Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2021, n. 46154 - Esposizione ad amianto. Teoria multistadio

Fatto
1. La Corte d'appello di Bologna, in data 25 maggio 2020, ha confermato - per quanto qui d'interesse - la sentenza di condanna alla pena ritenuta di giustizia, nonché alle connesse statuizioni civili, emessa il 24 novembre 2016 dal Tribunale di Ravenna nei confronti di A.B., L.F., C.P. e I.T., oltreché del responsabile civile ENI Rewind S.p.A., in relazione al delitto di lesioni personali colpose aggravate in danno di U.A.; ha assolto i predetti imputati dall'imputazione di omicidio colposo in danno di OMISSIS, per non aver commesso il fatto; ha nel resto confermato le statuizioni di primo grado, ivi compresa l'assoluzione degli imputati in relazione all'imputazione di omicidio colposo con riguardo al tumore polmonare che cagionò il decesso di A.P. e la declaratoria di non doversi procedere per maturata prescrizione quanto al delitto di lesioni colpose riferito all'insorgere di placche pleuriche sullo stesso A.P..
Le imputazioni di omicidio colposo e lesioni colpose, con violazione di norme in tema di salute e sicurezza sul lavoro, si riferiscono ai decessi e alle patologie contratte da numerose persone offese in relazione all'attività lavorativa espletata presso il Petrolchimico di Ravenna, ossia presso un vasto comprensorio in cui venivano impiegati a vario titolo materiali contenenti amianto; le predette imputazioni - così come quella di disastro innominato colposo, dalla quale già in primo grado era stata pronunziata sentenza assolutoria - sono state formulate a carico dei predetti imputati nelle rispettive qualità, ossia:
Il A.B., in relazione alle cariche datoriali da lui ricoperte quale direttore di stabilimento ANIC dal 1 gennaio 1978 al 17 maggio 1982;
Il L.F. quale responsabile per la sicurezza e l'igiene del lavoro e protezione ecologica di ANIC dall'aprile 1979 all'aprile 1982;
Il C.P. in qualità di responsabile del servizio tecnico sicurezza di ANIC dal marzo 1971 al gennaio 1973;
Il I.T. quale amministratore delegato, poi vicepresidente e AD e, infine, presidente di Enoxy Chimica dal gennaio 1982 al luglio 1983 e presidente di Enichem Polimeri da agosto a settembre 1983.

Nelle predette qualità e per i periodi di rispettiva competenza, costoro erano destinatari di specifici debiti di sicurezza e obblighi di protezione in relazione al rischio di dispersione di particelle di amianto. Ciò, però, sia secondo il Tribunale, sia secondo la Corte d'appello, non comportava la responsabilità dei medesimi in relazione a tutti gli eventi lesivi e letali derivanti dall'esposizione all'asbesto presso il Petrolchimico di Ravenna, dovendosi in particolare distinguere sia in relazione alle diverse forme patologiche qualificate come asbesto-correlate (di cui talune ad andamento monofattoriale, ossia certamente dipendenti dall'esposizione all'amianto, altre a carattere multifattoriale, ossia potenzialmente causate anche da fattori diversi), sia in relazione ai diversi periodi di esposizione dei lavoratori all'amianto.

2. In estrema sintesi, ed anche in correlazione alle questioni proposte in sede di impugnazione, i giudici di merito hanno operato una distinzione tra le diverse forme patologiche diagnosticate alle persone offese, ossia:

il mesotelioma pleurico, patologia tumorale definita come tipico segnalatore della presenza di amianto, di cui viene illustrata l'eziopatogenesi sulla base della teoria "multistadio" nella quale si distinguono varie fasi - iniziazione, promozione, progressione - all'interno del c.d. tempo di induzione, al termine del quale segue il periodo di latenza in senso proprio, in cui il tumore é ormai irreversibile sebbene in uno stadio ancora sub-clinico; al riguardo la Corte di merito - come già il Tribunale - rileva che allo stato non vi sono conoscenze scientifiche che consentano di accertare né la durata del periodo di induzione, né quella della fase preclinica della malattia, con ciò che ne consegue in relazione all'accertamento del nesso di causalità, per il quale non rileverebbero le esposizioni successive al termine del periodo di induzione;
le placche pleuriche, di cui viene riconosciuta la rilevanza ai fini dell'imputazione di lesioni colpose solo laddove esse comportino un deficit della funzionalità respiratoria;
l'asbestosi, patologia monofattoriale e correlata nella sua frequenza e gravità alla durata e all'intensità dell'esposizione all'amianto;
il carcinoma polmonare e il tumore laringeo, malattie ad eziopatogenesi multifattoriale, la cui causa prevalente é il fumo di tabacco.
Su tali basi il Collegio felsineo ha poi esaminato le vicende relative alle singole persone offese, tra le quali - come già osservato dal Tribunale ravennate - il solo U.A. presenta un quadro patologico (asbestosi associata a placche pleuriche) di cui viene riconosciuta la dipendenza causale da tutte le esposizioni subite nel corso della sua attività lavorativa presso il Petrolchimico, ove l'U.A. prestò servizio dal 1962 al 1994: ciò che ha comportato la conferma della condanna degli imputati per lesioni colpose a carico del predetto lavoratore (pp. da 114 a 122 sentenza impugnata).

