dispositivi di protezione collettiva nei lavori in copertura

I dispositivi di protezione collettiva sono una soluzione efficace per la riduzione del rischio di caduta dall’alto per i lavori in copertura. Reti di sicurezza, parapetti provvisori e ponteggi come DPC per lavori in copertura.


 Se i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture sono spesso esposti ad un elevato rischio di caduta dall’alto, è tuttavia possibile, attraverso un’adeguata analisi e valutazione dei rischi,  individuare idonee misure preventive e protettive da impiegare per eliminare i rischi o ridurli a livelli accettabili nei casi in cui non sia possibile eliminarli.
E il Decreto legislativo 81/2008 sottolinea la necessaria priorità d’impiego dei dispositivi di protezione collettiva (DPC) rispetto a quelli individuali (DPI).
 
Per approfondire il tema della scelta e dell’uso dei dispositivi di protezione collettiva sulle coperture, torniamo a sfogliare il documento dell’Inail dal titolo “ La sicurezza nei lavori sulle coperture. Sistemi di prevenzione e protezione contro la caduta dall’alto”; un documento realizzato dal Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti e Insediamenti Antropici (DIT) e dalla Consulenza Tecnica per l’Edilizia (CTE) che raccoglie gli atti di due diversi seminari: “Un cantiere sicuro per riqualificare l’esistente - Lavori in copertura” (Milano,  4 ottobre 2013) e “Lavori su coperture: problematiche, approfondimenti, soluzioni ed indirizzi” (Bologna, 18 Ottobre 2013).


Nell’intervento “Dispositivi di protezione collettiva nei lavori in copertura”, a cura di Davide Geoffrey Svampa (INAIL DIT), si ricorda innanzitutto che quando si presenta la necessità di dover eseguire delle attività in copertura, “è necessario valutare i rischi prevalenti di caduta dall’alto o di urto contro le eventuali protezioni, ma anche i rischi concorrenti, per esempio innescanti le cadute, e i rischi susseguenti la caduta stessa, come l’oscillazione del corpo con urto contro ostacoli, le decelerazioni dovute alla trattenuta o alla sospensione inerte”.
E dopo aver contestualizzato le valutazioni con le caratteristiche del sito di intervento, è necessario chiedersi: posso eliminare il rischio?
Se la risposta è “si”, risulta evidente che “la strada corretta da seguire è quella di adottare misure preventive e protettive finalizzate a tale scopo”. E visto che “l’eliminazione totale del rischio di caduta dall’alto per lavori in copertura risulta spesso impraticabile”,  le misure da adottate “dovranno essere tese ad una riduzione delle conseguenze”.
 
Con riferimento poi a quanto indicato dal D.Lgs. 81/2008 (priorità dei DPC sui DPI),  per i lavori in copertura generalmente “l’approccio corretto è quello di ridurre il rischio, portarlo a livello accettabile mediante l’impiego di dispositivi di protezione collettiva e nel caso il livello di rischio risultasse ancora elevato, impiegare come ultimo strumento di prevenzione e protezione i dispositivi di protezione individuale anticaduta”.
 
A questo punto l’autore presenta alcuni dispositivi di protezione collettiva che “rappresentano nella maggior parte dei casi, una soluzione efficace per la riduzione del rischio di caduta dall’alto per i lavori in copertura”.
 
Reti di sicurezza
Sono dispositivi di protezione collettiva costituiti da “reti di protezione generalmente fissate su intelaiature metalliche di sostegno.  Le reti sono regolamentate dalle norme UNI EN 1263-1:2003 e UNI EN 1263-2:2003 che ne definiscono i requisiti prestazionali e i limiti di posizionamento per ogni tipologia d’impiego”. In particolare le norme “individuano due macrocategorie di utilizzo delle reti di sicurezza: impiego per posizionamento orizzontale e impiego per posizionamento verticale”. E oltre al “tipo” di sistema da impiegare, la norma specifica quattro classi secondo la “combinazione della dimensione della maglia con l’energia agente sulla rete di sicurezza”.
L’intervento sottolinea che nella scelta di questo sistema di protezione “è necessario tener presenti alcuni fattori di fondamentale importanza come l’altezza di caduta, l’inclinazione del piano di lavoro, la profondità di raccolta intesa come lo spazio libero sotto la rete necessario per garantire la loro efficacia e l’eventuale presenza di ostacoli che ne vanificherebbero la funzione”. E se tra i vantaggi c’è la libertà di movimento lasciata al lavoratore e la facilità di ispezione del sistema, si ricorda che eventuali materiali nelle reti di sicurezza potrebbero risultare pericolosi in caso di caduta del lavoratore: le reti “devono essere costantemente libere da oggetti sulla loro superficie”.




