Cassazione Penale, Sez. 4, 21 ottobre 2021, n. 37819 - Infortunio durante la pulizia del tornio. Anche se il comportamento del lavoratore è imprudente, l'accesso alle parti in movimento del macchinario deve essere impedito

2021

Fatto


1. La Corte d'appello di Milano, in data 27 febbraio 2020, ha riformato nel solo trattamento sanzionatorio (previa concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen. e sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria), e ha per il resto confermato, la sentenza con la quale, il 5 novembre 2018, il Tribunale di Milano aveva condannato A.C.M. alla pena ritenuta di giustizia per il reato p. e p. dall'art. 590, commi 1 e 3 cod.pen., in relazione all'art. 583 comma 1, cod.pen., contestato come commesso in Novate Milanese il 14 gennaio 2015, con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il A.C.M. risponde del suddetto reato quale direttore operativo della T. s.r.l. e datore di lavoro di D.B., operatore specializzato in manutenzione rotabile. Il D.B., al termine del lavoro di tornitura delle ruote di un vagone ferroviario, decideva di eseguire un'operazione di pulitura di alcuni trucioli rimasti incastrati tra la ruota del treno e il rullo di trascinamento; a tal fine si procurava uno straccio e cercava di eseguire la pulitura dapprima a macchina spenta, poi accendendo il tornio. In tal modo, la mano dell'operaio veniva risucchiata dalla macchina in movimento nella zona di contatto tra la ruota e i rulli, cagionando le lesioni meglio descritte in atti (amputazione di tre dita della mano destra, con conseguente indebolimento dell'organo di apprensione). In tal modo, secondo l'addebito, il A.C.M. avrebbe violato in particolare l'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, per avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di adeguati sistemi di sicurezza, ossia nella specie di un'adeguata protezione che impedisse di raggiungere la zona pericolosa della macchina.
Nel rigettare l'appello proposto dall'imputato, confermando di massima la sentenza di condanna di primo grado, la Corte ambrosiana ha affermato che l'infortunio si era certamente verificato a causa di un comportamento del lavoratore improntato a leggerezza e sconsideratezza, ma era imputabile a una condizione di scarsissima sicurezza in cui versava l'intero comparto, successivamente corretta con l'adozione di misure preventive a seguito delle contestazioni mosse dagli operatori dell'ASL. Quanto al A.C.M., nella sua posizione di titolare della posizione di garanzia datoriale, risultava confermato dalla Corte d'appello l'addebito a lui mosso di aver cagionato l'infortunio a causa dell'estrema facilità con cui i rulli erano accessibili al lavoratore; non era invece stata operata una adeguata valutazione del rischio e, conseguentemente, vi era una carenza di programmazione dei presidi idonei quanto meno per contenere il rischio stesso.
Sono state disattese dalla Corte territoriale anche le ulteriori argomentazioni difensive relative al comportamento della persona offesa, che secondo l'appellante doveva giudicarsi come abnorme: ciò in quanto il D.B. era impegnato in una mansione (quella della pulitura del tornio) rientrante fra quelle a lui affidate e, quindi, il rischio concretizzatosi, secondo la Corte di merito, rientrava fra quelli governati dal datore di lavoro.
Viceversa, sotto il profilo sanzionatorio, la Corte di merito ha riformato la sentenza di primo grado, riconoscendo come detto l'attenuante del ravvedimento post delictum e sostituendo la pena detentiva di 15 giorni di reclusione con quella pecuniaria corrispondente.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il A.C.M., deducendo tre motivi di lagnanza.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento od omissione della prova, in ordine alla responsabilità dell'imputato, sotto il profilo della ritenuta inidoneità del macchinario (c.d. "tornio in fossa") a fini di sicurezza dei lavoratori. Richiamando molteplici elementi anche documentali deponenti per la conformità del tornio ove avvenne l'incidente sotto il profilo antinfortunistico, il ricorrente evidenzia che per torni manuali come quello di che trattasi, anche di generazione più recente, non sono previste né allestite protezioni totali degli organi mobili e della zona di lavoro dell'utensile: ciò che del resto é consentito dall'allegato V al D.Lgs. 81/2008, punto 6.5. Ciò che conta é che i sistemi di protezione dei macchinari impediscano l'accesso involontario al macchinario in movimento, così da impedire un rischio di contatto accidentale tra gli arti dell'addetto e le parti in movimento; nella specie, invece, vi fu un contatto volontario ed intenzionale, con assunzione di un rischio elettivo da parte dell'operatore. Né vale a provare il contrario quanto asserito dalla Corte di merito (come già dal Tribunale) circa il fatto che, dopo l'infortunio, T. avrebbe aderito alle prescrizioni dell'ASL, volte all'implementazione delle misure preventive del tornio, poi adempiute con la realizzazione di una "gabbia" presidiata da microinterruttori: osserva il ricorrente che tali modifiche apportate al tornio si sono risolte nell'adozione di un joystick in grado di bypassare la protezione dei microinterruttori; ma ciò non aveva comportato alcuna modifica nella possibilità, per l'addetto, di avvicinarsi ai rulli del tornio, anche se in movimento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al comportamento colpevole del lavoratore nella causazione del sinistro: comportamento che la Corte ambrosiana ha ritenuto certamente negligente ed anche sconsiderato, ma non abnorme, né tale da interrompere il nesso causale. Secondo il deducente, il D.B. era giunto al termine del lavoro; e, in tale frangente, la decisione di intervenire manualmente sul macchinario per estrarre i trucioli metallici dopo avere avviato il macchinario stesso, senza aspettare il ritorno del capomacchina C. (che aveva spento il tornio) ed anzi profittando della sua assenza, si é tradotta in un comportamento abnorme del lavoratore, in quanto del tutto imprevedibile e insuscettibile di controllo da parte del datore di lavoro. Conclude il ricorrente richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità in ordine all'abnormità della condotta del lavoratore che operi al di fuori delle direttive ricevute ed introduca un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto a quello originario.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla rimodulazione della pena conseguente al riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., laddove la pena andava invece rideterminata tenendo conto che, per effetto di detta attenuante, la forbice edittale era inferiore anche nel massimo rispetto alla pena concretamente irrogata.



