Cassazione Penale, Sez. 4, 21 luglio 2021, n. 28156 - Operaio colpito dalla benna idraulica. Mancanza di segregazione della zona di rischio, promiscuità di passaggio, mancanza di strumenti di segnalazione del movimento dei veicoli ad alto rischio

2021

Fatto




l. Con sentenza del 11.3.2019 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena e, per il resto, ha confermato la declaratoria di responsabilità di F.V., N.G. e A.V. per il reato di omicidio colposo del lavoratore I.O..
L'addebito nei confronti degli imputati, quali datori di lavoro, è quello di aver cagionato la morte dell'I.O., dipendente con mansioni di operaio, per non avere adottato misure tecniche e/o organizzative atte ad impedire l'accesso ai lavoratori nelle zone in cui vi sono veicoli in movimento (in particolare, la benna idraulica con attrezzaggio ragno "Sennebogen 821" risultava priva di telecamera giroscopica); ciò determinava l'incidente, atteso che l'operaio veniva inavvertitamente colpito dalla benna idraulica in movimento poco dopo essere uscito dal capannone per recuperare l'elmetto di protezione, subendo lesioni che circa un mese dopo il fatto lo conducevano a morte per una insufficienza multiorgano conseguente a sepsi e shock settico in paziente ospedalizzato per politrauma (decesso avvenuto il 10.2.2015).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, lamentando quanto segue.
I) Vizio di motivazione per travisamento degli elementi di prova in relazione alla dichiarazione di responsabilità.
Si contesta che gli imputati siano stati inadempienti rispetto agli obblighi di predisposizione delle misure di sicurezza e di vigilanza sul funzionamento degli stessi. Sulla base delle dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa è emerso che l'impresa avesse dato disposizione che i lavoratori dovessero "rimanere all'interno del capannone ed eseguire lavori al suo interno", onde eliminare alla radice ogni possibilità degli operai di entrare in contatto con il macchinario. La movimentazione del ragno doveva avvenire con la necessaria presenza di almeno due lavoratori (che dovevano mantenersi ad almeno S metri di distanza dal ragno) e gli operai erano stati adeguatamente formati. La condotta del lavoratore, peraltro esperto, era stata avulsa ed eccentrica rispetto alle mansioni attribuitegli. Non può essere accollato al datore di lavoro l'obbligo di garantire un ambiente a "rischio zero".
II) Vizio di motivazione in relazione al nesso eziologico tra infortunio e decesso della persona offesa.
Si osserva che il perito, dott. Montisci, ha ricondotto la causa del decesso dell'I.O. a una sindrome infiammatoria (SIRS) dovuta al generale indebolimento del paziente, alla prolungata degenza e allo stato di politraumatismo. Il giudice di appello ne ha ricavato che l'infezione non potesse considerarsi una causa del tutto nuova, imprevedibile rispetto all'evento infortunio. Tuttavia, non ogni permanenza ospedaliera espone al rischio di gravi infezioni e non ogni infezione può essere riferibile a batteri residenti o stanziali negli ospedali. Non si può escludere che una infezione sia contratta in ospedale per colpa riferibile alla struttura sanitaria o al singolo operatore sanitario, con conseguente interruzione del nesso di causalità fra infortunio ed evento morte. Nella specie non è mai stata localizzata l'infezione né la tipologia, rimanendo pertanto lacunosa la derivazione medica dello stato di sepsi. L'I.O. era stato trattato con terapia antibiotica a largo spettro per 9 giorni, per poi essere interrotta. Nulla ha detto il perito sull'opportunità o meno di sospendere tale terapia. Si può escludere che il mantenimento della terapia antibiotica avrebbe escluso la virulenta defezione dell'I.O. evitandone la morte? Sul punto la Corte di merito nulla dice. Il perito in sede di esame ha formulato alcune tesi palesemente contraddittorie e incongrue rispetto alle premesse da cui sì è mosso, avendo affermato che solo dopo l'interruzione della terapia antibiotica si è determinato il rapido aggravamento del paziente. Risulta evidente come l'insorgenza di una infezione non è un evento del tutto impossibile da scongiurare e da prevenire, e tale questione non è stata esplorata dalla sentenza impugnata.



Diritto



1. I motivi dedotti nei ricorsi proposti dagli imputati sono destituiti di fondamento.

2. I ricorrenti, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, hanno formulato questioni già puntualmente esaminate e disattese dalla Corte di appello (e dal Tribunale), con motivazione del tutto coerente e adeguata, rispetto alla quale, in buona sostanza, il mezzo di impugnazione odierno omette di confrontarsi, incorrendo in tal modo anche nel vizio di aspecificità.

