Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2021, n. 35858 - Operaio schiacciato dal trattore. L'alterazione alcolica non elide il nesso causale della mancata vigilanza del datore di lavoro sull'uso della cintura di sicurezza

2021

Fatto




1. La Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo, con la quale - riconosciute le circostanze attenuanti generiche e il concorso della vittima - T.G. era stato condannato per il reato di cui all'art. 589 c. 2, cod. pen., ai danni del lavoratore C.F.G., ha rideterminato favorevolmente la pena, confermando nel resto.
Oggetto del procedimento è un infortunio sul lavoro accaduto il 15 ottobre 2014 all'interno di un'azienda agricola nel quale ha perso la vita il lavoratore, operaio alle dipendenze della ditta "V. snc di T.", della quale l'imputato è legale rappresentante. A costui si è contestato di non avere adottato tutte le misure di prevenzione idonee a fare osservare ai lavoratori dipendenti l'obbligo di far uso della cintura di sicurezza alla guida dei trattori agricoli. Nell'occorso, secondo la ricostruzione rinvenibile nella sentenza impugnata, il lavoratore non aveva indossato il presidio di sicurezza e, a causa di un ribaltamento del mezzo dallo stesso condotto, era rimasto schiacciato, dopo essere stato sbalzato fuori dalla cabina di guida.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso il T.G. con proprio difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione con riferimento a due aspetti della decisione: la ritenuta inosservanza di norme antinfortunistiche da parte del datore di lavoro e la incidenza del comportamento del lavoratore sul nesso causale tra la condotta omissiva contestata e l'evento.
Quanto al primo profilo, si assume la illogicità e contraddittorietà del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale che non avrebbe tenuto conto del diritto vivente, in base al quale è stato ridisegnato il rapporto datore di lavoro/lavoratore, in punto osservanza degli obblighi antinfortunistici, passandosi da un modello iperprotettivo a uno collaborativo, nel quale gli obblighi incombono anche sul lavoratore.
Dalla istruttoria era emerso che l'attività di formazione e informazione dei lavoratori, predisposta dall'imputato nella qualità, era stata adeguata; che era invalsa la prassi di spiegare le caratteristiche dei mezzi utilizzati e che il T.G., a causa delle dimensioni dell'azienda, dislocata su plurimi fondi agricoli, non poteva assicurare una presenza costante su ciascuno per tutta la giornata; egli, inoltre, aveva provveduto a consegnare i dispositivi di sicurezza, vigilava costantemente sull'osservanza delle prescrizioni, provvedendo a redarguire i lavoratori inosservanti e aveva sottoposto a revisione il DVR. Sul punto, la difesa ha pure contestato il rilievo assegnato dai giudici territoriali a un precedente, analogo infortunio, con esito non mortale, rilevando che quella vittima, sentita in dibattimento, si era assunta la responsabilità dell'accaduto e che, a differenza del caso in esame, la stessa era stata perfettamente sobria.

Quanto al secondo profilo, la difesa ha censurato la valutazione del comportamento tenuto dalla vittima nell'occorso, non condividendo la considerazione secondo cui lo stato di ebbrezza del C.F.G. avrebbe svolto solo un ruolo di concausa nel determinismo dell'evento. Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe tenuto in debito conto quanto emerso nell'istruttoria riguardo al grado di alcolemia riscontrato nel sangue della vittima, né degli effetti che tale concentrazione può aver avuto sul suo comportamento, essendo emerso che costui non aveva mai dato segni di alterazione legati alla assunzione di sostanze e che, il giorno dell'infortunio, era stato accompagnato dallo stesso T.G. sul luogo di lavoro. Il consulente della difesa, inoltre, avrebbe chiarito che lo stato di alterazione aveva senz'altro contribuito a causare la disattenzione del dipendente, cosicché, secondo la prospettazione difensiva, una condizione di lucidità avrebbe indotto il C.F.G. a valutare di allacciare la cintura e evitare la manovra grossolana approntata o, quantomeno, a porvi immediato rimedio.