3. Nel respingere l'appello del P.M. in riferimento alla tesi scientifica posta a base dell'assoluzione degli imputati dall'imputazione di omicidio colposo, la Corte di merito ha ribadito il convincimento espresso dal Tribunale di Ravenna, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e dell'indirizzo adottato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, in base al quale non é possibile stabilire univocamente la cessazione del periodo di induzione - al termine della quale, secondo la corretta interpretazione della teoria multistadio, le esposizioni successive all'amianto non hanno più rilievo eziologico - e dell'esatta collocazione temporale dell'eziopatogenesi, di tal che non é possibile accertare il nesso causale tra le condotte oggetto di addebito. attribuite ai titolari di posizioni di garanzia succedutesi nel tempo, e i decessi per mesotelioma pleurico.
3.1. La Corte felsinea ha poi rigettato il gravame della parte civile Associazione Esposti Amianto, sia per quanto concerne le vittime di mesotelioma (richiamando al riguardo quanto osservato a proposito dell'appello del P.M.), sia per quanto concerne i casi di placche pleuriche (facendo rinvio agli elementi probatori in ordine all'effettiva compromissione, in dipendenza di esse, della funzionalità respiratoria), sia per quanto concerne i tumori polmonari e della laringe (riguardo ai quali, tenuto conto della natura multifattoriale dell'eziopatogenesi, é stata ribadita l'incertezza della rilevanza concausale dell'esposizione all'amianto nei casi esaminati, così come é stata confermata l'impossibilità di accertare, in tali casi, la sussistenza di un nesso di causalità individuale, riferibile cioé ai singoli imputati), sia infine per quanto attiene ai casi di asbestosi (in relazione ai quali il gravame é stato giudicato inammissibile per difetto di specificità)
3.2. Quanto alle patologie diagnosticate ad A.P. - sempre per quanto d'interesse in relazione all'oggetto delle impugnazioni - la Corte di merito distingue tra il reato di lesioni contestato come commesso in relazione alle placche pleuriche (per il quale viene rilevata l'inammissibilità dell'appello per essere il reato estinto per prescrizione prima della sentenza di primo grado) e le ulteriori patologie (broncopneumopatia cronico ostruttiva, tumore laringeo, carcinoma del polmone), in relazione alle quali, a parte la prescrizione del reato di lesioni colpose contestato già maturata prima della sentenza di primo grado, la Corte distrettuale evidenzia che il A.P. era un permanente fumatore, avendo fumato per 28 anni circa un pacchetto di sigarette al giorno; che neppure vi sono elementi deponenti per una eziopatogenesi asbestosica (anche per la mancata rilevazione di un elevato carico di amianto nei polmoni); che, in definitiva, non é possibile attribuire all'esposizione del A.P. all'amianto, stante la presenza di un altro rilevante fattore causale (il tabagismo), una rilevanza concausale al di là di ogni ragionevole dubbio.

4. Avverso la prefata sentenza ricorrono, con tre distinti atti, le parti civili Associazione Esposti Amianto, Omissis (queste ultime due in proprio e nella loro qualità di eredi di A.P.); nonché, con unico atto, gli imputati A.B., L.F., C.P. e I.T. e il responsabile civile ENI Rewind S.p.A..

5. Iniziando dal ricorso dell'Associazione Esposti Amianto, esso consta di due motivi di doglianza.
5.1. Con il primo motivo, dedotto per violazione di legge e per vizio di motivazione, si dà atto in primo luogo del fatto che la sentenza impugnata ha modificato la formula assolutoria, con riguardo ai casi di mesotelioma pleurico, da "perché il fatto non sussiste" a "per non aver commesso il fatto", il che comporta il riconoscimento della derivazione causale dei decessi dall'esposizione all'amianto subìta presso il Petrolchimico; tuttavia si confuta il ragionamento della Corte di merito - che riprende quello del Tribunale ravennate - basato sull'irrilevanza eziologica delle esposizioni successive al termine della fase dell'induzione, desunta dal permanente contrasto fra tesi scientifiche diverse, a fronte delle quali l'ente ricorrente enuncia la tesi (riportata in un ampio stralcio della perizia in atti) illustrata dai consulenti tecnici dott. Totire (CT parti civili) e dott. Calisti (CTPM) - tesi che viene ritenuta maggiormente condivisibile ed accolta dalla comunità scientifica - in base alla quale non vi é prova che la dose-dipendenza del mesotelioma (ossia il fatto che esso dipenda dalla maggiore o minore durata e intensità dell'esposizione all'asbesto) venga a cessare con l'esaurimento della fase di induzione, ed anzi si dovrebbe affermare che anche le esposizioni successive alla diagnosi avrebbero efficacia nella genesi della metastasi. In ogni caso, secondo l'ente ricorrente, tutte le esposizioni (dalla prima fino all'ultima) concorrono al processo oncogeno. A fronte di ciò, si censura il percorso motivazionale della sentenza impugnata, definito illogico e contraddittorio, laddove vi si afferma che nella fase di latenza le cellule neoplastiche sarebbero in grado di moltiplicarsi in maniera autonoma; e si censura altresì l'assunto secondo il quale vi sarebbe un orientamento maggioritario che escluderebbe l'effetto cancerogenetico o di aggravamento di alcune esposizioni all'amianto.
