LAVORARE ALL’ESTERO: LA SICUREZZA È UNA PRIORITÀ ASSOLUTA

In un mondo sempre più a rischio i pericoli per i lavoratori delle imprese che operano oltreconfine sono in costante aumento

Ecco perché è necessario investire ancora di più in prevenzione e formazione È ormai divenuta una triste abitudine sentire notizie riguardanti lavoratori italiani e non che vengono sequestrati all’estero nelle aree definite “a rischio sicurezza” o “territori ostili”. 

Ovvero tutte quelle zone che, soprattutto dopo le fallimentari primavere arabe, sono divenute dei posti insicuri in cui lavorare e condurre delle attività imprenditoriali. È il caso di paesi tutt’ora in guerra come (Siria, Iraq, Libia e Yemen), attraversati da instabilità negli ultimi anni (Egitto, Tunisia, Algeria, Sudan, Somalia) o in cui si sono registrati cenni di insurrezione (Mauritania, Giordania, Kuwait, Bahrein). Il problema dei lavoratori sequestrati ormai ha raggiunto livelli esponenziali. 

Solo per citare alcuni casi, basti ricordare Sergio Zanotti rapito in Siria nel dicembre scorso, o Danilo Calonego e Bruno Cacace, rapiti insieme al loro collega italo-canadese Frank Boccia la mattina del 19 settembre a Ghat, nel sud della Libia, dove lavoravano per la società Con.I.Cos. Sono stati liberati a inizio novembre 2016 grazie a una brillante operazione dei nostri servizi di intelligence che hanno operato in collaborazione con i servizi di sicurezza libici. Ma a quanto è risultato finora – e sarebbe un fatto grave se fosse confermato dall’esito definitivo delle indagini – la società per cui operavano non aveva comunicato al ministero degli Esteri la loro presenza in Libia.


Da anni è risaputo che chiunque si sposti dall’Italia all’estero deve comunicarlo con anticipo al ministero degli Esteri. Se la destinazione sono Paesi a rischio, è bene che a questa prassi si attengano tanto i comuni cittadini quanto, ancor di più, quelle aziende che inviano a lavorare in questi posti i propri dipendenti o collaboratori. È altrettanto importante consultare siti come www.viaggiaresicuri.it al fine di verificare le condizioni generali e di sicurezza del Paese di destinazione, così come registrarsi al sito www.dovesiamonelmondo.it per permettere alle autorità il monitoraggio dei propri spostamenti e consentire a Farnesina, forze armate e servizi di intelligence di intervenire tempestivamente in caso di sequestro. 

I fattori sensibili 

Prima di fare qualsiasi altra considerazione, è necessaria una panoramica completa su
questo argomento, anzitutto esaminando i fattori di pericolo e di rischio. 

Iniziamo con i fattori di carattere socio-politico. L’atteggiamento delle comunità locali rispetto alla percezione dei lavoratori stranieri può variare molto di Paese in Paese. I lavoratori stranieri possono essere visti come “trafugatori” delle risorse del Paese in cui vanno a operare, oppure come un valido aiuto per il miglioramento delle condizioni di vita in quel Paese. 

Il prevalere di un atteggiamento sull’altro può dipendere dalla situazione politica del momento con tutte le possibili sfumature, comprese due prospettive antitetiche. Talvolta è il governo del Paese in cui si arriva a essere considerato non rappresentativo delle comunità locali. Pertanto, il fatto che autorizzi l’impiego di lavoratori stranieri può giustificare la condotta di azioni dirette contro di essi, visti come uno “strumento” del governo. In questo caso, le ambasciate e i consolati rivestono una funzione insostituibile di informazione e supporto per chiunque arrivi in Paesi in cui vi sono situazioni del genere. Vi sono poi fattori di carattere logistico. 

Non è possibile credere che gli standard di vita di tutti i Paesi in cui si va a operare siano equivalenti ai nostri. Occorre perciò valutare ogni singolo aspetto non dando mai niente per scontato. Per chiarire questo concetto va valutata molto bene l’esposizione sistematica al fattore di rischio “infortunio in itinere” dei lavoratori, derivante dall’utilizzo di veicoli non in condizioni di completa efficienza meccanica, e di conduttori locali non adeguatamente addestrati o in condizioni psico-fisiche alterate. 

