tale ragione, l’Ance ritiene opportuno riformulare la propria pubblicazione in materia di tutela della sicurezza, alla luce del rinnovato assetto normativo. Per maggior chiarezza si è ritenuto opportuno organizzare la struttura del presente lavoro approfondendo le figure rilevanti, ai fini della sicurezza, dapprima nell’ambito di una generica organizzazione aziendale e poi con specifico riferimento alle imprese edili. Ciò con il primario obiettivo di fornire uno strumento adeguato a chiarire i delicati profili di responsabilità che coinvolgono le figure ricoprenti ruoli significativi all’interno dell’impresa e dei cantieri. 

1. Le figure previste dal Testo Unico sicurezza e le relative posizioni di garanzia

La disciplina del Testo Unico riguarda la gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro con riferimento a tutti i settori di attività. Sono pertanto individuate alcune figure che ricoprono ruoli significativi all’interno dell’impresa cui sono riconnessi rilevanti profili di responsabilità.

Tali ruoli significativi comportano la titolarità di “posizioni di garanzia”, rispetto all’incolumità fisica e psichica dei lavoratori, derivanti dal complesso di norme che disciplinano la materia antinfortunistica. Dette posizioni di garanzia comportano l’obbligo di predisporre le idonee misure di sicurezza e di impedire il verificarsi di eventi lesivi per i lavoratori, conseguendo all’eventuale omissione delle misure di sicurezza e al mancato rispetto degli obblighi di prevenzione la responsabilità penale personale del titolare.

Si ritiene dunque opportuno individuare e delimitare le figure rilevanti, al fine di specificarne i relativi ambiti di responsabilità.

1.1 Il datore di lavoro
L’art. 2, comma 1 lettera b) del Testo Unico descrive il datore di lavoro come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Sulla base della norma richiamata, si possono enucleare tre definizioni di datore di lavoro: 1) il datore di lavoro in senso civilistico, ossia colui che sul piano formale ha stipulato il contratto di lavoro con il lavoratore ai sensi dell’art. 2082 c.c.; 2) il datore di lavoro delegato, ossia il soggetto cui sono delegate entro certi limiti le funzioni di datore di lavoro; 3) il datore di lavoro di fatto, ossia colui che in base al principio di effettività ricopre detto ruolo, avendone i necessari poteri decisionali e di spesa.
In una stessa impresa è possibile che più persone possano essere contemporaneamente individuate quali datori di lavoro, su ciascuna delle quali ricadono le responsabilità penali del datore di lavoro stesso. Si pensi, ad esempio, al caso di una società composta da due soci di cui uno riveste la carica di amministratore unico e l’altro mantiene comunque poteri decisionali. Al fine di evitare la doppia responsabilità penale, è opportuno definire, tramite documenti scritti, i compiti di ciascun componente del vertice aziendale, o meglio, individuare il responsabile dell’attuazione delle norme di sicurezza.
La riconducibilità di un soggetto, che opera all’interno di una struttura organizzativa, ad una delle tre definizioni di datore di lavoro prospettate, fa sorgere in capo allo stesso la qualifica di soggetto attivo dei reati. Inoltre, in caso di pluralità di unità produttive si avranno tanti datori di lavoro titolari di posizioni di garanzia quante sono le unità produttive e ciascuno di loro sarà autonomamente destinatario delle prescrizioni previste dalla legge.

Si evidenzia, in particolare, la rilevanza attribuita dal legislatore all’esercizio di fatto delle funzioni direttive. Ciò emerge sia dalla definizione sopra riportata di “datore di lavoro”, in cui l’utilizzo dell’avverbio “comunque” pone l’accento sulla necessaria sussistenza di poteri effettivi decisionali e di spesa, sia dalla generale previsione dell’art. 299 del Testo Unico, ai sensi della quale le posizioni di garanzia relative ai soggetti rilevanti (datore, dirigente e preposto) gravano altresì su coloro i quali, pur sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascun ruolo.

Delimitata così la figura del datore di lavoro, occorre chiarire quali siano gli obblighi gravanti sullo stesso.

Tale funzione ha il suo momento essenziale per la sicurezza dell’impresa nella valutazione dei rischi, che si traduce nella predisposizione del relativo documento di valutazione, attività peraltro non delegabile. Con tale documento sono individuati i rischi connessi all’attività della struttura e indicate le misure di prevenzione e protezione idonee a tutelare i lavoratori rispetto a tali rischi, nonché il programma per garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza.

Il datore di lavoro deve poi attuare le misure volte ad eliminare i rischi e deve provvedere a dare adeguata informazione ai lavoratori, nonché a svolgere la formazione necessaria a trasferire ai lavoratori le conoscenze per la gestione dei rischi.

Infine, compete al datore di lavoro l’obbligo di vigilanza e controllo sull’effettiva osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni di sicurezza impartite. Più in generale, come si specificherà meglio nel capitolo dedicato alla delega di funzione, spetta al datore di lavoro un generale obbligo di vigilanza sull’attuazione complessiva del sistema di sicurezza e sull’attività svolta dai soggetti delegati.

Al di là degli obblighi specifici gravanti sul datore di lavoro, deve ricordarsi la sussistenza di una norma di chiusura, rappresentata dall’art. 2087 c.c., che impone in via generale al datore di salvaguardare l’integrità psico-fisica del lavoratore. Infatti, la giurisprudenza penale utilizza spesso tale disposizione, ponendola a fondamento della responsabilità del datore di lavoro per violazione di obblighi generali di diligenza, anche in casi in cui non ricorra la violazione di specifiche norme cautelari.

1.2 Il dirigente
L’articolo 2, comma 1, lettera d) del Testo Unico descrive il dirigente come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando sulla stessa”.

Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il dirigente sia in possesso di adeguate competenze professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro. Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che il fulcro dell’attività svolta dal dirigente sta nel potere organizzativo dell’attività lavorativa e nel dovere di vigilanza sulla stessa. Egli, in sostanza, è l’alter ego del datore di lavoro, in quanto svolge funzioni gestionali ed organizzative, nella conduzione dell’azienda, espressamente conferite dal datore di lavoro, attuando le direttive da quest’ultimo impartite.