Nel prosieguo, il motivo di ricorso in esame si occupa dei decessi per tumore polmonare: il riferimento é, in particolare, al caso di A.P. e di E.F., riguardo ai quali si contesta l'assunto, sostenuto nella sentenza impugnata, secondo cui non sarebbe dato risolvere il dubbio circa la concorrenza causale dell'esposizione all'amianto rispetto al fumo di sigaretta nell'eziopatogenesi tumorale, laddove é certo che l'esposizione all'amianto si somma, in realtà, ad altre esposizioni e determina un effetto sinergico nella loro patogenesi e un aumento esponenziale del rischio - tumori, Vengono richiamati, a sostegno di tale tesi, ampi stralci delle relazioni peritali dei consulenti Totire e Calisti; in particolare, quanto all'assunto - sostenuto dalla Corte di merito - secondo cui l'esposizione del A.P. all'amianto sarebbe stata bassa e incompatibile con l'elevato carico polmonare di asbesto che contraddistingue i tumori asbesto correlati, l'ente ricorrente replica che ben potrebbe trattarsi di amianto crisotilo, che va soggetto nel tessuto polmonare a un'attività di clearance, da cui deriverebbe il riscontro di quantità minime di amianto rispetto a quelle transitate o depositate nel tempo. Si denuncia tra l'altro il ricorso, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, a un dato statistico (quello relativo all'ingresso di una certa quantità di fibre di amianto nei polmoni) per ricavarne un dato eziologico, laddove l'azione dell'asbesto é un'azione oncogena senza soglia minima; ne risulta violato tra l'altro l'art. 41 del codice penale, in base al quale il concorso di cause preesistenti o simultanee, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l'azione od omissione e l'evento.
Infine, sempre nell'ambito del motivo in esame, l'ente ricorrente denuncia l'incongruenza della motivazione della sentenza impugnata, a proposito del tumore alla laringe che colpì il A.P., laddove si annette rilievo, nell'eziopatogenesi della malattia, al fumo di tabacco, che il A.P. aveva interrotto alcuni decenni prima, a fronte di ben 4 patologie asbesto - correlate da cui lo stesso A.P. fu colpito.
5.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata ammissione della consulenza tecnica chiesta dal P.M. e dalle parti civili, che in un primo tempo il collegio, in diversa composizione, aveva ammesso e che, successivamente, il nuovo collegio - di cui era medio tempore mutata la composizione - ignorò, fissando direttamente l'udienza di discussione.

6. I ricorsi presentati da OMISSIS (in proprio e nella qualità di eredi di A.P.) si differenziano dal ricorso dell'Associazione Esposti Amianto essenzialmente per il fatto che in essi non si fa riferimento alla casistica dei decessi da mesotelioma pleurico (patologia da cui il A.P. non fu colpito); per il resto, i ricorsi delle eredi A.P. riprendono argomenti del tutto sovrapponibili a quelli ulteriori contenuti nel ricorso precedentemente esaminato, ai quali perciò si fa rinvio.

7. I ricorsi - con unico atto - degli imputati A.B., L.F., C.P. e I.T. e del responsabile civile ENI Rewind S.p.A. si articolano in otto motivi.
