Cassazione Penale, Sez. 4, 17 novembre 2020, n. 32214 - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

1. Con ordinanza emessa il 30.1.2020, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Palmi, avente ad oggetto l'impresa individuale V.D., in relazione al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'art. 603-bis, comma 1 n. 2) e comma 4, cod. pen.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il V.D., a mezzo del difensore, lamentando quanto segue.
I) Violazione di legge, in quanto l'ordinanza impugnata non ha effettuato un doveroso vaglio del materiale indiziario al fine di stabilire se l'azienda del V.D. costituisca uno strumento rilevante ai fini della perpetrazione del delitto di sfruttamento del lavoro oggetto di contestazione provvisoria. Sul punto la motivazione è carente, con particolare riguardo alla dimostrazione dell'assunto secondo cui il ricorrente sarebbe stato consapevole di utilizzare, assumere o impiegare con sottoposizione dei lavoratori a condizioni di sfruttamento. Dagli atti emerge solo che i lavoratori fossero sfruttati dai "caporali" e non risulta che il ricorrente lo sapesse. L'ordinanza impugnata omette di motivare il nesso di pertinenzialità tra il bene e le condotte illecite.
II) Violazione di legge, sotto il profilo della violazione del principio di proporzionalità della misura cautelare.
Deduce che il sequestro che ha attinto la ditta V.D. e tutto il suo complesso aziendale costituisce una misura assolutamente sproporzionata rispetto all'esigenza di preservare qualsivoglia pericolo sotteso, avuto riguardo al coinvolgimento marginale dell'indagato nella vicenda in esame.



Diritto



1. I dedotti motivi di ricorso sono inammissibili.

2. E' noto che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. ex multis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 26965601).

3. Nel caso di specie, nell'ordinanza impugnata non è dato riscontrare alcuna specifica violazione di legge, né è possibile affermare che il percorso argomentativo del Tribunale sia del tutto mancante o apparente. Di contro, l'ordinanza cautelare ha preso in considerazione le censure prospettate dal ricorrente e le ha motivatamente disattese.

4. Sul piano del fumus, la prima censura svolta dal ricorrente, in ordine alla mancanza di motivazione sull'elemento soggettivo del reato in capo all'indagato, si risolve in una contestazione in fatto che non è ammissibile in questa sede. Del resto, è pacifico che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato, relativamente alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compreso quello soggettivo, per il quale è sufficiente dare atto dei dati di fatto che non permettono di escludere ictu oculi la sussistenza di tale elemento (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 27601501; Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 26689601).
Al riguardo, il Tribunale ha ampiamente motivato in ordine al coinvolgimento del V.D. nella vicenda in esame, avente ad oggetto il fenomeno dello sfruttamento della forza lavoro costituita da cittadini extracomunitari presenti nella Piana di Gioia Tauro, reso possibile dall'intermediazione svolta dai c.d. caporali, uno dei quali in particolare (Y.K.), veniva sorpreso dagli inquirenti, in più occasioni, accompagnare diversi braccianti agricoli presso l'azienda di cui è amministratore l'odierno ricorrente. In tale sede, i lavoratori provvedevano alla raccolta di agrumi, percependo una paga ridotta rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo, con orario lavorativo di 8 ore al giorno, senza aver partecipato ad alcun corso per la sicurezza sul lavoro e senza essere muniti di strumenti utili alla tutela antiinfortunistica durante le ore lavorative.

5. Quanto alla seconda censura, con la quale si contesta la proporzionalità della misura cautelare reale rispetto alle esigenze di cautela, si osserva che anche su tale punto il Tribunale ha dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno reso necessario provvedere al sequestro dell'impresa dell'indagato. In particolare, è stato rimarcato come gli elementi investigativi abbiano dimostrato il costante sfruttamento da parte del titolare dell'azienda di forza lavoro, avvalendosi dell'intermediazione illecita di caporali ed approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori reclutati. Si è quindi ragionevolmente ritenuto che il prevenuto, tramite la sua ditta, fosse ben inserito in circuiti criminali dediti allo sfruttamento del lavoro di soggetti extracomunitari, con elevato rischio di reiterazione di condotte analoghe alla riapertura della stagione di raccolta degli agrumi, laddove non opportunamente cautelato anche tramite il sequestro della ditta di cui si serviva. Il nesso di pertinenzialità dell'azienda rispetto al reato, ed il periculum ad essa sotteso, è stato, dunque, plausibilmente evidenziato dal Tribunale, sulla base di una ponderata e non arbitraria valutazione di merito, come tale insindacabile in cassazione. Né il ricorrente ha addotto elementi da cui sia possibile desumere la manifesta sproporzionalità del sequestro dell'azienda rispetto alle ragioni di cautela ravvisate nel provvedimento impugnato.

6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cast. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo.



P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 27 ottobre 2020


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