Pertanto, a differenza del datore di lavoro, che ha la responsabilità dell’organizzazione dell’azienda o dell’unità produttiva in virtù di generali poteri decisionali e di spesa, il dirigente dirige l’attività produttiva dell’azienda, o di singoli stabilimenti o reparti, senza disporre di poteri decisionali e finanziari riguardanti la gestione complessiva dell’azienda.

Rientrano, dunque, in questa categoria coloro che sono preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto della stessa, quali: i direttori tecnici o amministrativi, i capi ufficio ed i capi reparto.
Anche per i dirigenti, peraltro, come per i datori di lavoro, vale il principio dell’effettività delle funzioni esercitate, nel senso che dirigente sarà colui che di fatto dirige l’attività, anche se sprovvisto della qualifica formale.

Sempre in base al principio di effettività, il dirigente non deve essere necessariamente inquadrato contrattualmente nella categoria dei dirigenti ma è essenziale che svolga, all’interno dell’impresa, come dipendente o come soggetto legato al datore di lavoro da un rapporto professionale, le funzioni tipiche del dirigente.

L’articolo 18 del Testo Unico pone quali comportamenti a carico del datore di lavoro e dei dirigenti una lunga serie di obblighi in materia di sicurezza. Infatti, fatta salva la predisposizione del documento di sicurezza e la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, che rientrano tra gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, al dirigente competono, secondo le attribuzioni a lui conferite, gli stessi obblighi sulla sicurezza che fanno carico al datore di lavoro.

Il dirigente, dunque, è uno dei soggetti titolari di “posizioni di garanzia”, in quanto è destinatario degli obblighi di sicurezza iure proprio, cioè in via diretta, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc da parte del datore di lavoro. Egli, pertanto, per il fatto stesso di essere, formalmente o in via di fatto, nella posizione di chi dirige l’attività lavorativa di altri soggetti, è tenuto, al pari del datore di lavoro, a predisporre nel settore di propria competenza tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare i lavoratori, i quali devono essere adeguatamente informati e addestrati in merito alle corrette modalità attuative.

E’ chiaro, tuttavia, che gli obblighi di cui all’articolo 18 fanno carico a quei dirigenti cui competono obblighi di sicurezza, come ad esempio un capo ufficio, un capo reparto, o un direttore di cantiere, dovendosi escludere la responsabilità di dirigenti che svolgono mansioni, ad esempio commerciali o amministrative, il cui esercizio non implichi la tutela della sicurezza.

L’articolo 18 del Testo Unico riferisce gli obblighi di sicurezza ai dirigenti che svolgono attività di organizzazione e direzione “secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite”. Ovviamente, il contenuto delle attribuzioni e competenze dei dirigenti varia da azienda ad azienda, essendo il singolo datore di lavoro, titolare del potere organizzativo primario, a definire le porzioni di potere organizzativo che i dirigenti sono concretamente chiamati ad esercitare. Di conseguenza, è tale ripartizione interna di competenze, effettuata dal datore di lavoro attraverso il conferimento di specifico incarico, a delineare i confini entro i quali i dirigenti devono esercitare i compiti di prevenzione ad essi attribuiti dalla legge.

Il conferimento di tale incarico, tuttavia, è necessario unicamente al fine di trasferire al dirigente quei poteri di direzione ed organizzazione, il cui effettivo esercizio comporta ex se il rispetto degli obblighi di sicurezza. L’incarico, infatti, nulla aggiunge ai fini del rispetto degli obblighi di prevenzione che, come visto, competono ai dirigenti iure proprio, come conseguenza diretta dell’esercizio dei poteri direttivi ed organizzativi, e dunque a prescindere dall’esistenza di una delega specifica in materia di sicurezza

Ovviamente nulla esclude che, ai compiti relativi alla sicurezza compresi nelle funzioni dirigenziali originariamente conferite, il datore di lavoro decida di aggiungerne altri, ulteriori rispetto ai primi, delegando in tal senso il dirigente attraverso uno specifico atto di delega di funzioni.


1.3 Il preposto
L’articolo 2, comma 1, lettera e) del Testo Unico descrive il preposto come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Dalla definizione normativa emerge l’esigenza che il preposto sia in possesso di adeguate competenze professionali in materia di sicurezza, la cui verifica compete al datore di lavoro.
Dalla nozione contenuta nella norma emerge, altresì, che quella del preposto è una figura professionale che si colloca, nella struttura organizzativa dell’impresa, in posizione intermedia tra i dirigenti e gli altri lavoratori. Infatti, spetta al preposto curare l’attuazione da parte dei lavoratori delle direttive impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e verificarne l’esatta applicazione, anche mediante l’esercizio di un potere di iniziativa, funzionale alla concreta attuazione degli ordini e delle istruzioni ricevute.

Come per il dirigente, anche per il preposto l’individuazione all’interno della struttura aziendale deve essere fatta alla luce del principio di effettività. Soprattutto per la figura del preposto, infatti, vi è spesso l’assenza di una investitura formale, per cui occorre guardare alle mansioni effettivamente svolte all’interno dell’impresa, con particolare riferimento all’attività di controllo circa il rispetto delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori.

L’articolo 19 del Testo Unico pone a carico del preposto una serie di compiti specifici, che si sostanziano, fondamentalmente, nell’obbligo di vigilare sulle prestazioni lavorative dei dipendenti, al fine di verificarne la conformità rispetto alle prescrizioni in materia di salute e sicurezza.

Il preposto, infatti, deve sovrintendere e vigilare sulla osservanza, da parte dei lavoratori, degli obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di uso di mezzi di protezione, informando, in caso di persistenza della inosservanza, i diretti superiori dei lavoratori. Inoltre, deve informare tempestivamente il personale delle situazioni di rischio cui sia esposto, indicando le misure di protezione da adottare, e deve segnalare al datore di lavoro o al dirigente eventuali carenze riscontrate nelle attrezzature di lavoro e nei dispositivi di protezione individuale, nonché ogni altra situazione di pericolo della quale venga a conoscenza.

Come il dirigente, anche il preposto è titolare di una posizione di garanzia, in quanto l’articolo 19 pone a carico dello stesso una serie di obblighi specifici in materia di sicurezza, della cui mancata attuazione egli è direttamente responsabile. E’ evidente, tuttavia, che, se per effetto di delega o in via di fatto, il preposto assume una posizione di vertice all’interno dell’impresa, dirigendo il lavoro dei dipendenti, organizzandolo ed impartendo egli stesso ordini e direttive, sullo stesso gravano anche i medesimi obblighi e le medesime responsabilità che in materia di sicurezza competono al datore di lavoro e al dirigente.