Diritto




1. Il ricorso é infondato.
1.1. Quanto al primo motivo, é noto che il datore di lavoro é portatore dell'obbligo stabilito dall'art. 71 d.lgs. 81/2008, in base al quale egli «mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi».
E' altresì noto che l'art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto (Sez. 4, sent. N. 4549 del 29/01/2013).
Parimenti é noto che, in base al § 6 dell'allegato V al predetto decreto legislativo, se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione.
Ora, é ben vero che lo stesso allegato V al testo unico, al paragrafo 6.3, stabilisce che l'apposizione del dispositivo di blocco del macchinario pericoloso sia prevista quando sia tecnicamente possibile; e che, in base al paragrafo 6.5 - richiamato dal ricorrente -, é previsto che, quando per effettive esigenze della lavorazione non sia possibile proteggere o segregare in modo completo gli organi lavoratori e le zone di operazione pericolose delle attrezzature di lavoro, la parte di organo lavoratore o di zona di operazione non protetti deve essere limitata al minimo indispensabile richiesto da tali esigenze e devono adottarsi misure per ridurre al minimo il pericolo.
Nondimeno l'incidente verificatosi nel caso di specie é dovuto - oltre che a un'iniziativa certamente imprudente del lavoratore - anche al fatto che l'accesso alle parti in movimento del macchinario non era impedito da alcun dispositivo, né risultavano adottati a tal fine accorgimenti che potessero quanto meno limitare tale accesso.
Il fatto stesso che, come rilevato nello stesso ricorso, fosse prevista una apposita procedura per la pulitura del tornio in sicurezza (descritta dal teste C.) rende evidente che il rischio derivante dal contatto tra l'addetto e le parti in movimento della stessa era noto e prevedibile; e ciò indipendentemente dal fatto che detta procedura non sia stata osservata dalla persona offesa D.B..
Ciò che emerge dalla lettura dell'incarto disponibile é il fatto che il macchinario, certamente obsoleto (risalente al 1968), era totalmente privo di dispositivi che impedissero o anche solo limitassero la possibilità che gli addetti raggiungessero le parti in movimento, con conseguente rischio di incidenti del tipo di quello verificatosi. E risulta probatoriamente eloquente, a fronte di quanto asserito a contrario dal ricorrente, il fatto che, successivamente all'infortunio per cui si procede, la T. si sia uniformata alle disposizioni impartite dall'ASL introducendo un sistema che, grazie a una delimitazione fisica dell'accesso nella zona dei rulli e all'impiego di due motori autofrenanti, limita le possibilità di avvicinamento al macchinario (pur non impedendolo del tutto); tale sistema, che é accuratamente descritto a pagina 2 della sentenza di primo grado, risulta del tutto conforme alle indicazioni di cui all'allegato V al D.Lgs. 81/2008; e, sebbene esso non introduca automatismi completamente salvifici, nondimeno ne é derivata una consistente riduzione del rischio concretizzatosi nell'infortunio occorso al D.B.: il quale, se il dispositivo da ultimo introdotto fosse stato applicato in data antecedente l'incidente, sarebbe stato verosimilmente dissuaso dal tentare la pulitura del tornio con le modalità note, o comunque avrebbe avuto ben maggiori difficoltà nell'azzardare detta manovra, atteso che - come fra l'altro spiegato dal Tribunale a pagina 3 della sentenza di primo grado - «oggi l'operatore, a porte chiuse, accende il tornio e comanda il movimento dei rulli, poi tramite il comando portatile (...) può aprire le porte e avvicinarsi agli stessi e, ove necessario, arrestare subito il movimento della macchina».
