Cassazione Penale, Sez. 4, 30 ottobre 2019, n. 44168 - Infortunio con la macchina per l'estruzione della pasta. Non si può parlare di vizio occulto se manca un sistema di blocco automatico all'apertura del carter

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2019


Fatto

1. La Corte di appello di Venezia il 12 luglio 2018 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Rovigo il 9 dicembre 2016, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto R.B. responsabile del reato di lesioni colpose gravi nei confronti di C.T., con violazione della disciplina antinfortunistica, in conseguenza condannandolo, con le attenuanti del risarcimento del danno e le generiche stimate prevalenti sull'aggravante, alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa.
2. Il fatto, in estrema sintesi, come concordemente ricostruito dai giudici di merito.
2.1.Il 20 febbraio 2012 l'operaio C.T., dipendente della s.r.l. "R.B. Industria Alimentare", il cui legale rappresentante è R.B., è rimasto coinvolto in un infortunio sul lavoro.
Mentre era in funzione un macchinario marca Canol marchiato CE per l'estrusione dell'impasto, macchinario che era stato acquistato dall'impresa quattro anni prima, nel settembre 2010, essendosi verificato un esubero di pasta che si era incastrata ed ammucchiata, C.T. era intervenuto per rimuovere la pasta: in particolare, aveva alzato il carter di protezione - carter incernierato munito di maniglia e privo di sistemi di interblocco - presente sul mezzo, senza tuttavia previamente spegnere il motore, ed il macchinario di compressione della pasta (spatole in movimento), che aveva continuato a funzionare non essendo previsto un sistema di blocco automatico all'apertura del carter, gli aveva schiacciato il primo dito della mano destra, con conseguente sub-amputazione traumatica dello stesso, cui conseguiva l'impossibilità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di quaranta giorni.
2.2.1 giudici di merito hanno riscontrato l'assenza di un pulsante di emergenza per il blocco dell'impianto sito a breve distanza dall'agente, l'assenza di cartelli o di pittogrammi che indicassero il pericolo a causa degli organi in movimento, la possibilità, anche a carter chiuso, di infilare le dita lateralmente, venendo così a contatto con le pericolose parti meccaniche mobili in movimento; hanno anche ritenuto carente l'aspetto della formazione e della informazione dei lavoratori rispetto allo specifico rischio; hanno valorizzato la circostanza che la produzione di pasta in esubero si fosse già verificata in passato, senza che fossero state prese iniziative.
In conseguenza, si sono ritenuti violati da parte del datore di lavoro, nella posizione di garanzia rivestita, gli artt. 70, 71, commi 1 e 4, e 37 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, secondo cui, rispettivamente:
«[...] le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto»-
«Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie [...] Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) le attrezzature di lavoro siano: 1) installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d'uso; 2) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all'articolo 70 e siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d'uso e libretto di manutenzione; 3) assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza stabilite con specifico provvedimento regolamentare adottato in relazione alle prescrizioni di cui all'articolo 18, comma 1, lettera z);
«Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda».
La Corte di appello e il Tribunale hanno escluso la sussistenza di una condotta esorbitante o abnorme del lavoratore e hanno affermato l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento dannoso.
Hanno, inoltre, valutato non decisive a favore della difesa le circostanze, pur emerse dall'istruttoria, che il macchinario fosse marcato CE e che il libretto di uso e manutenzione fornito insieme alla macchina fosse privo di un'analisi dei rischi e di indicazioni per condurre la macchina in sicurezza.
3. Ricorre per la cassazione dell'ordinanza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali denunzia difetto di motivazione (il primo motivo, pp. 2-6 del ricorso) e violazione di legge (il secondo, pp. 6-8).
3.1. In particolare, con il primo motivo lamenta la parziale mancanza e/o la illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione relativamente sia all'omessa valutazione dell'esame del consulente tecnico dell'imputato, ing. Pier Luigi C., all'udienza del Tribunale del 6 maggio 2016 (trascrizione allegata al ricorso) e della relazione scritta redatta dallo stesso sia alla valutazione, che si stima essere stata soltanto parziale, della testimonianza della persona offesa all'udienza del 22 gennaio 2016.
3.1.1.Si rammenta, in primo luogo, che la difesa aveva nell'atto di appello sostenuto (primo motivo) la esclusiva responsabilità del costruttore del macchinario, che era stato posto in commercio con il marchio CE ed acquistato dall'Imputato, che non aveva alcun motivo di ritenere che esso non fosse conforme alla normativa in tema di sicurezza sul lavoro.