In ogni caso, il datore di lavoro, che riveste all’interno dell’impresa una posizione centrale di garanzia, nell’esercizio dei poteri di vigilanza ad esso spettanti deve controllare anche l’operato del preposto. Pertanto, nel caso in cui si siano instaurate nell’esercizio dell’attività lavorativa prassi in contrasto con le misure di sicurezza, con il consenso del preposto, in caso di eventuale infortunio sul lavoro, il datore di lavoro potrà rispondere per omessa sorveglianza, in concorso con il preposto stesso. Infatti, in assenza di una delega espressamente e formalmente conferita al preposto, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, al preposto non competono gli obblighi e le responsabilità specifiche del datore di lavoro o del dirigente, il quale, dunque, deve verificare, attraverso idonee forme di vigilanza, che il rispetto delle misure di sicurezza sia adeguatamente adempiuto da parte dei preposti.
Infine, va rilevato che la presenza di un preposto non esime da responsabilità il dirigente, in caso di inosservanza delle norme in materia di sicurezza. Entrambi, infatti, sono titolari di autonome posizioni di garanzia, seppure a distinti livelli di responsabilità.

1.4 Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione
L’articolo 2, comma 1, lettera f) del Testo Unico descrive il responsabile del servizio di prevenzione e protezione come “la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.

Dalla nozione contenuta nella norma discende che quella in esame è una figura particolarmente importante ai fini della tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, in quanto si tratta del soggetto chiamato, all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, a collaborare con il datore di lavoro al fine di verificare l’adeguatezza delle misure antinfortunistiche adottate.

La nomina del responsabile del servizio di prevenzione rappresenta, peraltro, uno degli adempimenti più significativi che fanno carico al datore di lavoro, tanto da rientrare tra gli obblighi non delegabili, insieme alla valutazione dei rischi e alla redazione del relativo documento.

Il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione può essere sia un soggetto esterno che un soggetto interno all’azienda o all’unità produttiva e, dunque, può trattarsi anche di un lavoratore, purché munito delle capacità e dei requisiti professionali richiesti dalla legge per lo svolgimento di tale delicato incarico. Infatti, deve trattarsi di soggetti provvisti di competenze tecniche e professionali adeguate a garantire un’idonea capacità di svolgimento dell’incarico, anche alla luce della natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro.

L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione è comunque obbligatoria all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva nei casi di cui al comma 6 dell’articolo 31 del Testo Unico, come ad esempio nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori. Inoltre, nei casi previsti dall’articolo 34, tra i quali rientrano le aziende industriali (quali le imprese edili) fino a 30 lavoratori, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione.

L’articolo 33 del Testo Unico definisce i compiti spettanti al servizio di prevenzione che consistono, fondamentalmente, nella individuazione dei fattori di rischio e nella elaborazione di adeguate misure di prevenzione e di sicurezza, nonché nella proposizione di programmi di informazione e formazione per i lavoratori.

Dall’analisi dei compiti descritti emerge che al responsabile e agli addetti al servizio di prevenzione e protezione competono essenzialmente una funzione di consulenza a favore del datore di lavoro, senza autonomi poteri decisionali ed operativi. Per tale ragione, la collaborazione prestata da questi soggetti rispetto al datore di lavoro, non dà luogo di per sé a specifiche responsabilità penali.

Coerentemente con il ruolo consultivo svolto, infatti, il responsabile e gli addetti al servizio di prevenzione e protezione non rivestono alcuna posizione di garanzia e, dunque, non rientrano tra i soggetti chiamati a rispondere direttamente del loro operato; tanto è vero che il Testo Unico sulla sicurezza, diversamente da quanto previsto per il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto, non contempla alcuna sanzione penale a loro carico.

Naturalmente, il fatto che il legislatore non abbia previsto delle responsabilità dirette a carico di tali soggetti, non significa che questi non debbano rispondere in caso di inosservanza dei compiti loro attribuiti, soprattutto in caso di infortuni sul lavoro. Infatti, nelle ipotesi in cui l’evento lesivo a danno del lavoratore sia direttamente riconducibile ad un errore di valutazione del consulente e/o alla mancata segnalazione al datore di lavoro di carenze, rispetto a quanto previsto nel documento di valutazione dei rischi e rilevate nel corso della sua attività, il consulente stesso potrà essere chiamato a rispondere, anche se l’infortunio non è conseguenza di una specifica violazione da parte dello stesso delle norme in materia di sicurezza.

In tali circostanze, infatti, il comportamento del responsabile del servizio di prevenzione concorre comunque alla produzione dell’evento lesivo e, di conseguenza, il soggetto potrà essere sottoposto a sanzione penale per i reati di lesione o di omicidio colposo conseguenti all’infortunio verificatosi. In simili ipotesi, peraltro, non è da escludere che anche il datore di lavoro possa essere chiamato a rispondere per colpa in eligendo o in vigilando, almeno nei casi in cui l’errore di valutazione del consulente sia palesemente riscontrabile, e dunque tale da essere percepito dal datore di lavoro anche in assenza di competenze tecnico-professionali specifiche.

Infine, è del tutto evidente che, nei casi in cui il soggetto designato quale responsabile del servizio di prevenzione, svolga di fatto anche il ruolo di datore di lavoro, dirigente o preposto, in base al principio di effettività che regola la materia della sicurezza, incomberanno sullo stesso anche gli obblighi che fanno tipicamente capo a tali figure.

La delega di funzioni

La complessità strutturale delle imprese pone sovente la necessità di individuare la singola persona fisica alla quale attribuire la responsabilità per un fatto penalmente rilevante. La norma penale individua come responsabile colui il quale riveste all’interno dell’organigramma societario una posizione apicale, considerato che il soggetto posto al vertice dell’impresa è colui che gode del più ampio potere decisionale, determinando ed indirizzando l’operato dell’azienda.

Tuttavia, i soggetti destinatari di obblighi penalmente sanzionati si trovano spesso nell’oggettiva impossibilità di fare fronte ai molteplici adempimenti su di essi gravanti. Da qui la necessità per i vertici aziendali di avvalersi dell’operato di altri soggetti dotati di competenza qualificata in grado di sostituire od affiancare i vertici aziendali nell’adempimento degli obblighi previsti dalla legge.

