stress termico sul lavoro
stress termico e delle malattie da calore in ambito lavorativo

il fenomeno dello stress termico sul lavoro
Sentire troppo caldo è un’esperienza comune e può avvenire in qualunque contesto, sia all’aperto sia in ambienti chiusi come stabilimenti, officine o laboratori. Quando le capacità di termoregolazione del corpo non riescono più a compensare l’aumento di temperatura esterna o interna (per attività pesanti o fonti di calore dirette), si verifica stress termico, che può sfociare in malattie da calore potenzialmente gravi.
Questo fenomeno riguarda sia chi lavora in industrie con alte fonti di calore (vetro, fonderie, pasticcerie), sia operai edili, agricoltori o addetti alla manutenzione stradale. Il fenomeno è in crescita a causa delle ondate di calore sempre più frequenti legate ai cambiamenti climatici.
Lo stress termico rappresenta un rischio concreto e in crescita nel mondo del lavoro. Conoscere i meccanismi fisiologici, valutare correttamente il rischio, applicare misure ingegneristiche, organizzative e individuali, e formare adeguatamente tutti gli attori coinvolti sono passi indispensabili per prevenire malattie da calore gravi come il colpo di calore. Lavorare in modo sicuro in condizioni di temperatura elevata non è solo una questione di comfort, ma di tutela della vita e della salute dei lavoratori. È essenziale un approccio proattivo, basato sulle evidenze e aggiornato periodicamente secondo le più recenti linee guida nazionali e internazionali. Le organizzazioni devono prepararsi a gestire ondate di calore sempre più frequenti, integrando soluzioni tecniche, operative e formative, per mantenere elevati standard di sicurezza e proteggere i lavoratori anche in scenari climatici mutati.
Meccanismi fisiologici della termoregolazione
Il corpo umano mantiene il “core” (organi vitali come cuore, cervello, apparato digerente) in un intervallo termico molto ristretto (circa 36–37 °C), grazie al “termostato” nell’ipotalamo, che regola circolazione, sudorazione e attività muscolare. In presenza di calore esterno o sforzo fisico, si attivano principalmente due strategie:
Aumento del flusso sanguigno cutaneo: vasodilatazione per trasferire calore dal core alla pelle, favorendo dispersione verso l’esterno.
Sudorazione: evaporazione del sudore dalla pelle sottrae calore. Prima di una sudorazione evidente entra in gioco la “perspiratio insensibilis”, ovvero perdite invisibili di liquidi attraverso pelle e respirazione. Inoltre, a livelli estremi, si attivano comportamenti protettivi spontanei (diminuzione dell’attività motoria) .
L’adattamento progressivo alle alte temperature (acclimatazione) può richiedere fino a due settimane di esposizione graduale: solo così il corpo ottimizza sudorazione e circolazione per ridurre il rischio di stress termico.
Malattie da calore: classificazione e sintomi
In condizioni di stress termico protratto o intenso, possono manifestarsi varie patologie:
Colpo di calore (heat stroke): la forma più grave, con blocco dei meccanismi termoregolatori e rapido aumento della temperatura corporea oltre 40,5 °C, che causa potenziali danni cerebrali irreversibili e rischio elevato di mortalità senza intervento medico immediato .
Collasso da calore (heat syncope o heat collapse): eccessiva vasodilatazione periferica porta a calo della pressione arteriosa, ridotto afflusso cerebrale; sintomi includono svenimento, nausea, mal di testa, spossatezza; la pelle è fredda e sudata. Occorre spostare la persona in luogo fresco, farla distendere e idratare, con eventuale supporto medico .
Crampi da calore (heat cramps): dolori muscolari, soprattutto in gambe e braccia, dovuti a intensa sudorazione e perdita di sali minerali. Prevenzione tramite idratazione corretta e integrazione di elettroliti; in caso di comparsa, riposo in ambiente fresco e assunzione di liquidi con sali minerali .
Fatigue da calore (heat exhaustion): stanchezza, irritabilità, affaticamento, indicativi di stress termico in atto; se ignorata può evolvere in colpo di calore. Anche qui fondamentale ridurre esposizione, riposo e reintegrazione idrosalina .