7.1. Con il primo motivo si denuncia v.izio di motivazione, anche con travisamento delle prove, con riguardo alla diagnosi di asbestosi nei confronti di U.A.. La diagnosi, effettuata dai dottori Cardona e Leonori, é stata apoditticamente ritenuta "indiscutibile" e tale da qualificare "senza ombra di dubbio" come asbestosi la patologia riscontrata sull'U.A., a fronte dei dubbi espressi già in primo grado dai consulenti della difesa, le cui valutazioni non sono state neppure prese in considerazione dalla Corte di merito: la quale, inspiegabilmente, ha prestato fede alle conclusioni dei due 8-readers Cardona e Leonori, espresse in primo grado, dopo avere emesso ordinanza in cui si riteneva assolutamente necessario procedere ad integrazione probatoria mediante nomina di una perizia collegiale avente ad oggetto le diagnosi relative alle patologie controverse e l'accertamento del nesso causale tra le esposizioni all'amianto e le patologie riportate dalle parti lese: perizia che, in realtà, non veniva poi espletata, sul solo immotivato rilievo - successivamente espresso - che in realtà l'approfondimento peritale non era assolutamente necessario. E' poi errato, e costituisce travisamento di una prova decisiva, il fatto che i consulenti tecnici della difesa nulla avrebbero rilevato in ordine alle valutazioni dei dottori Cardona e Leonori: al riguardo é sufficiente richiamare il commento scritto a tali valutazioni redatto dal prof. Grandi, esperto della difesa; e la "Relazione aggiuntiva sui casi di Ravenna" redatta dai professori Harber e Gill, anch'essi esperti della difesa. Leggendo tali documenti si ricava che le conclusioni dei due 8-readers sono state confutate sulla base di esami rivelatori di un quadro patologico incompatibile con la diagnosi di asbestosi dei dottori Cardona e Leonori: i quali hanno esaminato unicamente due reperti radiologici senza tenere conto della storia clinica, ivi compreso il tabagismo dell'U.A. (protrattosi per circa 50 anni); i quadri radiografici di nodularità polmonare (caratteristici della silicosi e non dell'asbestosi) e la sindrome da reflusso, i cui rigurgiti acidi possono raggiungere anche il parenchima polmonare: di qui la diagnosi alternativa di "fibrosi polmonare idiopatica" formulata dal prof. Grandi, confortata dalle osservazioni dei consulenti americani (in specie della professoressa Gill). Proseguono gli esponenti denunciando, con il conforto di vari arresti giurisprudenziali, la carenza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nonché il travisamento della prova "per omissione" riferito agli atti probatori offerti dai consulenti della difesa, ignorati dalla Corte territoriale.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione con riferimento alla misura dell'esposizione dell'U.A. all'amianto, di cui é stato ignorato l'approfondimento sul rilievo che mancherebbero ipotesi causali alternative, laddove nulla é dimostrato in ordine ai livelli di esposizione del lavoratore all'amianto (che secondo il documento di Helsinki dovrebbero essere pari almeno a 25 fibre per cc/anno). La stima dell'esposizione all'amianto del lavoratore, operata sulla base di una rilevazione ex post della portata della stessa, é stata bollata come contraddittoria e non basata su alcun dato concreto, laddove si tratta di una metodologia d'indagine validata dalla giurisprudenza di legittimità e dalla letteratura scientifica, nonché basata su un esame dell'esposizione sia ambientale sia professionale dell'U.A.: da tale metodologia é stato ricavato un dato deponente per un modesto valore di esposizione all'amianto, di cui la sentenza impugnata non spiega per quale ragione esso fosse da considerare idoneo a provocare l'insorgenza della malattia. Ed anzi, secondo gli esperti della difesa, tale idoneità non vi era, dato che i livelli di esposizione all'asbesto erano incompatibili con l'insorgere della malattia. E ciò é riscontrato dal fatto, dimostrato dalla difesa, che nel periodo dal 1969 al 1994 (durante il quale si collocano le condotte contestate ai ricorrenti) l'U.A. non fu esposto, neppure saltuariamente, al contatto con fonti di amianto nelle sue mansioni di operatore di impianto, ed anche come manutentore egli non era a contatto quotidianamente con l'amianto.
3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione con riguardo al mancato accertamento della colpa addebitabile agli imputati rispetto alla patologia da cui é asseritamente affetto l'U.A.. Nel periodo in cui i ricorrenti imputati ricoprirono le posizioni di garanzia per le quali sono sottoposti a giudizio (1971/1987) il materiale usato per la coibentazione era esente da amianto; le operazioni di scoibentazione e coibentazione erano affidate a ditte esterne; le zone in cui avvenivano le attività di manutenzione erano segregate e inaccessibili a personale non autorizzato. Non risponde poi a verità che presso il Petrolchimico mancasse qualsivoglia dispositivo di protezione, atteso che, sebbene nessun dispositivo fosse all'epoca idoneo ad azzerare l'esposizione, erano in dotazione maschere il cui utilizzo era prescritto da disposizioni aziendali.
4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla posizione dell'ing. I.T., che nel periodo dal marzo al settembre 1983 ricoprì la carica di Presidente della società Enoxy Chimica, carica dalla quale all'epoca non dipendeva lo stabilimento di Ravenna; con la conseguenza che il residuo lasso temporale in cui egli ricoprì incarichi assimilabili a posizioni di garanzia (un anno e due mesi) é simile a quello del coimputato C., per il quale già in primo grado é stata esclusa la rimproverabilità della condotta.
5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione quanto alla posizione dell'ing. C.P., la cui funzione non era sovrapponibile a quella dell'RSPP, ma si traduceva in compiti eminentemente di consulenza a livello di sede centrale, senza alcuna conoscenza dei singoli stabilimenti ANIC; inoltre, all'epoca (1971/1973) il problema dell'amianto non era ancora ben noto a livello del comparto petrolchimico, ove l'esposizione era solo indiretta e non vi era un uso dell'amianto come materia prima.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione di legge in relazione all'intervenuta estinzione per prescrizione del delitto di lesioni colpose contestato in danno dell'U.A.: avuto riguardo ai periodi di sospensione computati dalla Corte di merito, i ricorrenti osservano che talune sospensioni derivano da istanze del P.M. o delle parti civili, o da iniziative dell'organo giudicante, sulle quali le difese degli imputati si erano limitate a prestare acquiescenza: é quanto accaduto per il rinvio dal 13 marzo 2019 al 17 aprile 2019 e per quello disposto il 25 luglio 2019 (rinvio all'udienza del 19 settembre 2019); per tali evenienze non dovrebbe valere la sospensione del corso del termine di prescrizione, che dunque sarebbe spirato il 1 marzo 2020, con conseguente irrilevanza anche dei termini di sospensione per l'emergenza COVID: emergenza che, peraltro, non ha cagionato alcun rinvio di udienze o rallentamento dell'iter processuale.