Il fenomeno di ripartizione organizzativa viene comunemente denominato “delega di funzioni”, per indicare l’attribuzione di autonomi poteri decisionali ad un soggetto che non ne sia titolare. Con essa dunque si trasferiscono compiti originariamente gravanti sul soggetto posto in posizione apicale a soggetti materialmente e tecnicamente capaci di adempierli, rendendo così il sistema più efficiente.

Tenuto conto di tale fenomeno, secondo la tesi maggiormente seguita in giurisprudenza, per individuare nel complesso aziendale i soggetti titolari di posizioni di garanzia occorre tenere conto sia della qualifica formalmente spettante al soggetto, sia delle funzioni concretamente svolte (c.d. teoria organica).

In sostanza vi sono due livelli di indagine: 1) la ripartizione degli obblighi da parte della legge, in base alle qualifiche ricoperte e alle mansioni svolte di fatto; 2) il trasferimento a terzi di obblighi originariamente diretti ad un determinato soggetto.

L’esistenza dunque della delega di funzioni può consentire di individuare un’autonoma posizione di garanzia. Tuttavia, la questione fondamentale è stabilire quali siano gli effetti della delega rispetto alla posizione ricoperta dal soggetto su cui gravano gli obblighi in base alla legge.

Al riguardo, l’orientamento prevalente ritiene che l’obbligo gravante sul soggetto delegante qualificato non viene meno con la delega, ma si trasforma in un obbligo di vigilanza sul delegato, ossia nell’obbligo di controllare le modalità di esecuzione dei compiti del delegato e di intervenire allorché si venga a conoscenza di qualsiasi violazione suscettibile di essere impedita.

In buona sostanza, la delega non libera interamente il delegante, considerato che l’obbligo originario si trasforma in obbligo di vigilanza e di controllo sull’adempimento dell’incarico da parte del delegato, obbligo della cui omissione il primo risponde in quanto con il proprio comportamento omissivo non abbia impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire (art. 40, comma 2 c.p.).

Tale posizione risulta accolta dal legislatore nel D. Lgs. n. 81/2008, all’art. 16, comma 3, laddove prevede che “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”.

Si può pertanto ritenere che l’effetto della delega sia quello di costituire una nuova posizione di garanzia in capo al delegato, non potendosi ravvisare una sostituzione del soggetto responsabile, bensì un affiancamento di un nuovo responsabile a colui che lo era originariamente. Quest’ultimo vede mutare il contenuto della sua posizione di garanzia da obbligo di osservanza diretta della prescrizione normativa in obbligo di vigilanza sull’adempimento del delegato.

Deve infine evidenziarsi che, ai fini della sicurezza, la delega non può sortire alcun effetto rispetto a quei compiti che la legge considera non delegabili, dovendo essere assolti personalmente dal titolare della posizione di garanzia. Si tratta, in particolare, della valutazione dei rischi e dell’elaborazione del relativo documento, nonché della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (art. 17 D.Lgs. n. 81/2008), che la norma pone a carico esclusivamente del datore di lavoro.

2.1 I requisiti di validità
L’art. 16 del D.Lgs. n. 81/2008 individua i requisiti essenziali affinché la delega di funzioni possa ritenersi efficace. Detti requisiti sono sia relativi all’atto sia relativi al contenuto.

Sul piano formale, è necessario che sussista:
a. atto di delega scritto recante data certa;
b. accettazione per iscritto del delegato;
c. adeguata e tempestiva pubblicità della delega.

Sul piano sostanziale, occorre che la delega sia effettuata nei seguenti termini:
a. a soggetto delegato in possesso di requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
b. con attribuzione di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
c. con attribuzione dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.

Quanto agli oneri formali si ritiene che, pur non essendo richiesto l’atto pubblico, la necessità che la delega abbia data certa comporta l’esigenza di effettuare normalmente la sottoscrizione autenticata della firma in calce alla delega ed alla relativa accettazione. La scelta del legislatore è peraltro comprensibile alla luce della necessità di conseguire la certezza circa l’efficacia della delega, trattandosi di individuare con precisione i soggetti responsabili sul piano penale in relazione al momento di consumazione del reato.

L’accettazione può essere effettuata sia contestualmente, e perciò in calce all’atto di delega, sia con atto successivo con le forme richieste per la delega da comunicarsi al delegante (atto recettizio).

Quanto alla necessaria pubblicità della delega, si ritiene che tale profilo attenga alla diffusione della stessa nell’ambito dell’organizzazione aziendale, di modo che possano essere immediatamente riconoscibili, per coloro che operano all’interno dell’organizzazione e per i terzi che vengano a contatto con la stessa, i soggetti preposti a determinate funzioni.

In merito ai requisiti di professionalità ed esperienza richiesti in capo al soggetto delegato, il Testo Unico non specifica quali debbano essere. Ciò dipende dalla molteplicità di ambiti e funzioni in cui può operare la delega: si tratta evidentemente di valutare i titoli e l’esperienza del singolo in relazione all’attività svolta dall’organizzazione aziendale nel suo complesso ed allo specifico settore affidato alla competenza del delegato. Tale valutazione deve essere necessariamente svolta ex ante, in base ad un giudizio di idoneità ed adeguatezza, che lasci supporre un margine di ragionevole sicurezza in ordine al corretto adempimento dei compiti attribuiti.

Al riguardo, si ritiene che, nell’ambito della responsabilità del datore di lavoro, sussista anche quella relativa alla scelta di soggetto inadeguato rispetto ai compiti trasferiti (culpa in eligendo), così come non può esimersi da responsabilità il delegato che abbia accettato la delega pur non possedendo adeguate conoscenze e capacità nel settore di riferimento (colpa per imperizia).

Per quanto concerne il contenuto della delega, il delegato deve godere di ampi poteri decisionali oltre che di adeguati poteri di spesa commisurati al tipo di attività delegata ed al tipo di interventi che si possono rendere necessari.

L’autonomia decisionale ed organizzativa costituisce, infatti, elemento coessenziale all’istituto della delega di funzioni, dovendosi in assenza della stessa parlare piuttosto di “delega di esecuzione”, caratterizzata dalla circostanza che il titolare della posizione di garanzia si sia limitato ad affidare ad un subordinato compiti meramente esecutivi delle proprie decisioni.