3. Sul piano della rimproverabilità colposa, il ragionamento - corretto - dei giudici di entrambi i gradi di merito (trattandosi di una doppia conforme, le relative motivazioni si integrano a vicenda) è che agli imputati sia addebitabile la violazione della regola cautelare specifica (punto 1.4.1. all. IV del dlgs. n. 81/2008) che impone ai datori di lavoro di assicurare che le vie di circolazione siano situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.
3.1. In punto di fatto, è stato accertato che l'area di movimento della macchina operatrice non soffriva di alcuna limitazione rispetto all'ampiezza del piazzale e nessuna via di transito per i pedoni era stata predisposta al fine di evitare che un operaio transitante nel piazzale venisse accidentalmente colpito dal mezzo in movimento. Pertanto, ragionevolmente la sentenza impugnata ha ritenuto gravemente carente una organizzazione del lavoro che di fatto consentiva tale promiscuità di passaggio, non risultando invece adeguata la mera prescrizione di tenersi a distanza dai mezzi in movimento né, tantomeno, quella di "rimanere all'interno del capannone ed eseguire lavori al suo interno". Al riguardo, il primo giudice ha correttamente osservato che a nulla potevano valere - ed anzi confermavano la consapevolezza da parte dei vertici aziendali della pericolosità del luogo di lavoro in questione - le prescrizioni rivolte agli operai di tenersi ad "almeno 5 metri" dal ragno o, per quanto qui rileva, di non uscire dal capannone, posto che la regola cautelare mira proprio a prevenire gli eventi lesivi derivanti anche da distrazione o trascuratezza del lavoratore.
3.2. La Corte territoriale ha impeccabilmente evidenziato i plurimi elementi idonei a comprovare la condotta negligente ed imprudente degli imputati/datori dì lavoro rispetto alla causazione dell'infortunio in esame: la mancanza di segregazione della zona di rischio destinata al movimento della benna idraulica, la promiscuità di passaggio di entrata/uscita dal capannone, non interdetto ai lavoratori non impegnati nella movimentazione del mezzo, la mancanza di strumenti di segnalazione (acustica, visiva) del movimento dei veicoli ad alto rischio per la sicurezza, la mancanza di una procedura di entrata e uscita dì tali mezzi, volta ad evitare il pericolo di contatti accidentali con altri lavoratori presenti in azienda.

4. I ricorrenti, nel primo motivo, insistono nell'affermare di avere adottato tutte le precauzioni idonee ad impedire il rischio concretizzatosi, con argomentazioni che tuttavia trascendono nel fatto, rivelandosi per tale parte inammissibili, e che comunque non si confrontano adeguatamente con le argomentazioni dei giudici dì merito dianzi sinteticamente riportate, immuni da vizi logico-giuridici rilevabili nella presente sede di legittimità. Solo in sede di discussione il difensore dei ricorrenti ha fatto cenno all'esistenza di una porta pedonale e di una zona di transito delimitata da cavalletti, al fine di contestare l'affermata promiscuità di passaggio per le operazioni di entrata/uscita dal capannone del ragno e dei lavoratori, ma si tratta di una circostanza di fatto meramente allegata, di cui non si può tenere conto in questa sede, trattandosi di profilo di merito che esula dal numero chiuso delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito.

5. Anche la doglianza sull'asserito comportamento abnorme del lavoratore si rivela priva di pregio, a fronte delle congrue e logiche argomentazioni delle sentenze di merito, che sul punto hanno correttamente osservato come nell'occorso la condotta della persona offesa, pur presentando profili colposi, non possa essere considerata eccentrica e autonoma rispetto all'attività lavorativa. Ciò in considerazione del fatto che il comportamento dell'operaio era stato comunque coerente con le mansioni attribuitegli nel contesto di quell'ambiente produttivo: egli era uscito nel piazzale per recuperare il suo elmetto protettivo, nella convinzione, purtroppo errata, che la macchina operatrice non si stesse muovendo.
Si tratta di considerazioni in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che riconduce la nozione dì "abnorrnità" - interruttiva del nesso causale - solo alla condotta imprudente del lavoratore che sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o che rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistita in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Rv. 272222).

6. Il secondo motivo, in terna di nesso di causalità, sviluppa censure di merito non consentite e non si confronta con il costante insegnamento della Corte regolatrice, che ha in più occasioni affermato che l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito (cfr. Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Rv. 269976; caso in cui la Corte ha escluso l'interruzione del nesso di causalità in relazione al decesso della vittima per insufficienza cardiocircolatoria con coma da shock emorragico in soggetto politraumatizzato da lesioni stradali, intervenuto a circa un mese di distanza dal sinistro, rilevando che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale).

Nel caso di specie, i giudici dì merito hanno insindacabilmente accertato come l'evento letale sia dipeso da una insufficienza multiorgano conseguente a sepsi e shock settico in paziente ospedalizzato per politrauma con trauma del bacino. I giudici hanno fatto proprie le considerazioni del perito, il quale ha indicato proprio nel trauma del bacino una condizione patologica ad elevato rischio di infezione ed elevata mortalità ospedaliera; affermazione che non è stata ritenuta incoerente con il temporaneo miglioramento del paziente nei giorni successivi all'intervento di stabilizzazione delle fratture, essendo stato ciò ritenuto compatibile con il contemporaneo silente sviluppo di un siero-ematoma a livello della coscia sinistra, con insorgenza di un'infezione che ha, quindi, attinto proprio la parte interessata dalla lesione provocata dall'infortunio in disamina. A sostegno di tale conclusione il perito - premesso l'elevato rischio infettivo al quale veniva esposto l'I.O. a seguito del trattamento embolico, delle molteplici trasfusioni ematiche e degli interventi di stabilizzazione ortopedica necessitati dal politraumatismo - ha sottolineato la stretta correlazione temporale tra insorgenza della raccolta siero-ematica ( 28.1. 2015) e sviluppo dì segni e sintomi di infezione (3 .2 . 201 5 ), nonché tra questi e l'exìtus del paziente (il 10.1.2015).
Le censure dei ricorrenti sul punto - essenzialmente tese a sostenere l'interruzione del nesso eziologico in quanto l'infezione avrebbe potuto e dovuto essere scongiurata dai sanitari - oltre a porsi in contrasto con la citata giurisprudenza di questa Corte, sono prospettate in maniera ipotetica e congetturale, per cui non possono essere prese in seria considerazione in questa sede, a fronte di una "doppia conforme" che ha individuato il nesso di causa sulla scorta di un ragionamento logico, privo di errori in diritto e sorretto da solide basi scientifiche.

7. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.



P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 12 maggio 2021


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