Cassazione Penale, Sez. 7, 27 aprile 2021, n. 15829 - Plurime violazioni in materia di sicurezza

2021

FattoDiritto



1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Cassino, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, condannava L.T. alla pena di 6.000 euro di ammenda, perché ritenuta responsabile di plurime violazioni al d.lgs. n. 81 del 2008, come contestate ai capi A), B), C) e D) della rubrica.

2. Avverso la sentenza, l'imputata, tramite il difensore di fiducia, ha proposto appello, eccependo, in primo luogo, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. Ad avviso del ricorrente, l'appellabilità delle sentenze che abbiano irrogato la sola pena dell'ammenda garantirebbe la possibilità di dedurre errori motivazionali, sicché la preclusione prevista dalla disposizione censurata non sarebbe compatibile con il dettato dell'art. 24 Cost., anche considerando che il sistema prevede l'appellabilità delle sentenze di proscioglimento, e ciò, a fortiori, in relazione alla valutazione dei presupposti della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.
Nel merito, la ricorrente chiede, in principalità, l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo, ritenuto in maniera apodittica del Tribunale, in via gradata l'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., non essendo a ciò ostativo il riconoscimento del vincolo della continuazione, e l'applicazione della sospensione condizionale della pena.

3. In data 22 febbraio 2021, il difensore dell'imputato ha depositato memoria difensiva, con cui chiede la trasmissione degli atti alla Corte di appello, giudice che si assume essere competente per la proposta impugnazione.

4. In primo luogo va osservato che avverso l'impugnata sentenza, la quale ha inflitto la pena dell'ammenda, è esperibile solamente ricorso per cassazione, e tale deve qualificarsi, ai sensi dell'art. 568 cod. proc. pen., l'impugnazione proposta come appello, avendone i requisiti di forma e di sostanza.
Invero, l'istituto della conversione dell'impugnazione previsto dall'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., ispirato al principio di conservazione degli atti, determina l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini dell'impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 - dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv. 213835), ciò che è ravvisabile nel caso di specie.

5. Quanto alla ventilata eccezione di illegittimità costituzionale, si osserva che la stessa è già stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte (cfr., tra le altre, le sentenze n. 14087 del 24/1/2013, Mendala, Rv. 255047, n. 27366 del 23/5/2001, Feletto, Rv. 219985, e n. 8340 del 18/12/2000, Trapletti Rv. 218194), alle quali integralmente si rinvia) in particolare, si è affermato, in maniera pienamente condivisibile, che il diritto all'appello non è costituzionalizzato, sicché esso non può ritenersi imposto dall'art. 24 Cost., né la suddetta limitazione confligge con il principio di ragionevolezza desunto dall'art. 3 Cost., in quanto il legislatore può ragionevolmente escludere l'appello per il caso in cui il giudice abbia condannato il contravventore alla sola pena dell'ammenda e conservarlo per il caso in cui il giudice abbia irrogato la pena dell'arresto, sicché la diversità di trattamento è giustificata dalla diversa della gravità del reato (così n. 8340 del 18/12/2000, cit.).

6. Nel merito, le censure sono inammissibili perché articolate in fatto, e, dunque, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, atteso il costante principio per cui il controllo da parte della Corte di cassazione sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).

7. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, il Tribunale ha evidenziato come il documento di valutazione dei rischi fosse largamente incompleto, e la redazione di tale documento spetta esclusivamente al datore di lavoro, in quanto esso rappresenta il presupposto razionale di qualsiasi programmazione della sicurezza e dell'individuazione delle misure cautelari pertinenti, il cui scopo è, appunto, quello di contrastare i rischi riconoscibili; in relazione a tale grave mancanza, il Tribunale ha ravvisato il dolo, come emerge dalla parte della motivazione relativa al trattamento sanzionatorio, avendo il Tribunale ritenuto che le plurime e gravi violazioni fossero espressione di un'unica ideazione di più azioni antigiuridiche, dall'inizio programmate nella loro linee essenziali, che abbracciava non solo la mancata completa predisposizione del documento di valutazione dei rischi, ma anche le ulteriori violazioni accertate in sede ispettiva, tutte incentrate sull'inosservanza di specifici doveri che fanno capo al datore di lavoro, come l'obbligo di far controllare preventivamente, da parte del medico competente, la salute dei lavoratori, l'obbligo di fornire ai lavoratori adeguati dispositivi di proteine individuali e l'obbligo di assicurare, ai lavoratori medesimi, una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza: obblighi sistematicamente elusi da parte della ricorrente, nella sua qualità di datore di lavoro.

8. Quanto alla sussistenza dei requisiti previsti per l'integrazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., anche a voler seguire l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod. pen., non osta la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, quando le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva (Sez. 2, n. 9495 del 07/02/2018 - dep. 02/03/2018, P.G. in proc. Grasso, Rv. 272523), il Tribunale ha valorizzato la pluralità di violazioni di diverse disposizioni cautelari in materia di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro, il che è evidentemente avvenuto in tempi diversi, ciò che non solo integra il requisito dell'abitualità, che assume valenza ostativa, ma è anche stato ritenuto espressione di una non trascurabile offensività della condotta.

9. In relazione al mancato riconoscimento della sospensione della pena, peraltro nemmeno richiesta in via gradata nel giudizio di merito in sede di conclusioni, il Tribunale ha espresso una valutazione di fatto non manifestamente illogica, e quindi non censurabile in questa sede di legittimità

10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.




P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 26/02/2021.


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