1.2. E' poi manifestamente infondato il secondo motivo di doglianza, con il quale il deducente qualifica come abnorme - ed idoneo a interrompere il nesso di causalità tra la condotta contestata e l'evento - il comportamento del lavoratore nell'occorso. Quanto alla nozione di "abnormità" del comportamento della persona offesa, che il ricorrente ritiene configurabile nella specie e tale da escludere la responsabilità datoriale, la Corte ambrosiana ha correttamente escluso che il comportamento del D.B. potesse considerarsi abnorme.
Invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia, sicché la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.
In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che é interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento é "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante é chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti vds. tra le altre Sez. 4, Sentenza n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603).
Nella specie, é di tutta evidenza che la condotta del D.B. si inseriva pienamente, e in modo tutt'altro che imprevedibile o eccentrico, nell'area di rischio affidata alla gestione del A.C.M., nella sua qualità datoriale: da un lato perché questi, sul piano generale, era affidatario in base all'art. 71 D.Lgs. n. 81/2008 della posizione di garanzia connessa alla messa a disposizione dei dipendenti di strumenti e macchinari corredati dei necessari dispositivi di sicurezza; dall'altro perché, come si é accennato poc'anzi, proprio il rischio di un utilizzo inidoneo del macchinario era prevedibile e, in qualche misura, era stato previsto, dacché il capo macchina C. ha riferito di un protocollo previsto per la pulitura del macchinario dai trucioli metallici, che fra l'altro prevedeva che l'operazione fosse compiuta congiuntamente da lui e dal lavoratore, con determinati accorgimenti. Oltre a ciò, non é assolutamente possibile sostenere - come fa il ricorrente - che il D.B. stesse espletando mansioni estranee ai suoi compiti: sul punto la sentenza impugnata chiarisce adeguatamente che la pulitura del macchinario rientrava tra le mansioni a lui assegnate ed aveva cadenza quotidiana, trattandosi di pratica essenziale per l'efficienza del macchinario (pp. 6 - 7).
1.3. Infine é manifestamente infondato il terzo motivo, in punto di trattamento sanzionatorio. Risulta evidente - ed é chiaramente illustrato nella sentenza impugnata - che la pena irrogata (€ 3.750,00 di multa) é frutto dell'accoglimento delle richieste difensive e, probabilmente, di un fraintendimento della difesa: non si tratta, infatti, di una scelta operata dall'organo giudicante fra le pene alternative della reclusione e della multa, previste dall'art. 590 cod.pen., ma della sostituzione della pena detentiva (prescelta nella specie) in quella pecuniaria corrispondente, ai sensi dell'art. 53, L. 689/81. Questo significa che, una volta accolta la richiesta di concessione dell'attenuante del ravvedimento post delictum di cui all'art. 62 n. 6 cod.pen., il bilanciamento fra circostanze opposte ha comportato l'applicazione della pena detentiva nella misura minima prevista dal primo comma dell'art. 590 cod.pen., in combinato disposto con l'art. 23 dello stesso codice, pari a 15 giorni di reclusione; la sostituzione di detta pena con quella pecuniaria corrispondente (che ha comportato un esito sanzionatorio pari a€ 3.750,00) é stata operata, nel minimo, in base al parametro di cui all'art. 135 cod.pen., richiamato dall'art. 53,
L. 689/81 (pari ad € 250 per giorno di detenzione) e ha reso del tutto irrilevante il fatto che la pena alternativa della multa, prevista per l'art. 590, comma 1, cod.pen., sia nel massimo di 309 euro, e che quella prevista per il terzo comma sia compresa tra€ 500,00 ed€ 2.000,00.

2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.





P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 ottobre 2021.


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