Fattori che influenzano il rischio
Il rischio di malattie da calore dipende da:
Tipo di attività: attività fisica intensa genera calore endogeno; lavori sedentari o con sforzo leggero hanno rischio inferiore, mentre operazioni manuali gravose aumentano il rischio.
Abbigliamento e DPI: indumenti leggeri e traspiranti favoriscono sudorazione; DPI pesanti o impermiabili (ad es. tute protettive) ostacolano dispersione di calore.
Condizioni ambientali: alta temperatura, umidità elevata (riduce evaporazione del sudore), scarsa ventilazione, esposizione diretta al sole o a macchine calde aggravano stress termico. L’indice WBGT (Wet Bulb Globe Temperature) è spesso usato per stimare lo stress termico reale in ambienti di lavoro severi .
Durata e frequenza di esposizione: esposizioni prolungate e ripetute senza adeguati periodi di recupero aumentano progressivamente il rischio.
Fattori climatici globali: ondate di calore e tendenza al rialzo delle temperature medie estive amplificano il problema a livello mondiale .
Condizioni personali e soggettività
Non tutte le persone reagiscono allo stesso modo:
Patologie pregresse: malattie cardiovascolari, renali, respiratorie, diabete, condizioni neurologiche o psichiatriche posso ridurre capacità di adattamento; farmaci (antipertensivi, diuretici, neurolettici) possono interferire con termoregolazione o idratazione.
Obesità e sovrappeso: maggior isolamento termico del tessuto adiposo e minor efficienza nella dispersione del calore.
Stili di vita: fumo, alcol e decondizionamento fisico riducono la capacità di adattamento.
Età: sia anziani sia molto giovani possono essere più vulnerabili.
La valutazione preventiva, da parte del medico competente, di queste condizioni è essenziale prima dell’esposizione a carichi termici considerevoli .
Benessere termico e percezione soggettiva
Il benessere termico è uno stato di comfort percepito; tuttavia non è possibile soddisfare ogni soggettività: in genere almeno il 5% delle persone potrebbe percepire disagio a temperature ritenute “accettabili” dalla maggioranza. L’obiettivo non è garantire comfort individuale totale, bensì prevenire lo stress termico pericoloso. Strumenti di valutazione del microclima (es. misurazioni WBGT, misuratori di umidità e temperatura, sensori di radiazione solare) aiutano a definire limiti di sicurezza per la maggior parte dei lavoratori
Normative e linee guida
Italia (INAIL, Portale Agenti Fisici): esistono linee guida per la gestione del rischio caldo in ambienti di lavoro, comprendenti individuazione dei pericoli, valutazione dello stress termico, misure di controllo, sorveglianza sanitaria e formazione del personale .
UE: orientamenti e documenti tecnici su microclima e stress termico; spesso si fa riferimento a documenti INAIL e a indicazioni scientifiche internazionali.
Organizzazioni internazionali (WHO, ILO, NIOSH/OSHA): linee guida su prevenzione delle malattie da calore, gestione delle ondate di calore, monitoraggio dei lavoratori a rischio e interventi in emergenza .
Regolamenti locali: in alcuni paesi/regioni (ad es. California Indoor Heat Standard entrato in vigore 23 luglio 2024) sono state adottate norme specifiche per ambienti chiusi con temperature oltre soglia .
Valutazione del rischio
La valutazione richiede:
Analisi del contesto: tipo di attività, condizioni microclimatiche (temperatura, umidità, velocità dell’aria, radiazione), orari di lavoro, durata delle esposizioni, pause.
Identificazione dei lavoratori vulnerabili: situazione clinica, età, esperienza ad alte temperature (acclimatazione), uso di DPI, stato di idratazione.
Misurazioni e monitoraggio: utilizzo di strumenti (WBGT) per quantificare il carico termico; monitoraggio di segni vitali (cuore, temperatura corporea, perdita di liquidi) in lavoratori ad alto rischio.
Coinvolgimento del medico competente: per sorveglianza sanitaria, questionari, esami mirati, piani di sorveglianza per soggetti sensibili.
Piani di emergenza e procedure di pronto soccorso: definire azioni immediate in caso di colpo di calore o altre emergenze, con formazione del personale addetto.
