ACCERTAMENTO DELLE PRESTAZIONI RESE A TITOLO GRATUITO

Prestazioni professionali gratuite, il quadro normativo di riferimento

La determinazione del reddito derivante da attività di lavoro autonomo è ispirata, ai sensi dell’art. 54 del tuir (dpr 917/86), al cosiddetto “principio di cassa”, secondo il quale i componenti di reddito assumono rilievo solo nel momento in cui avvengono i pagamenti e gli incassi. Esistono anche alcune eccezioni che prevedono principi di competenza, secondo cui le transazioni si registrano nel periodo di imposta a cui queste si riferiscono indipendentemente dal momento in cui i pagamenti si verificano.

Pertanto, secondo il principio di cassa, per i titolari di reddito di lavoro autonomo, i componenti positivi e negativi sono rilevanti, ai fini della determinazione del reddito, inderogabilmente quando incassati o pagati.

Nei casi in cui l’Amministrazione Finanziaria presume l’incasso di proventi “in nero” nei confronti dei professionisti, derivanti da prestazioni effettuate a titolo gratuito, si avvale, di norma, dell’accertamento analitico-induttivo (art. 39 comma 1 lett. d) dpr 600/73 e  art. 54 comma 2 dpr 633/72).

Tale principio si applica sulla base di documenti o notizie raccolte dall’Amministrazione Finanziaria, in presenza delle seguenti condizioni:

incompletezza dei dati
falsità o inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione

In particolare, l’Amministrazione Finanziaria ritiene irragionevole ed antieconomico lo svolgimento di un’attività senza che sia percepito alcun compenso.

Ne consegue la ricostruzione di un maggior reddito professionale e la ripresa a tassazione dei compensi che si presumono percepiti dal professionista per la prestazione resa nel periodo d’imposta a titolo oneroso (nonché l’irrogazione di sanzioni per infedele dichiarazione e per omessa fatturazione).

Ma è davvero irragionevole che un professionista effettui una prestazione a titolo gratuito?

Il Codice civile regola il compenso professionale con gli artt. 2229 e ss. Tali disposizioni non escludono in alcun modo la legittimità di accordi di prestazione gratuita, né determinano una presunzione di onerosità.

Il contratto d’opera professionale si inserisce, infatti, tra i contratti a titolo oneroso: non è però esclusa la possibilità di accordi di prestazione gratuita.

L’onerosità è elemento materiale, ma non essenziale, dei contratti di prestazioni d’opera intellettuale: ciò comporta che le parti possono sia escludere il diritto del professionista al compenso, sia subordinarlo al verificarsi di una condizione.

Secondo i Commercialisti, dunque, è consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari e che possono consistere nell’amicizia, parentela o anche in un indiretto vantaggio.

Inoltre, la stessa Agenzia delle Entrate nella circolare 28 settembre 2001 prevede espressamente che la “gratuità delle prestazioni può essere considerata verosimile nei confronti di parenti o di colleghi-amici”.

Prestazioni professionali gratuite, la giurisprudenza

L’argomento delle prestazioni professionali a titolo gratuito ha causato numerosi contenziosi.  In generale, la giurisprudenza ha sempre concluso che il lavoro gratis è possibile.

La Cassazione si è pronunciata sul tema con la sentenza 21972/2015, secondo cui è senz’altro possibile lavorare gratis per parenti o amici, sopratutto se si verificano certe condizioni (la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità). A tale pronuncia, peraltro, hanno fatto seguito diverse sentenze della giurisprudenza di merito, non sempre del tutto coerenti con gli insegnamenti della Suprema Corte.

Solo in un caso, una Commissione Tributaria provinciale ha affermato che il professionista, pur lavorando gratis, deve emettere fattura e versare le imposte. Si tratta, secondo i Commercialisti, di un onere non previsto dalla legge, quindi inaccettabile.

Per i Commercialisti, invece, se un professionista effettua prestazioni a titolo gratuito non ha obblighi per quanto riguarda i compensi dal punto di vista dell’Iva, delle imposte dirette e Irap. D’altra parte, i professionisti non possono dedurre né detrarre dal reddito i costi sostenuti per lo svolgimento di prestazioni a titolo gratuito.

Prestazioni professionali gratuite, considerazioni conclusive

In conclusione, secondo i Commercialisti, l’accertamento induttivo teso a ricostruire i compensi del professionista e fondato esclusivamente sulla presunzione che le prestazioni gratuite nascondano compensi “in nero” non sembra legittimo.

Per svolgere una prestazione professionale gratis possono essere opportuni alcuni accorgimenti e in qualche caso delle prove.

Prestazioni semplici con valore modesto

Secondo i commercialisti, sul professionista non pende nessun onere della prova nel caso in le prestazioni svolte a titolo gratuito sono semplici e hanno un valore modesto.

Prestazioni complesse

In presenza di prestazioni laboriose, di valore ingente e svolte nei confronti di soggetti con cui non si ha un legame di parentela, il professionista deve essere in grado di provare che non nasconde ricavi a nero.

Sicuramente la predisposizione di lettere di incarico professionale ove si evinca chiaramente la gratuità della prestazione può essere un valido elemento probatorio.

In aggiunta, nel caso di prestazioni rese dai professionisti nei confronti di società, la documentazione societaria (es. delibere che stabiliscono il compenso dell’amministratore, lo statuto, ecc.) rappresenta un elemento difficilmente superabile dall’Agenzia delle Entrate.

Potrebbe essere opportuno per il professionista potrebbe dotarsi di una lettera di incarico da cui si evinca che la prestazione non richiede nessun compenso.

Potremmo inoltre richiamare la congruità degli studi di settore e presentare la documentazione bancaria.

Fonte Documento: Maria Adele Morelli e Andrea Di Gialluca Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Teramo
Clicca qui per scaricare il documento completo dei Commercialisti


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