Pertanto, laddove il delegato non sia dotato di alcuna autonomia decisionale, il delegante mantiene la propria originaria posizione di garanzia e rimane il diretto destinatario della norma penale.

Nella delega di funzioni, il delegato deve poi avere la necessaria autonomia di spesa, deve cioè essere messo nelle condizioni di gestire il settore o il servizio delegatogli anche sotto il profilo economico della disponibilità dei mezzi.

Se dunque la violazione normativa è frutto della scelta di politica generale operata dall’impresa ovvero dell’assenza di potere di spesa per un budget inidoneo ai compiti attribuiti, il delegato non può essere ritenuto responsabile ed il delegante mantiene intatta la propria originaria posizione di garanzia. Tuttavia, occorre tenere presente che il delegato che ritenga di non essere posto in grado di svolgere le funzioni delegate per mancanza dei fondi necessari deve chiedere al delegante di essere posto in grado di svolgerle e, in caso di diniego o mancato adempimento, deve rifiutare il conferimento della delega ovvero rimettere la stessa al delegante. In caso contrario, infatti, può configurarsi a carico del delegato la responsabilità per l’evento che dovesse verificarsi a cagione delle omissioni rilevanti.



2.2 La posizione del delegante
Come già evidenziato, il delegante non può attraverso la delega di funzioni escludere in toto la propria responsabilità sul piano penale. La sua posizione di garanzia, lungi dall’essere esclusa e sostituita da quella del delegato, si riduce di contenuto. Sussiste, infatti, in capo al delegante l’obbligo di assicurare un idoneo sistema di controllo sull’attività del delegato, al fine di non incorrere in responsabilità per culpa in vigilando, così come espressamente richiesto dall’art. 16, comma 3 del Testo Unico.

In assenza di un idoneo sistema di controllo, il delegante risponde per l’omesso esercizio del potere-dovere di controllo rispetto all’eventuale reato omissivo o commissivo del delegato. Ove dunque il delegato non osservi la specifica prescrizione normativa (es. reato di natura contravvenzionale per omessa predisposizione della misura tecnica di prevenzione) e, inoltre, da tale inosservanza scaturiscano reati ulteriori (es. morte o infortunio del lavoratore quale conseguenza di detta violazione), il delegante risponde per concorso mediante omissione nel reato del delegato: detto concorso per omissione potrà essere doloso, se il delegante è a conoscenza di fatti idonei a provocare violazioni da parte del delegato e si è scientemente astenuto dall’intervenire, ovvero colposo se, pur non essendo a conoscenza della possibile violazione, non abbia esercitato diligentemente l’attività di controllo sul delegato (in tal caso il reato del delegato deve essere previsto a titolo di colpa).

Alla luce delle considerazioni svolte, appare di fondamentale importanza definire la misura del controllo esigibile da parte del soggetto delegante.

Al riguardo, l’opinione prevalente ritiene che il controllo richiesto non possa essere analitico, cioè essere così penetrante e costante al punto da sostanziarsi nell’adempimento dell’obbligo stesso di cui il delegante è originario destinatario. Infatti, se così fosse, la dimensione di tale obbligo di controllo renderebbe sostanzialmente inutile il ricorso alla delega. Ciò che dunque può ragionevolmente richiedersi al delegante è un controllo sul generale andamento dell’attività delegata il cui esatto ambito dipende di volta in volta dal tipo di attività svolta.

In linea generale, il limite negativo è costituito da una vigilanza così penetrante ed assidua da configurare una vera e propria “ingerenza” del delegante e consistente in ordini, direttive e consigli indice della mancanza ab origine dell’esigenza di fare ricorso alla delega di funzioni.

Può dunque ritenersi che, laddove il soggetto di vertice dell’impresa, garante originario, abbia dato luogo ad una delega effettiva, avente i requisiti sopra visti, ed abbia approntato un adeguato sistema di controllo sull’attività del delegato, può legittimamente confidare nell’osservanza da parte di quest’ultimo della diligenza richiesta nell’esercizio delle attribuzioni, dovendo attivarsi solo allorché venga a conoscenza di eventuali inosservanze da parte del delegato.



2.2.1 Modelli di organizzazione e gestione
Ai sensi dell’art. 16, comma 3 del Testo Unico, l’obbligo di vigilanza gravante in capo al soggetto delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni da parte del delegato si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo previsto dall’art. 30, comma 4 del medesimo Testo Unico.

La disposizione richiamata prevede, infatti, che, nell’ambito del modello di organizzazione e gestione adottato dall’impresa ai fini dell’esclusione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, sia previsto un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello stesso e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Peraltro, la scoperta di violazioni significative delle norme di prevenzione degli infortuni ovvero il mutamento nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico comportano l’obbligo di riesaminare ed eventualmente modificare il medesimo modello organizzativo.

In sostanza, l’adozione di un modello ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, che preveda un sistema di controllo circa la sua attuazione e mantenimento, concreta il rispetto da parte del delegante dell’obbligo di controllo sul soggetto delegato, ai fini di escludere ogni profilo di colpevolezza in ordine all’eventuale reato commesso dal delegato.

La previsione normativa sembra, dunque, confermare che i compiti di controllo gravanti sul delegante debbano riguardare l’attività del delegato nel suo complesso considerata, prescindendo da un controllo specifico di ogni singolo atto, tanto che lo stesso può risultare adempiuto attraverso l’adeguata attuazione del modello gestionale.

2.3 La posizione del delegato
Attraverso la delega di funzioni debitamente accettata dal soggetto delegato, questi subentra quale ulteriore soggetto responsabile titolare di una posizione di garanzia. Il delegato è tenuto pertanto a svolgere le funzioni delegate adempiendo alle prescrizioni normative ed attivandosi per prevenire il verificarsi di eventi lesivi.

Il delegato deve inoltre accertare che gli vengano conferiti i poteri decisionali adeguati allo svolgimento dei compiti ed i mezzi economici concretanti l’autonomia di spesa necessaria per l’attuazione delle decisioni assunte. La carenza di effettività della delega impone al soggetto delegato di escludere la relativa accettazione o di revocare la stessa laddove le condizioni suddette dovessero venire meno. Ciò al fine naturalmente di escludere ogni responsabilità in ordine ad eventuali violazioni normative.