Misure preventive: ingegneristiche, organizzative e personali
Controlli ingegneristici:
Ventilazione forzata e raffrescamento locale (es. aria condizionata, sistemi di estrazione del calore).
Barriere o schermi contro radiazioni termiche di macchine o forni.
Isolamento o schermatura delle superfici calde.
Automazione di processi pesanti per ridurre sforzo umano.
Controlli organizzativi:
Programmazione di turni nelle ore più fresche (mattina presto o sera).
Pause frequenti in aree climatizzate o ombreggiate.
Graduale acclimatazione per nuovi lavoratori o dopo cessazione di esposizione (es. rientro dopo ferie).
Formazione dei lavoratori e dei supervisori sui rischi, sui segnali di allarme e sulle misure di mitigazione.
Predisposizione di piani di emergenza, segnalazione tempestiva di sintomi e procedure di pronto soccorso.
Misure individuali:
Idratazione regolare, anche prima di avvertire sete, con bevande contenenti elettroliti se necessario.
Abbigliamento idoneo: tessuti traspiranti, colori chiari, cappelli o caschi con ventilazione.
Alimentazione equilibrata: integrare sali minerali se attività intensa.
Evitare lavoro fisico eccessivo per soggetti non acclimatati o con condizioni cliniche sensibili.
Autocontrollo: riconoscere sintomi iniziali di stress termico e segnalarli prontamente.
Strumenti e tecnologie di supporto
Indice WBGT: strumento standardizzato per misurare il carico termico ambientale; disponibile anche in app mobili (es. Worklimate) che offrono supporto decisionale sul campo.
Sensori ambientali integrati: dispositivi IoT per monitoraggio continuo di temperatura e umidità in aree di lavoro critiche.
Wearable biometrici: dispositivi che monitorano parametri vitali (frequenza cardiaca, temperatura cutanea), segnalando precocemente stress termico.
Piattaforme di sorveglianza e alert: sistemi che integrano dati meteorologici, condizioni operative e caratteristiche individuali per generare avvisi automatici durante ondate di calore.
Ruoli e responsabilità
Datore di lavoro: valutazione del rischio, implementazione misure ingegneristiche e organizzative, formazione, predisposizione di procedure di emergenza, sorveglianza sanitaria.
Medico competente: valutazione clinica preventiva, sorveglianza periodica, consulenza su idoneità alla mansione in condizioni di caldo, gestione di casi a rischio.
RSPP/Responsabile sicurezza: coordinamento delle attività di prevenzione, monitoraggio delle condizioni ambientali, aggiornamento delle procedure.
Lavoratori e rappresentanti: partecipazione alla formazione, segnalazione di sintomi o condizioni pericolose, rispetto delle procedure e uso corretto dei DPI.
Monitoraggio e pronto soccorso
Segnalazione precoce: sensibilizzare i lavoratori a riconoscere sintomi iniziali (stanchezza anomala, mal di testa, crampi muscolari) e a interrompere tempestivamente l’attività.
Procedure di pronto soccorso:
In caso di colpo di calore: chiamare subito soccorso medico, spostare in ambiente fresco, rimuovere abiti superflui, raffreddare con acqua fresca (non ghiaccio direttamente sulla pelle), monitorare parametri vitali fino all’arrivo dei medici.
Per collasso o crampi: distendere la persona, idratare con soluzioni contenenti sali minerali, monitorare e far riposare in luogo fresco; se sintomi persistono, consultare medico.
Registrazione e analisi degli incidenti: documentare ogni episodio di malattia da calore per migliorare continuamente le misure preventive.
Formazione e comunicazione
Un’efficace strategia di prevenzione richiede:
Formazione continua: moduli dedicati a meccanismi fisiologici, riconoscimento sintomi, corretto utilizzo di DPI e strumenti di monitoraggio.
Comunicazione rapida durante ondate di calore: avvisi ai lavoratori su condizioni meteorologiche estreme, consigli pratici su idratazione e pause.
Coinvolgimento dei lavoratori: feedback su efficacia delle misure, segnalazione di criticità, condivisione di buone pratiche.

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