Al riguardo si rammenta avere in un'occasione la S.C. affermato che non vi è automatismo tra presenza di dichiarazione di conformità CE ed esenzione da responsabilità del datore di lavoro, allorquando, come nel caso in tale occasione esaminato, il vizio del macchinario, lungi dall'essere occulto ed invisibile, era correttamente evidenziato nelle indicazioni fornite dal costruttore-venditore, che richiamava l'attenzione del datore di lavoro-acquirente, con ciò mostrando grande serietà (Sez. 4, n. 7294 del 23/02/2010, Cova, non mass., in motivazione, p. 5); e sottolinea che, al contrario, nel caso di specie è emerso che il manuale di uso e di manutenzione fornito dal costruttore era carente dell'analisi dei rischi e non conteneva le indicazioni per operare in sicurezza, con particolare riferimento alla agevole sollevabilità dello sportello-carter posto sopra le parti meccaniche in movimento ed all'assenza di pitttogrami per indicare le parti pericolose, come evidenziato dal consulente della difesa sia nella relazione scritta che nell'esame all'udienza del 6 maggio 2016.
Si tratterebbe di elementi favorevoli alla difesa non considerati nella sentenza di appello.
3.1.2.Inoltre, quanto alla distanza tra il macchinario ed il pulsante di blocco di emergenza, la Corte di merito, alla p. 7, scrive che esso si trovava ad alcuni metri, basandosi solo sulla dichiarazione del tecnico del Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti del lavoro (acronimo: Spisal) Ermanno S., mentre la persona offesa ha detto che "il fungo" da premere nei casi di emergenza si trovava a due metri, così contraddicendo - si assume - il tecnico: ebbene, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe colto né spiegato l'aporia che era stata segnalata alla p. 8 dell'appello.
3.1.3. Infine, quanto alle ritenute lacune informative e formative del personale, osserva il ricorrente :
che la Corte di merito, alla p. 7, definisce "insufficiente" l'avere portato a conoscenza dei dipendenti il manuale informativo ex d. lgs. n. 626 del 1994, senza considerare, però, che, per stessa ammissione della persona offesa all'udienza del 22 gennaio 2016, è emerso che la stessa aveva ricevuto e letto il manuale, che prevede espressamente, tra l'altro, i divieti sia di effettuare manutenzioni su macchine senza autorizzazione del datore di lavoro senza avere prima spento le stesse sia di rimuovere le protezioni delle macchine;
quanto alla frequenza di corsi di formazione e, in genere, alla formazione degli operai, la Corte di appello scrive, alla p. 7, che C.T. ha dichiarato di non avere seguito corsi specifici, trascurando, però, che alle pp. 13 e 14 del verbale dell'udienza del 22 gennaio 2016 (allegato al ricorso) si legge che la p.o. ha ammesso di avere sicuramente fatto dei corsi e di avere avuto spiegazioni "sul campo" da parte di un collega più anziano.
In conseguenza, si registrerebbe nella giustificazione della sentenza impugnata «mancanza parziale e contraddittorietà della motivazione con travisamento delle prove [...] indicate in relazione alla sussistenza della condotta, all'attribuibilità dei fatto all'imputato e/o alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato» (così alla p. 6 del ricorso).
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura inosservanza della legge penale (artt. 40 e 41, comma 2, cod. pen.) in relazione alla interruzione del nesso di causalità tra condotta ed evento dovuta alla presenza di una condotta abnorme/esorbitante posta in essere dalla della persona offesa.
Richiamato il motivo di appello sullo specifico punto (terzo motivo) e la parte di motivazione in cui la Corte territoriale sottolinea l'essere già emerso un malfunzionamento della macchina (p. 8) trascurato però dall'imputato, si sottopone la decisione a censura, in quanto, ad avviso del ricorrente, il comportamento colposo di C.T. avrebbe interrotto il nesso causale.
Infatti, la persona offesa ha ammesso nel corso dell'udienza del 22 gennaio 2016 di avere ricevuto istruzioni sul funzionamento della macchina impastatrice da un collega più esperto, di avere avuto indicazioni sui pulsanti per arrestare la macchina, di sapere quali fossero le parti in movimento e, quindi, pericolose: in conseguenza, la condotta dello stesso - si assume - non sarebbe stata conforme ai canoni di diligenza e di prudenza né alla disposizioni contenute nel manuale informativo che lo stesso ha sottoscritto.
La sentenza di condanna sarebbe, perciò, in contrasto con il principio di auto-responsabilità del lavoratore, specialmente sottolineato nella decisione di Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini e altro, Rv. 266073 (sub nn. 9 e 10 del "considerato in diritto"; la massima ufficiale della decisione recita: «In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del
lavoratore. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori)»).
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza Impugnata.