In caso di ingerenza del titolare che impartisca ordini o direttive non adeguate al rispetto delle prescrizioni, il soggetto delegato è tenuto a non darvi esecuzione, rimettendo in caso di conflitto il potere conferitogli con la delega.

Si tratta pertanto di una posizione particolarmente delicata, che impone al soggetto delegato l’adempimento dei propri compiti con la diligenza richiedibile, da valutarsi in termini rigorosi vista la natura professionale dell’attività svolta e gli specifici requisiti di idoneità richiesti (art. 1176, comma 2 c.c.).

L’esercizio delle funzioni delegate comporta la responsabilità penale del soggetto delegato sia in ordine ai reati comuni, sia in ordine ai reati propri, ossia quelle fattispecie criminose nelle quali è richiesto in capo al soggetto attivo del reato una determinata qualifica (es. datore di lavoro). Ne deriva che, pur non ricoprendo formalmente la qualifica richiesta, il delegato, in ragione della delega e della posizione di garanzia con essa assunta, risponde del reato in base al principio di effettività che determina l’individuazione dei soggetti responsabili.

2.4 La subdelega
L’art. 16, comma 3 bis del Testo Unico prevede e disciplina l’istituto della c.d. subdelega, ossia la possibilità che il soggetto delegato provveda a sua volta a delegare specifiche funzioni ad altro soggetto. Quest’ultimo non può effettuare alcuna ulteriore subdelega.

La norma sottopone la subdelega ad alcuni requisiti, ed in particolare:

1) la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali di validità, già analizzati al precedente paragrafo 2.1, e perciò:
a. atto di subdelega scritto recante data certa;
b. accettazione per iscritto del subdelegato;
c. adeguata e tempestiva pubblicità della subdelega;
d. possesso di requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni subdelegate;
e. attribuzione di tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni subdelegate;
f. attribuzione dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni subdelegate;

2) la previa intesa del datore di lavoro;

3) la specificità delle funzioni subdelegate.

Quanto alla previa intesa del datore di lavoro, stante il carattere formale della subdelega, deve ritenersi che la stessa debba risultare per iscritto. La norma richiede l’autorizzazione preventiva del datore di lavoro ad effettuare la subdelega, confermando in tal modo l’esigenza che il datore di lavoro operi il controllo costante sull’attuazione delle funzioni delegate. Inoltre, considerato il carattere eccezionale della subdelega rispetto al principio generale secondo cui il soggetto delegato non può a sua volta delegare le funzioni, appare difficile ritenere ammissibile una ratifica successiva da parte del datore della subdelega operata autonomamente dal delegato.

La norma precisa, inoltre, che la subdelega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al subdelegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. In linea, pertanto, con quanto previsto per il datore di lavoro che delega le funzioni ad altro soggetto e che, come visto, mantiene l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento delle stesse, anche il delegato che assuma la veste di subdelegante rimane titolare del potere-dovere di controllo sull’attività del subdelegato.

Peraltro, il legislatore non chiarisce se, anche in ipotesi di subdelega, l’obbligo di vigilanza gravante in capo al soggetto subdelegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni da parte del subdelegato si intenda assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo previsto dall’art. 30, comma 4 del medesimo Testo Unico.

Al riguardo, la mancata specificazione di tale modalità particolare di assolvimento dell’obbligo di vigilanza potrebbe essere intesa quale volontà del legislatore di escludere che l’esistenza di un valido ed adeguato modello gestionale possa ex se costituire adempimento dell’obbligo di vigilanza da parte del subdelegante.

Tuttavia, in base ad una lettura sistematica delle norme, sembra più corretto ritenere che l’adozione del modello organizzativo, che deve prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello stesso e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate, e ciò anche con riferimento all’attività del subdelegato, possa costituire idoneo strumento per ritenere assolto l’obbligo di vigilanza da parte dello stesso subdelegante. Sarebbe, infatti, alquanto illogico attribuire al modello di organizzazione e gestione, che ha carattere generale ed unitario, una funzione di esonero per la sola responsabilità del datore di lavoro-delegante e non per quella del delegato-subdelegante.

3. Applicazione della disciplina al settore dei lavori in edilizia: imprese esecutrici ed impresa affidataria

L’analisi delle figure rilevanti ai fini della sicurezza all’interno di un’impresa deve essere ulteriormente approfondita, adattata e completata avendo specifico riguardo allo svolgimento dell’attività edilizia e alla sicurezza nei cantieri in fase di esecuzione dei lavori.

Da un lato, infatti, occorre comprendere, con riferimento a ciascuna impresa esecutrice, quali siano i soggetti che ricoprono la figura di datore di lavoro, dirigente, preposto e soggetti delegati; dall’altro, è necessario verificare, nella complessità dei soggetti che eseguono i lavori, se vi siano delle posizioni di garanzia peculiari e, perciò, quali siano le posizioni assunte dalle singole imprese che intervengono in cantiere.

Al riguardo, occorre tenere presente che l’art. 89 del D.Lgs. n. 81/2008 distingue tra impresa esecutrice ed impresa affidataria dei lavori. Definisce la prima come quell’impresa “che esegue un’opera o parte di essa impegnando proprie risorse umane e materiali”, ma attribuisce alla seconda un ruolo preminente nell’esecuzione dei lavori, demandando poi agli artt. 95, 96 e 97 la definizione di differenti obblighi di rispetto degli adempimenti in materia di sicurezza.

3.1 Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice
Nell’ottica del legislatore la singola impresa che esegue lavori si configura ex se come soggetto tenuto al rispetto delle prescrizioni di tutela della sicurezza, prescindendo dal ruolo che ricopre. Nell’ambito di ciascuna impresa esecutrice può, infatti, individuarsi la persona fisica che ricopre il ruolo di datore di lavoro, così come delineata al precedente paragrafo 1.1, quale “soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Rispetto alla definizione di datore di lavoro già esaminata, occorre preliminarmente fornire alcuni chiarimenti, in ordine al concetto di “unità produttiva”. Nell’ambito dell’attività edilizia, si pone, infatti, il problema di chiarire se possa considerarsi unità produttiva, ai fini dell’individuazione del datore di lavoro, anche il singolo cantiere, con l’evidente conseguenza di trasferire la titolarità di detta posizione al soggetto che ricopra il ruolo apicale con riferimento al cantiere e non all’azienda nel suo complesso.