7. Con il settimo motivo si denunciano violazione di legge anche processuale e vizio di motivazione in relazione alle statuizioni civili e, in specie, all'ammissione della costituzione di parte civile di Legambiente Onlus e dell'Associazione Esposti Amianto sulla sola base delle finalità st at ut arie , a fronte del fatto che non si ravvisa, in questo caso, un interesse proprio del sodalizio in riferimento a una situazione storica determinata, né un qualche radicamento sul territorio; vengono al riguardo richiamati alcuni arresti giurisprudenziali.
8. Con l'ottavo e ultimo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento, da parte dei giudici di merito, del diritto al risarcimento del danno derivante da reato in capo alle parti civili Legambiente Onlus, Associazione Esposti Amianto e alle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL; nessuna delle predette parti civili ha depositato, nel corso del giudizio, un solo documento che dimostrasse e che consentisse di accertare oneri, o spese, o danni derivanti da reato: ciò che peraltro, nella specie, dovrebbe essere rapportato all'unico reato per il quale é stata riconosciuta la penale responsabilità degli imputati é il delitto di lesioni colpose in danno dell'U.A.. Invece, il diritto al risarcimento é stato riconosciuto, quanto a Legambiente Onlus e all'Associazione Esposti Amianto, esclusivamente in re.lazione alle finalità o agli interessi perseguiti statutariamente; e, quanto alle organizzazioni sindacali, soltanto in relazione alla ravvisata "perdita di credibilità" dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro.

9. Va dato atto che l'INAIL - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro - in persona del suo rappresentante legale pro tempore, costituitasi parte civile, ha fatto pervenire una memoria, datata 25 ottobre 2021, con la quale illustra le ragioni per le quali, ritenuta l'infondatezza del ricorso degli imputati e del responsabile civile, ne chiede il rigetto.
Gli imputati e il responsabile civile hanno, infine, fatto pervenire in data 18 novembre 2021 una memoria in cui chiedono che i ricorsi delle parti civili siano dichiarati inammissibili.



Diritto




l. Va dato atto, in primo luogo, dell'avvenuto decesso dell'imputato L.F. in Carloforte (CA), come risulta da certificato del Comune di San Donato Milanese datato 3 febbraio 2021 e prodotto agli atti in data odierna.
Per l'effetto, il reato contestato al medesimo si é estinto, ai sensi dell'art. 150 c.p., con la conseguenza che la sentenza impugnata, per quanto riguarda le statuizioni relative al L.F., deve essere annullata senza rinvio, essendo comunque preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex art. 129 c.p.p., comma 2 (Cass. Sez. Unite, 25 ottobre 2000, n. 30, Poggi Longostrevi, rv. 217245; conforme Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24507 del 09/06/2010, rv 247790).

2. Venendo alle restanti posizioni, si procede, preliminarmente, ad esaminare il settimo e l'ottavo motivo dei ricorsi degli imputati e del responsabile civile che ripropongono le censure già mosse in ordine all'ammissione delle costituite parti civili Legambiente Onlus e Associazione Esposti Amianto sulla sola scorta delle finalità statutarie e senza uno specifico radicamento territoriale delle predette associazioni nell'area dell'insediamento (settimo motivo), oltreché in ordine al riconoscimento di un danno da reato alle stesse associazioni e alle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, che nei ricorsi in esame si assume basato unicamente sulla pretesa lesione delle finalità statutarie, pur in assenza della dimostrazione di un reale pregiudizio correlato al fatto per cui é intervenuta condanna confermata in appello (l'asbestosi contratta da U.A.).
Il rilievo preliminare é, intuitivamente, legato al fatto che uno dei predetti soggetti giuridici, considerati dalla Corte di merito come enti esponenziali, ha a sua volta presentato ricorso per cassazione; di tal che pare opportuno affrontare pregiudizialmente la questione della legittimazione, quale parte civile, della ricorrente Associazione Esposti Amianto.
2.1. Quanto alla legittimazione a costituirsi parte civile, e alla conseguente ammissione come tale, di Legambiente Onlus e Associazione Esposti Amianto - che la Corte di merito fonda sulle finalità statutarie perseguite dai predetti enti esponenziali, le lagnanze sono infondate.