A seguire vi sono fattori ambientali che comprendono: quelli derivanti da malattie endemiche (“tipiche” come la malaria o come quelle causate dal contatto con fauna e flora locali); dalle condizioni climatiche (dall’ipotermia in Siberia al colpo di calore nel deserto); dalle attività produttive svolte sia nelle immediate vicinanze del posto di lavoro che in quello di residenza (come ad esempio raffinerie, centrali nucleari, fabbriche con particolari tipologie di rischio anche terroristico); dai fenomeni naturali (monsoni, uragani, tempeste tropicali, terremoti, maremoti); dalle condizioni igienico-sanitarie (comprese le località di residenza dei lavoratori); dalla presenza di potenziali “obiettivi sensibili” di svariata natura e valenza variabile a seconda delle condizioni socio-politiche locali. 

Non da meno sono i fattori religiosi. L’estremismo di origine religiosa rappresenta un concreto rischio per tutti i lavoratori occidentali che operano in aree dove questo fenomeno è radicato oppure è in fase di espansione. In tal caso il pericolo assume specifica rilevanza poiché la percezione cosciente di questa tipologia di rischio non è ancora presente tra i locali né, tantomeno, tra i lavoratori. 

Questi fattori si intrecciano con quelli culturali. Il processo di globalizzazione mondiale non ha necessariamente standardizzato le culture in molti dei Paesi in cui i lavoratori possono operare, per cui il modo di porsi nei confronti dei locali da parte dei lavoratori può determinare situazioni d’imbarazzo che, nel migliore dei casi, potrebbero sfociare in situazione di tensione, in quanto offensive degli usi e abitudini degli abitanti locali. 

Questa può essere la prima frattura in cui altri fattori di rischio possono determinare la nascita e la diffusione di sentimenti ostili, tali da indurre azioni dirette di varia natura contro i lavoratori da parte dei locali. Inoltre, la presenza di organizzazioni criminali costituisce una seria minaccia per i lavoratori, sia perché può impattare sullo svolgimento delle attività lavorative sia perché potrebbe indurre all’adozione di un comportamento non conforme alle leggi locali che spesso prevedono l’erogazione di pene molto severe in penitenziari locali. I pericoli derivanti dalla delinquenza comune non devono essere sottovalutati. 

Non si tratta solo del rischio di subire un furto, perché a volte il livello di violenza a essi potenzialmente correlato può trasformare un semplice furto in una rapina con conseguenze estreme per la vittima. 

L’importanza di prevenzione e informazione 

È pertanto di vitale importanza che ogni azienda conosca bene l’area in cui manderà a operare i proprio dipendenti. 

A tal fine è necessario: - predisporre attività di indagine per acquisire conoscenze ed esperienze sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative in sicurezza; - formare il personale e predisporre visite mediche da parte del medico competente i lavoratori prima della trasferta; - organizzare la security e la necessaria logistica nel Paese in cui si andrà a operare e monitorare e supervisionare continuamente lavoratori in trasferta; - predisporre una scorta armata per i trasferimenti nei luoghi dove opereranno i dipendenti; - dove possibile, costituire un team competente in crisis management e sviluppare un business continuity plan per poter gestire eventuali situazioni d’emergenza. 

Solo in questo modo le aziende possono iniziare a percepire concretamente gli specifici e generici fattori di rischio dell’area estera dove operano i loro dipendenti. Tutto ciò dimostra che non bisogna mai sottovalutare i rischi soprattutto perché, specie in alcuni Paesi stranieri, basta veramente poco per subire disagi facilmente evitabili con un minimo di organizzazione, programmazione e attenzione. 

Cosi come, per lunghi periodo di trasferta, è importante la formazione dei dipendenti rispetto a tutti i rischi e pericoli correlati o meno alla mansione che andranno a svolgere all’estero. Solo così le aziende potranno garantire la loro salvaguardia e tutela. 

Le domande da porsi 

Altre problematiche da valutare sono connesse agli standard dei servizi del Paese in cui si va a operare: trasporti stradali, servizi di soccorso medico di emergenza, trasporto aereo interno, caratteristiche degli edifici in cui il personale viene alloggiato. Porsi degli interrogativi al riguardo è assolutamente necessario. 