Tale conclusione appare difficilmente sostenibile, alla luce della definizione di unità produttiva fornita dallo stesso Testo Unico (art. 2, comma 1, lettera t), che configura la stessa quale “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. La definizione normativa sembra infatti privilegiare caratteristiche di autonomia funzionale, sia sul piano decisionale che su quello finanziario, rispetto al complesso dell’impresa, normalmente ravvisabili in stabilimenti o filiali autonome, sotto i profili visti, dalla casa madre. Tale situazione di effettiva autonomia sembra difficilmente configurabile nella situazione tipica delle imprese di costruzione, per le quali il cantiere non appare una struttura separata dall’organizzazione aziendale.

Deve dunque escludersi che vi possa essere un qualsiasi automatismo che consenta di definire il singolo cantiere come autonoma unità produttiva, pur non potendosi escludere in situazioni particolari la configurabilità di tale autonomia, specialmente per imprese di grandi dimensioni, operanti in settori diversificati con spiccata autonomia dalla sede centrale. In tal senso, si pensi all’ipotesi del “settore estero” avente una propria autonomia gestionale e decisionale nell’ambito dell’impresa.

In altri termini, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice è normalmente il soggetto titolare del rapporto di lavoro con i dipendenti o il soggetto che di fatto ha la responsabilità complessiva dell’intera organizzazione dell’impresa. A seconda perciò della tipologia di impresa, datore di lavoro può essere il titolare dell’impresa in caso di impresa individuale, l’amministratore unico o l’amministratore delegato in caso di società di capitali o di persone. In quest’ultimo caso, può risultare determinante il conferimento dei poteri decisionali e di spesa attribuiti normalmente al legale rappresentante dell’impresa.

Il datore di lavoro dell’impresa esecutrice è tenuto all’adempimento delle misure generali di tutela previste dall’art. 95 del Testo Unico, che risultano definite sia con riferimento alle misure generali previste dall’art. 15, sia alle misure particolari relative al cantiere. A detti obblighi si aggiungono poi quelli previsti dall’art. 96 (che competono ai datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici), tra i quali assume specifica rilevanza, accanto agli adempimenti concreti quali l’obbligo di adeguato accatastamento dei materiali, di rimozione di quelli pericolosi e di stoccaggio ed evacuazione dei detriti e delle macerie, quello fondamentale di redazione del piano operativo di sicurezza.

Rispetto agli adempimenti sopraddetti, lo strumento maggiormente funzionale a delimitare i profili di responsabilità è costituito senz’altro dalla delega di funzioni, attraverso la quale il datore di lavoro, come ampiamente evidenziato nei paragrafi precedenti, può circoscrivere la propria responsabilità all’obbligo di vigilanza e controllo desumibile dall’art. 16, comma 3 del Testo Unico.

Tuttavia, è assolutamente necessario evidenziare che l’accettazione da parte del datore di lavoro del piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, per il singolo cantiere, adempimento all’obbligo di valutazione dei rischi ed elaborazione del relativo documento ai sensi dell’art. 17, attività prevista come non delegabile da parte del datore di lavoro (art. 96, comma 2).

3.2 Dirigenti e preposti nei cantieri
La definizione delle figure del dirigente e del preposto, anche per i cantieri, si desume dalla parte generale del Testo Unico, sopra analizzata. In realtà, la disciplina relativa ai cantieri non fornisce chiarimenti in ordine ai compiti spettanti a detti soggetti, che risultano richiamati nella rubrica dell’art. 96 (“Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti”), salvo poi riferire esclusivamente al datore di lavoro gli obblighi specifici in tema di normativa dei cantieri. Al dirigente e al preposto fanno dunque sicuramente carico gli obblighi previsti dagli artt. 18 e 19 del Testo Unico, in tema di misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

La figura di dirigente fondamentale per l’attività del cantiere è il direttore di cantiere, quale soggetto tipico che “attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” (art. 2, comma 1, lettera e). In quanto dirigente preposto all’attività produttiva del cantiere competono al direttore di cantiere gli adempimenti previsti dall’art. 18 del Testo Unico, cui sono riconnesse le sanzioni previste dall’art. 55.

Deve tuttavia notarsi che, nonostante l’art. 96 non estenda espressamente gli obblighi ivi previsti al dirigente, in contrasto con quanto annunciato nella rubrica della norma, si trova un chiaro indice degli obblighi comunque gravanti sul dirigente dalla lettura del successivo art. 159, che prevede a carico dello stesso le sanzioni penali per le relative omissioni. Detta norma sembra dunque confermare, anche per l’attività dei cantieri, la sussistenza di obblighi gravanti sul dirigente in proprio, del tutto analoghi a quelli propri del datore di lavoro. Se ne desume perciò una posizione di garanzia del direttore di cantiere piena e completa.

Ciò non toglie, tuttavia, che nei confronti dello stesso possa essere rilasciata altresì una delega che definisca specificamente i compiti ulteriori, ed in particolare quelli previsti dagli artt. 95 e 96, con esclusione dei compiti non delegabili, al fine di rendere maggiormente chiaro il ruolo spettante al direttore di cantiere.

In caso di delega piena, pertanto, il direttore di cantiere sostituisce in tutto e per tutto il datore di lavoro, quale garante del rispetto della normativa antinfortunistica sul cantiere, salvo gli obblighi non delegabili e salvo il mantenimento in capo al datore dell’obbligo di vigilanza più volte richiamato.

Alla posizione tipica del preposto devono ricondursi le figure del capo cantiere, dell’assistente e del caposquadra cui spetta essenzialmente il compito di curare l’attuazione da parte dei lavoratori delle direttive impartite dal datore di lavoro o dal dirigente e verificarne l’esatta applicazione. Il capo cantiere, l’assistenti e il caposquadra devono dunque vigilare sulle attività dei lavoratori per garantire che le stesse si svolgano nel rispetto delle regole normative previste e delle disposizioni impartite dagli organi sovraordinati.

Gli obblighi gravanti sul capo cantiere, in qualità di preposto, derivano direttamente dall’art. 19 del D.Lgs. n. 81/2008, considerato che, come già visto anche per il dirigente, le norme specifiche relative al cantiere non prevedono obblighi particolari se non per il datore di lavoro. Tuttavia, ciò non significa che il preposto non assuma una specifica posizione di garanzia rispetto all’attuazione delle misure di sicurezza. Anzi, il suo ruolo è proprio quello di vigilare sul rispetto delle misure di prevenzione in cantiere da parte dei lavoratori, risultando perciò responsabile, laddove le stesse non siano attuate.