Come chiarito nella sentenza impugnata, é ormai ius receptum che l'ammissibilità della costituzione di parte civile dell'ente esponenziale é legata al fatto che la pretesa civilistica dell'ente nell'ambito del giudizio penale sia correlata alla compromissione di un proprio specifico interesse e di una propria finalità statutaria: il necessario riferimento della legittimazione dell'ente a una situazione storica determinata, contenuto nella sentenza a SS.UU. Espenhahn e altri - vicenda Thyssenkrupp -, costituisce un richiamo narrativo alla risposta della sentenza d'appello in allora impugnata a talune obiezioni difensive in ordine alla legittimazione a costituirsi parte civile di un ente rappresentativo di interessi collettivi; nel prosieguo dell'ordito motivazionale della suddetta pronunzia apicale (pp. 193 e ss.) si dà, piuttosto, atto di uno sviluppo progressivamente estensivo della giurisprudenza di legittimità, attraverso il quale viene chiarito che «esistono organismi che hanno fatto di un determinato interesse l'oggetto principale della propria esistenza, sicché esso é diventato elemento interno e costitutivo del sodalizio e come tale ha assunto una consistenza di diritto di soggettivo. Lo sviluppo della giurisprudenza ha ritenuto la tute/abilità degli interessi collettivi senza che sia necessaria l'esistenza di una norma di protezione, essendo sufficiente la diretta assunzione da parte dell'ente dell'interesse in questione, che ne ha fatto oggetto della propria attività, diventando lo scopo specifico dell'associazione», di tal che, in plurime decisioni della Corte di legittimità, «la legittimazione alla costituzione di parte civile é stata ritenuta sulla base della considerazione che l'ente, per il proprio sviluppo storico, per l'attività concretamente svolta e la posizione assunta avesse fatto proprio, in un determinato contesto storico, quale fine primario quello della tutela di interessi coincidenti con quello leso dallo specifico reato considerato, derivando da tale immedesimazione una posizione di diritto soggettivo che lo legittima a chiedere il risarcimento dei danni ad esso derivati» (ne discendeva, nella specifica, ben nota vicenda processuale, l'ammissibilità quale parte civile dell'associazione Medicina Demcratica - Onlus). A ben vedere, insomma, il riferimento dei ricorrenti al necessario radicamento territoriale dell'ente esponenziale - elemento la cui insussistenza, peraltro, viene allegata su basi meramente assertive - risulta assorbito, alla luce dei principi testé richiamati, dalla natura dell'ente e dal fatto che lo stesso sia istituzionalmente e statutariamente portatore di finalità di tutela di interessi collettivi corrispondenti a quelli lesi dai delitti oggetto di imputazione. Di qui la conclusione in base alla quale - secondo il principio scolpito nella massima riportata dalla Corte di merito alle pagine 121 - 122 della sentenza impugnata - é ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione anche non riconosciuta che avanzi, iure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell'ente (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261110).
Nella specie, quindi, deve ritenersi che sia Legambiente che l'Associazione Esposti Amianto, per gli interessi statutari di cui sono portatrici, siano state correttamente ammesse a costituirsi parte civile.
2.2. Quanto alla legittimazione delle predette associazioni e delle confederazioni sindacali a chiedere il risarcimento del danno conseguente all'accertamento del reato, che gli imputati ricorrenti riferiscono alla specifica vicenda dell'U.A. colpito da asbestosi e contestano sulla base dell'assenza di prove circa un pregiudizio, per i predetti organismi, derivante dallo specifico reato, le lagnanze sono parimenti infondate.
E' necessario ribadire, al riguardo, che la tutela risarcitoria nell'ambito del processo penale spetta, agli enti esponenziali, in quanto titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie (nei termini che si sono dianzi richiamati a proposito dell'.evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia); e che, per quanto detto in precedenza a proposito della legittimazione dei predetti enti a costituirsi parte civile, ii diritto ad ottenere il risarcimento del danno conseguente al reato discende non già da un ruolo nella specifica vicenda processuale, ma dall'essere i predetti enti istituzionalmente rappresentativi di interessi riconducibili a una pluralità di soggetti, la cui lesione é occasionalmente avvenuta in un determinato contesto territoriale.
Pertanto l'affermazione secondo la quale occorrerebbe documentare, da parte degli enti di riferimento, eventuali spese sostenute o danni patrimoniali sopportati in dipendenza del reato trascura di considerare che, nell'accezione di danno risarcibile a favore degli enti esponenziali, rientrano sia quelli di natura patrimoniale (come può avvenire per i costi di attività finalizzate a prevenire il pregiudizio) che quelli di natura non patrimoniale (che possono connettersi al discredito dell'ente derivante dalla frustrazione dei fini istituzionali). Nella specie, quindi, così come la legittimazione di Legambiente e dell'Associazione Esposti Amianto a costituirsi parte civile discende dalle finalità statutarie delle predette associazioni, anche la legittimazione a chiedere il risarcimento del danno derivante da reato discende dalla posizione di diritto soggettivo che l'ente esponenziale può vantare in relazione alla sua posizione di assuntore dello scopo specifico di tutelare la categoria di beni della vita lesi dal reato, quale finalità statutaria dell'ente medesimo.