Diritto




1.Premesso che la prescrizione del reato non è maturata (20 febbraio 2012 + sette anni e sei mesi = 20 agosto 2019 + 61 gg. di sospensione della prescrizione per rinvio chiesto dalla difesa all'udienza del 13 luglio 2016 = 21 novembre 2019), il ricorso è infondato.
1.1. Quanto al primo motivo, è ben noto al Collegio il - rigoroso - principio di diritto secondo cui «Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità» (Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi e altro, Rv. 241020, in conformità v. Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro Rv. 259229; cfr. altresì più recentemente, volendo, Sez. 4, n. 36169 del 28/03/2019, Baldini, non mass., sub n. 2 del "considerato in diritto").
Dovendosi dare continuità, in via generale, al richiamato principio di diritto, si prende atto che entrambe le decisioni di merito, con motivazione sufficiente, congrua e logica, hanno escluso che possa parlarsi nel caso di specie di un vizio "occulto", spiegando che il carter non era bloccato e che era provvisto di una maniglia che ne consentiva l'agevole apertura, che, una volta aperto, il motore continuava a funzionare e la situazione di pericolo era agevolmente rilevabile.
1.2. Quanto al secondo motivo, i giudici di merito alla p. 8 della sentenza impugnata e alla p. 3 di quella del Tribunale, hanno escluso, con motivazione adeguata ed immune da vizi, la esorbitanza-abnormità della condotta dell'infortunato, che, peraltro, era in sostituzione di un altro collega e, quindi, non poteva dirsi un esperto, essendo in genere addetto a macchinari di più facile impiego (come si legge alla p. 7 della sentenza della Corte di appello). 
Né giova alla tesi difensiva l'insistito richiamo svolto dall'avvocato in discussione al contenuto delle pp. 27-29 del verbale dell'udienza del 22 gennaio 2016, in cui è stato sentito l'infortunato (verbale allegato al ricorso), il quale ha fatto riferimento ad una condotta istintivamente posta in essere, in quanto argomento già svolto in appello e già adeguatamente preso in considerazione e disatteso dalla Corte di appello di Venezia (p. 8).
Non risulta, invece, richiesta in precedenza l'applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., che è stata invocata nella discussione innanzi la S.C. sia perché motivo nuovo, dedotto peraltro solo verbalmente, in cassazione sia perché «In tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 609, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d'appello. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la questione postula un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimità, ma che poteva essere proposto al giudice procedente al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione, come motivo di appello ovvero almeno come sollecitazione in sede di conclusioni del giudizio di secondo grado)» (Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678-01; in conformità, Sez. 7, ord. n. 43838 del 27/05/2016, Savini, Rv. 268281-01; Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv. 269913-01; Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Semmah Ayoub, Rv. 275782-01).
Si prende atto che il giudizio di primo grado e quello di appello si sono celebrati dopo l'entrata in vigore dell'art. 131-bis cod. pen. (introdotto dall'art. 1, comma 2, del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, in vigore dal 2 aprile 2015).
1.3. In ogni caso, entrambi i motivi di ricorso, al di là della categorie giuridiche formalmente invocate, sono incentrati su di un vizio di motivazione, malgrado la doppia conforme e la non ravvisabilità di alcun "travisamento" (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa: cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
2.Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.) al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 17 ottobre 2019


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