In linea generale, la posizione di garanzia del preposto comporta l’assunzione della responsabilità penale rispetto alle specifiche violazioni degli obblighi propri previsti dall’art. 19, nonché della responsabilità relativa ad eventuali infortuni occorsi in cantiere, pur affiancandosi detta responsabilità a quella del direttore di cantiere ed eventualmente del datore di lavoro, in base anche all’assetto delle deleghe poste in essere dal datore.

Secondo i principi generali svolti con riferimento all’impresa nel suo complesso, deve dunque desumersi che, nell’ambito del cantiere, può configurarsi la responsabilità del datore di lavoro e del direttore di cantiere, rispetto ai comportamenti omissivi del capo cantiere, qualora risulti che tali soggetti ne fossero a conoscenza, o avrebbero dovuto esserlo, avendo in tal caso l’obbligo di intervenire.

In particolare, nei rapporti tra direttore di cantiere e capo cantiere, ossia tra dirigente e preposto, il direttore di cantiere non può ritenersi esonerato da responsabilità per inosservanza delle misure di prevenzione, in ragione della presenza del capo cantiere, essendo entrambi i soggetti titolari di autonome posizioni di garanzia. Il direttore di cantiere è pertanto responsabile, in tema di infortuni, ove risulti che non abbia sorvegliato l’attività dei preposti o non sia intervenuto, pur essendo a conoscenza delle omissioni degli stessi.

3.3 L’impresa affidataria
L’art. 89, comma 1, lettera i) del D.Lgs. n. 81/2008, contiene la definizione di impresa affidataria, intendendosi per tale l’“impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell’esecuzione dell’opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi”. La norma aggiunge inoltre che “nel caso in cui titolare del contratto di appalto sia un consorzio tra imprese che svolga la funzione di promuovere la partecipazione delle imprese aderenti agli appalti pubblici o privati, anche privo di personale deputato alla esecuzione dei lavori, l’impresa affidataria è l’impresa consorziata assegnataria dei lavori oggetto del contratto di appalto individuata dal consorzio nell’atto di assegnazione dei lavori comunicato al committente o, in caso di pluralità di imprese consorziate assegnatarie di lavori, quella indicata nell’atto di assegnazione dei lavori come affidataria, sempre che abbia espressamente accettato tale individuazione”.

Rispetto a tale definizione, l’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici, con parere reso in data 27.7.2010, ha chiarito che:

1) l’espressione “consorzi di imprese” di cui all’art. 89 ricomprende consorzi stabili, consorzi ordinari e associazioni temporanee;
2) l’impresa affidataria ai fini della sicurezza deve essere sempre un’unica impresa, anche in presenza di più imprese esecutrici;
3) l’individuazione di tale impresa è sostanzialmente rimessa alla libera determinazione delle parti, salvo l’ipotesi dell’associazione temporanea in cui dovrebbe coincidere con la mandataria;
4) tale individuazione deve essere effettuata prima della stipula del contratto mediante apposita comunicazione alla stazione appaltante.

L’esame del ruolo e delle funzioni attribuite dal Testo Unico all’impresa affidataria consente di delineare l’assetto dei compiti in materia di sicurezza nei cantieri, laddove l’esecuzione dei lavori, come spesso accade, non sia demandata ad un’unica impresa, ma ad una pluralità di soggetti, sia perché complessivamente riconducibili al ruolo stesso di appaltatore (associazione temporanea di imprese, consorzio di concorrenti, consorzio stabile), sia perché riconducibili ai diversi ruoli di appaltatore e di subappaltatore.

A tali fini, è essenziale tenere presente che impresa affidataria rispetto ai subappaltatori è l’impresa appaltatrice; ove l’impresa appaltatrice sia costituita da una pluralità di soggetti, secondo le indicazioni dell’Autorità, dovendo comunque essere individuata un’unica impresa affidataria, è tale l’impresa mandataria per l’associazione temporanea ed altra impresa liberamente individuata dalle parti per i consorzi.

Tali precisazioni risultano importanti, poiché ciascuna impresa esecutrice è responsabile in proprio del rispetto della disciplina sulla sicurezza, in base alle disposizioni sopra esaminate, attraverso le varie figure delineate di datore di lavoro, dirigente e preposto, oltre all’eventuale delega di funzioni; tuttavia, all’impresa affidataria spetta un ruolo ulteriore ed aggiuntivo che potrebbe costituire fonte di autonoma responsabilità.

In particolare, l’art. 97 attribuisce al datore di lavoro dell’impresa affidataria il compito generale di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l’applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento, oltre agli obblighi in generale derivanti dall’esecuzione di lavori in appalto (art. 26 Testo Unico). Al datore di lavoro dell’impresa affidataria compete, altresì, il coordinamento degli interventi gravanti anche sulle imprese esecutrici (artt. 95 e 96) e la verifica della congruenza dei diversi piani operativi di sicurezza predisposti dalle imprese esecutrici. Peraltro l’art. 97, comma 3ter richiede che il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti dell’impresa affidataria siano in possesso di adeguata formazione.

Rispetto all’impresa affidataria, la figura centrale è costituita dal datore di lavoro, che viene menzionato all’art. 97; tuttavia, il legislatore, oltre a richiamare le figure del dirigente e del preposto nel comma 3ter, prevede l’applicazione delle sanzioni penali di cui all’art. 159 anche in capo al dirigente.

Pertanto, per l’impresa affidataria, si delinea la sussistenza di un ruolo particolare e differenziato rispetto alle altre imprese esecutrici, tale per cui potrebbe ravvisarsi una responsabilità in capo ai soggetti rilevanti (datore di lavoro e dirigente – direttore di cantiere), nell’ipotesi in cui si verifichino reati omissivi o infortuni all’interno del cantiere riguardanti dipendenti di imprese esecutrici. È da ritenersi, infatti, che all’eventuale responsabilità ascrivibile al datore di lavoro, direttore di cantiere e/o capo cantiere della singola impresa possa aggiungersi la responsabilità del datore di lavoro e/o direttore di cantiere dell’impresa affidataria, laddove siano ravvisabili omissioni rilevanti in relazione al singolo e concreto evento verificatosi.

Fonte Ance


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