Per quanto poi concerne, più specificamente, le organizzazioni sindacali, analogamente é appena il caso di integrare i principi finora enunciati - in larga parte valevoli anche per dette organizzazioni aventi tra l'altro lo scopo di tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro - richiamando l'indirizzo giurisprudenziale riportato nella sentenza impugnata, e più volte ribadito, secondo il quale é ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l'inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali (oltre a Sez. 4, Sentenza n. 22558 del 18/01/2010, Ferrara e altri, Rv. 247814, si veda in senso conforme ex multis Sez. 4, Sentenza n. 27162 del 27/04/2015, Perassi e altro, Rv. 263825).

3. Tanto premesso, si passa ora ad esaminare il primo motivo articolato dall'Associazione Esposti Amianto, limitando per ora l'indagine alla parte in cui vi si contesta la decisione impugnata con riguardo ai casi di mesotelioma pleurico.
Con riguardo a tale parte, il motivo in esame risulta manifestamente infondato e proposto in termini non consentiti in sede di legittimità.
Dato per acquisito che il mesotelioma pleurico - patologia pacificamente monofattoriale - é stato cagionato dall'esposizione delle vittime all'amianto, e che presso il Petrolchimico di Ravenna vi erano, nei diversi ambienti lavorativi, fattori di esposizione (diretta o indiretta) alle particelle di amianto, deve rilevarsi che oggetto della confutazione recepita nel motivo di ricorso in esame é, sostanzialmente, la declinazione della c.d. teoria multistadio accolta nella sentenza impugnata: in estrema sintesi, l'impostazione dell'Ente ricorrente contrappone a tale teoria un'altra tesi scientifica, indicandola come maggiormente accreditata, in base alla quale la distinzione fra fase dell'induzione e fase della latenza non avrebbe rilievo, dovendosi di contro ritenere che ogni esposizione verificatasi nel tempo avrebbe rilevanza eziologica sullo sviluppo della patologia tumorale.
3.1. Il tema delle diverse tesi scientifiche riguardanti la rilevanza causale, sia generale che individuale, delle successive esposizioni delle vittime all'amianto é stato ampiamente dibattuto in plurime vicende processuali.
Ciò che certamente emerge dall'esame del motivo di ricorso di che trattasi é che si fronteggiano, da un lato, una tesi - accolta dalla Corte felsinea - secondo la quale la rilevanza eziologica delle esposizioni all'amianto cessa nel momento in cui si verifica il cosiddetto failure time, al termine della fase di induzione ed in base alla quale le successive esposizioni, fino al momento della diagnosi tumorale, risulterebbero irrilevanti sul piano causale, essendo a questo punto le cellule tumorali in grado di evolvere autonomamente; e, dall'altro, una tesi - sostenuta dall'Ente ricorrente - secondo la quale non vi sarebbe una distinzione fra le diverse fasi dell'esposizione all'asbesto, essendo queste tutte rilevanti ai fini della patogenesi tumorale.
Si tratta certamente di un contrasto fra tesi scientifiche le cui conseguenze sull'esito del giudizio sono affatto diverse: infatti, mentre la tesi proposta dall'Associazione Esposti Amianto implica che gli imputati risponderebbero di tutte le esposizioni delle vittime all'amianto verificatesi nei periodi di rispettiva competenza a carico delle persone offese, la teoria multistadio enunciata dalla Corte di merito, fondata com'é su un dato notoriamente incerto (ossia l'aleatorietà della collocazione temporale del failure time che si riverbera in termini di incertezza sia sulla durata della fase di induzione che sulla durata della fase di latenza) non consentirebbe di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dei singoli imputati in relazione ai periodi di rispettiva assegnazione agli incarichi di cui all'imputazione nell'ambito societario, nonché - con riguardo alle condotte contestate sotto il profilo omissivo - di assunzione delle rispettive posizioni di garanzia.
3.2. Va detto che la tesi affermata nella sentenza impugnata, diversamente da quanto pare sostenere l'Ente ricorrente, é notoriamente tutt'altro che priva di accreditamento nella comunità scientifica, presso la quale di contro - come si ricava anche da numerose vicende processuali approdate alla fase di legittimità, richiamate dalla Corte di merito: v. pp. 84 - 87 sentenza impugnata - essa risulta accolta da larga parte degli studiosi. Nell'ambito di molti fra i procedimenti riguardanti la patogenesi del mesotelioma pleurico a causa dell'esposizione all'amianto, all'interno dei quali ha trovato accoglimento la teoria c.d. multistadio, vi é, piuttosto, un'incertezza spesso insanabile circa la collocazione temporale dei diversi stadi o fasi in cui si articola l'evoluzione della patologia, con rilevanti ricadute in ordine al rapporto fra la cronologia dell'evoluzione della malattia (ed eventualmente della fase in cui l'esposizione all'asbesto non ha più rilievo causale su di essa) e i periodi di rispettiva assunzione, da parte dei singoli imputati, delle responsabilità in ambito aziendale.