Diritto


1. Il ricorso va rigettato.


2. La penale responsabilità dell'imputato, nella qualità di datore di lavoro della vittima, è stata ritenuta dai giudici del doppio grado di merito con valutazioni tra di loro coerenti e basate sul medesimo materiale probatorio.
In particolare, la Corte territoriale, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali pure indicate in sentenza, mediante un richiamo a quella appellata, ha precisato che la vittima, prima dell'intervento in cui perse la vita, si trovava alla guida di un trattore agricolo tra i filari di un vigneto, nell'espletamento di un'attività lavorativa assegnatagli, senza avere allacciato la cintura di sicurezza, presidio che avrebbe impedito la sua eiezione dall'abitacolo a seguito del ribaltamento del mezzo e, dunque, lo schiacciamento sotto la traversa superiore della cabina di guida, conseguenza che la protezione del relativo telaio avrebbe scongiurato.
L'unico addebito che i giudici territoriali hanno ritenuto comprovato dagli esiti dell'istruttoria e punto focale della questione devoluta, è dunque quello che riguarda il mancato controllo - da parte datoriale - dell'osservanza - da parte dei lavoratori - dell'obbligo di indossare i presidi di sicurezza in dotazione e, in particolare, di allacciare la cintura di sicurezza ogni qualvolta si trovavano alla guida del trattore agricolo, essendo emersa una contraria prassi aziendale che i dipendenti seguivano per sveltire l'attività, nonostante i richiami verbali loro rivolti dal datore di lavoro, il quale, agendo solo per tale via, non aveva dato corretta attuazione alle disposizioni contenute nel DVR.
Inoltre, sulla scorta di quanto riferito dal tecnico SPISAL, la Corte d'appello ha evidenziato la circostanza che il DVR era rimasto generico sul punto specifico, anche dopo la sua revisione, non parlando dell'uso delle cinture di sicurezza, osservando altresì come, dopo il verificarsi di un precedente, analogo infortunio, sia pur non mortale, il datore di lavoro si fosse limitato a ammonire i dipendenti a stare più attenti, nella consapevolezza della diffusa noncuranza di costoro circa l'osservanza degli obblighi imposti e nella impossibilità di essere presente sul luogo in maniera continuativa a causa delle dimensioni dell'azienda che ne richiedevano la presenza anche presso altri fondi.
Quanto, poi, al comportamento della vittima e alla sua incidenza sul nesso causale, la Corte territoriale ha rilevato che il C.F.G., nell'occorso, stava eseguendo un compito assegnatogli, ponendo in essere la manovra che ha determinato lo scivolamento del mezzo nella scarpata. Lo stato di ebbrezza, concausa nel determinismo dell'evento, non ha rappresentato una condotta eccentrica e anomala, tale da spezzare il nesso causale tra l'omissione addebitata al datore di lavoro e l'evento, certamente evitabile mediante l'uso della cintura di sicurezza.

3. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.
In linea generale, va intanto ribadito che, in caso di doppia sentenza conforme (e tali devono considerarsi le due sentenze di merito quanto alla affermazione della penale responsabilità degli imputati), la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).
Va, poi, riaffermata l'estraneità, al vaglio di legittimità, degli aspetti del giudizio che si sostanzino nella valutazione del significato degli elementi probatori attinenti interamente al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

Infine, deve rilevarsi che la illogicità del percorso motivazionale articolato dai giudici di merito può tradursi in vizio deducibile in sede di legittimità solo in quanto sia manifesta, come espressamente prevede l'art. 606, c. 1, lett. e) cod. proc. pen.

4. Nella specie, la difesa ha contestato l'addebitabilità al T.G. della omissione dell'obbligo di vigilare adeguatamente sull'osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza da parte dei lavoratori, senza tuttavia confrontarsi in maniera adeguata con la motivazione censurata, con la quale i giudici territoriali hanno rilevato come, a fronte di una prassi lavorativa incurante delle previsioni di sicurezza predisposte - abitudine della quale il T.G. era a conoscenza, anche a causa di un precedente, analogo infortunio - l'imputato avesse continuato a ricorrere ai richiami verbali, senza approntare un più efficace sistema di controllo. I giudici territoriali non hanno, pertanto, ritenuto la responsabilità dell'imputato per il sol fatto di ricoprire la relativa posizione di garanzia nei confronti della vittima, ma ne hanno compiutamente scrutinato l'obbligo di vigilanza, certamente incombente sul medesimo, concludendo per la sua inosservanza o inadeguata attuazione, avuto riguardo ai dati emersi dalla istruttoria (in particolare, l'esistenza di una prassi elusiva e la conoscenza di essa da parte dell'obbligato).
Ciò si pone in linea di perfetta coerenza con i principi già affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (cfr. sez. 4, n. 14915 del 14/2/2019, Arrigoni Giovanni, Rv. 275577). Ciò che si è contestato al T.G., dunque, è l'omessa previsione e predisposizione di un più efficace sistema di controllo, una volta che il precedente infortunio aveva disvelato l'assoluta inadeguatezza del mero richiamo verbale (sul punto, cfr. anche sez. 4, n. 26294 del 14/3/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960, in cui si è addirittura affermato, per il caso di nomina di un preposto, ciò che nella specie non e avvenuto, che il datore di lavoro deve controllare che costui, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; con la conseguenza che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche).
Tali conclusioni, peraltro, non configurano una inammissibile responsabilità da posizione, avendo l'istruttoria consentito di accertare la perfetta consapevolezza e, dunque, la esigibilità del comportamento alternativo lecito, da parte del T.G., della violazione dell'obbligo di indossare la cintura di sicurezza alla guida del trattore da parte dei suoi dipendenti (cfr. sez. 4, n. 32507 del 16/4/2019, Romano Anna Antonia, Rv. 276797).
In conclusione, deve dunque affermarsi il principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo datoriale di vigilare sull'esatta osservanza delle norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori può dirsi assolto solo ove l'obbligato predisponga e dia attuazione a un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto anche delle prassi da costoro seguite, delle quali il datore di lavoro sia a conoscenza.

5. Quanto al secondo profilo, le conclusioni dei giudici territoriali sono del tutto coerenti con i principi già affermati da questa Corte di legittimità, con specifico riferimento al tema dell'effetto interruttivo del comportamento del lavoratore sul decorso causale.
È certamente vero, infatti, che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Data tale premessa in diritto, non si rinviene - nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito - alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, tengono in debito conto i principi testé richiamati. Nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli e lo stato di alterazione alcolica, se pure ha contribuito a causare lo scivolamento del trattore, tuttavia non ha eliso il collegamento causale tra la mancata vigilanza da parte datoriale circa l'osservanza della regola cautelare specifica (allacciamento della cintura) e l'evento mortale verificatosi proprio a causa di tale inosservanza.

6. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Deciso il 14 settembre 2021


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