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Parapetti Provvisori
I parapetti provvisori (sistemi temporanei di protezione dei bordi) “rappresentano un sistema di protezione collettiva destinato alla protezione di persone e/o cose contro le cadute dall’alto nelle attività su coperture i cui bordi non sono protetti o comunque per proteggere zone prospicienti il vuoto”. E sono attrezzature costituite generalmente “da montanti verticali sui quali vengono fissati il corrente principale, i correnti intermedi e la tavola fermapiede”.
L’intervento si sofferma sulla UNI EN 13374:2013 e sulla classificazione dei parapetti provvisori in base agli aspetti statici e/o dinamici dei carichi applicati:
- classe A: “deve fornire resistenza ad una persona che vi si appoggia o vi cada contro”;
- classe B: “deve, in aggiunta al requisito della classe A, arrestare una persona che stia scivolando o cadendo lungo una superficie inclinata”;
- classe C: “deve arrestare una persona che stia scivolando o cadendo lungo una superficie molto inclinata”.
Ed è dunque evidente che “per una corretta scelta, uno tra gli elementi caratteristici da evidenziare nella valutazione del rischio, è la pendenza della superficie di lavoro”. Inoltre per ogni classe la UNI EN 13374:2013 “definisce i requisiti minimi di spazio libero tra i correnti”. Si ricorda poi che la UNI EN 13374:2013 è stata revisionata e in quest’ultima stesura risulta evidente il concetto ‘sistema di protezione dei bordi”: tutti gli elementi assemblati fra loro devono concorrere all’efficacia ed essere adeguati allo scopo.
 
Ponteggi come DPC per lavori in copertura
Considerando “che il ponteggio è a servizio dell’opera servita e non è un DPC in senso stretto, anche se con i suoi elementi costituisce una protezione contro le cadute dall’alto per il lavoratore che opera sull’impalcato di lavoro”, è stato richiesto un chiarimento sul suo utilizzo come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono attività sulle coperture.
E il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la Circolare n. 29 del 2010, ha indicato  che “è possibile l’impiego di ponteggi come protezione collettiva per i lavoratori che svolgono la loro attività sulle coperture a condizione che per ogni singola realizzazione e a seguito di una adeguata valutazione dei rischi, venga eseguito uno specifico progetto. Risulta evidente che il progetto a cui fa riferimento la Circolare Ministeriale debba tener conto di tutte le azioni aggiuntive, derivanti dal possibile impatto che un lavoratore, in caso di scivolamento o rotolamento, può trasferire al ponteggio. Azioni che oltre ad interessare gli elementi del ponteggio, interessano anche gli ancoraggi, sia come numero e posizionamento, sia come resistenza da trasferire delle strutture su cui ancorarsi”.
Questo chiarimento offerto dalla Circolare rappresenta una “grande opportunità per i datori di lavoro, in quanto possono, attraverso il solo impiego del ponteggio, ridurre il rischio di caduta dall’alto derivante dai lavori in copertura senza dover montare sistemi di protezione aggiuntivi, ma utilizzando un’opera provvisionale opportunamente dimensionata e predisposta per la trattenuta del lavoratore che vi urti contro”. Anche se per i datori di lavoro, “il limite di questa soluzione è la maggiore complessità dell’opera provvisionale da realizzare sia in termini di progettazione sia in termini di elementi e di ancoraggi supplementari”.
 
In definitiva, conclude la relazione, prima di impiegare misure preventive e protettive “è necessario effettuare una adeguata valutazione dei rischi per verificare che il sistema scelto sia compatibile e adeguato allo scopo”. E l’uso di tali dispositivi di protezione collettiva “deve tener conto, oltre alle indicazioni del fabbricante e ai relativi limiti d’impiego dell’attrezzature”, anche del contesto in cui si sta operando e delle caratteristiche del materiale base su cui si intende fissare il sistema scelto.




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