Ad esempio: può sussistere una responsabilità del datore di lavoro per mancata informazione nel caso in cui un lavoratore, inviato in trasferta in India, al momento di transitare in auto su una strada pubblica, sia stato travolto e successivamente aggredito da un elefante selvaggio fuoriuscito improvvisamente dal bosco? Oppure: può sussistere una responsabilità per difetto di organizzazione nel caso in cui il lavoratore, inviato in Giappone, dovesse rimanere ferito nell’incendio dell’hotel dove l’impresa lo aveva alloggiato? E, ancora: può sussistere una responsabilità per difetto di organizzazione nel caso in cui il lavoratore, colpito da malore in Algeria e trasportato presso l’ospedale locale più vicino, non dovesse ricevere un adeguato e tempestivo soccorso medico? Infine, è compito del datore di lavoro prevenire e proteggere il proprio dipendente o collaboratore dall’attività criminale se il lavoratore viene esposto a questa minaccia per cause lavorative? La giurisprudenza ha dato una risposta affermativa a quest’ultima domanda affermando che è compito dell’impresa prevenire e proteggere dai rischi prevedibilmente connessi all’attività lavorativa. 

Ciò vale sia per gli eventi che possono verificarsi in Italia, sia per quelli che, chiaramente, possono avvenire all’estero. Per quanto riguarda un atto criminale subito sul territorio italiano, l’8 aprile del 2013 la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8486, relativa a una richiesta di risarcimento presentata da un dipendente al proprio datore di lavoro per essere stato vittima di una rapina, ha stabilito quanto segue: «Fa carico allo stesso imprenditore valutare se l’attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione».


Ciò vale anche per quanto riguarda un atto criminale subito all’estero. Sempre dalla Corte di Cassazione è arrivata il 22 marzo del 2002 la sentenza n. 4129, relativa a una richiesta di risarcimento presentata da un dipendente al proprio datore di lavoro per essere stato vittima di un rapimento in Somalia. La sentenza recita: «l’obbligo dell’imprenditore di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti impone l’adozione e il mantenimento non solo di misure di tipo igienico, sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad attività pur se allo stesso non collegate direttamente come le aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi». 

Il rischio terrorismo 

A tutto questo oggi si aggiunge l’imperante e continuo rischio del terrorismo globale e la crescente aggressività di nuovi gruppi terroristici che compiono attentati o sequestri di persona a fini economici, anche in aree considerate finora sicure. Ormai le azioni delle formazioni terroristiche non colpiscono solo obiettivi istituzionali ma anche i cosiddetti “soft target”: eventi sportivi, teatri, ristoranti, hotel, club, scuole, centri commerciali e installazioni turistiche, oltre che mezzi di trasporto aerei, marittimi e terrestri, specie dove si registra un’elevata presenza di cittadini stranieri. 

Questi attacchi, seppur effettuati in maggior misura in Paesi e aree in cui si registrano situazioni belliche o notevoli criticità come Siria, Libia, Iraq o Afghanistan, non hanno tuttavia risparmiato capitali europee e di altri Paesi occidentali. Tra i Paesi considerati maggiormente a rischio troviamo: Messico, Colombia, Perù, l’intera area del Maghreb, Mauritania, Mali, Niger, Nigeria, Tunisia, Egitto, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, Yemen, Thailandia, Filippine. 

Tuttavia, visto il rapido mutamento della mappa dei rischi geopolitici sul pianeta, l’elenco dei Paesi in cui è necessaria un’adeguata cautela di movimento è ben più esteso. Si ritorna pertanto a delle cruciali domande a cui è necessario dare delle risposte. Quanto un imprenditore è disposto a rischiare per il proprio business? Fino a che punto si può rischiare pur di condurre in porto gli affari? E, al contempo, è plausibile che per cedere ai timori di pericoli si blocchi il normale evolversi della crescita economica sia dei Paesi ospitanti che di tanti Paesi i quali, essendo ormai parte a tutti gli effetti del processo di globalizzazione, sono orientati a espandere le proprie aziende e a investire al di fuori dei perimetri nazionali, pena il crollo del loro sviluppo e il rischio della perdita di opportunità e posti di lavoro? 

Conclusioni 

Insomma, da parte di tutti gli attori della vita civile, politica, sociale, economica e produttiva, è vitale e non più procrastinabile far propria una vera cultura della sicurezza, intesa non solo come semplice protezione fisica, logistica e delle risorse tangibili e intangibili, ma come volano e, di conseguenza, consolidamento dell’economic development. Vi è solo una strada da percorrere. Poca demagogia e qualunquismo, a favore di serietà, competenza, prevenzione. Il tutto deve essere coniugato allo studio attento dell’area in cui si va a operare e a una massima attenzione, adottando specifiche misure senza lesinare impegno economico per la protezione e la sicurezza dei lavoratori. 

Fonte: Biagino Costanzo Chief Security Officer di Altran Italy and Altran South East Europe Docente di Scienze criminologiche per la difesa e la sicurezza



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