Occorre in particolare constatare che, nella parte considerata, il ricorso dell'Associazione Esposti Amianto si risolve in un richiamo ad un'opposta tesi scientifica ritenuta preferibile (quella in base alla quale ogni esposizione successiva all'amianto, nessuna esclusa, avrebbe rilievo eziologico sull'evoluzione e/o sull'aggravamento della malattia) e nel tentativo di confutare quella accolta dalla Corte felsinea, asseritamente su basi logiche (con riguardo alla capacità delle cellule tumorali, dopo il termine della fase di induzione, di evolvere in modo autonomo), ma con argomenti tutt'altro che decisivi e comunque, di fatto, protesi a sollecitare una rivalutazione alternativa della questione e a sottoporre alla Corte regolatrice una sorta di sindacato sulla validità e sulla pertinenza del sapere scientifico, in termini non consentiti in sede di legittimità e demandati in via esclusiva al giudice di merito.
A fronte di ciò, occorre considerare che la sentenza impugnata non si limita a fare richiamo all'opposta teoria (che definiremo, in via speditiva e sintetica, "multistadio"), ma si confronta con quella oggi sostenuta dall'Associazione Esposti Amianto per criticarla e disattenderla, con argomenti adeguati e logicamente corretti, come tali non sindacabili in questa sede.
3.3. Del resto, notoriamente ci si muove in un campo nel quale difettano elementi - guida scientifici aventi carattere di univocità, non tanto sul piano dell'individuazione delle teorie più accreditate e della relativa opera di selezione da parte del giudice (di merito), quanto e soprattutto sul piano dell'osservazione e della ricostruzione di affidabili e verificabili elementi di ripetitività e di regolarità nell'evoluzione della patologia, tali da consentire, una volta trasposti ai casi concreti, di pervenire con ragionevole certezza all'individuazione dei soggetti responsabili succedutisi nelle posizioni di garanzia in relazione alla concomitanza fra i periodi di rispettiva assunzione della veste di garanti e quelli in cui possa affermarsi la rilevanza causale delle esposizioni all'amianto cagionate nel/dal luogo di lavoro. Di tali elementi di incertezza, quale dato di esperienza comune, é agevole accorgersi sulla base della semplice consultazione della letteratura scientifica in materia, ivi comprese le Consensus Conferences succedutesi in epoca relativamente recente (l'ultima é la III Consensus Conference tenutasi a Bari nel 2015). Le uniche certezze, si afferma da parte degli studiosi, sono quelle del momento di inizio dell'esposizione all'amianto e del momento della diagnosi del mesotelioma: momenti che delimitano la cosiddetta latenza convenzionale (da tenersi distinta dalla latenza clinica, che é il periodo - del quale non é dato rinvenire elementi di certezza sull'origine e suila durata - in cui, terminata la fase dell'induzione, ogni successiva esposizione all'amianto sarebbe eziologicamente irrilevante).
3.4. In relazione a quanto precede, occorre ribadire alcuni principi già ripetutamente riaffermati da questa Corte di legittimità in subiecta materia.
In primo luogo va ricordato una volta di più che, in tema di prova scientifica del nesso causale, mentre ai fini dell'assoluzione dell'imputato é sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l'evento, la condanna deve, invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio" (Sez. 4, Sentenza n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti e altro, Rv. 271718; Sez. 4, Sentenza n. 46392 del 15/05/2018, Medicina Democratica c. Beduschi, Rv. 274272).
In secondo luogo va riaffermato che il giudice di merito, tramite una documentata analisi della letteratura scientifica in materia, con l'ausilio di esperti qualificati ed indipendenti, é tenuto a valutare l'attendibilità di una determinata teoria attraverso la rigorosa verifica di una serie di parametri oggettivi, tra cui la validità degli studi che la sorreggono, le basi fattuali su cui gli stessi sono stati condotti, l'ampiezza e la serietà della ricerca, le sue finalità, il grado di consenso che raccoglie nella comunità scientifica e l'autorevolezza e l'indipendenza di chi ha elaborato detta tesi (Sez. 3, Sentenza n. 11451 del 06/11/2018, dep. 2019, Chianura, Rv. 275174; in termini sostanzialmente analoghi Sez. 4, Sentenza n. 22022 del 22/02/2018, Tupini e altri, Rv. 273586).
E' poi chiaro che i surrichiamati principi devono essere raccordati con quelli diffusamente accolti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale, affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza Franzese e più volte ribaditi e precisati in successive pronunzie anche apicali.
Si ricorderà, invero, che la Sentenza Franzese enunciò il principio di diritto secondo il quale «il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata (...) la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva».
Dunque, sul piano generale, l'individuazione del nesso causale deve muovere dall'accertamento (di una generalizzata regola di esperienza o) di una scientifica di copertura, la quale a seconda dei casi può essere universale o statistica con non trascurabili conseguenze ai fini della validazione dell'una o dell'altra, soprattutto in relazione all'applicazione al caso concreto (Sez. 4, Sentenza n. 4793 del 06/12/1990, dep. 1991, Sonetti e altri, Rv. 191789).
3.5. Il nodo fondamentale da sciogliere, sotto il profilo dell'accertamento del nesso causale tra le condotte contestate e l'evento costituito dall'insorgere di patologie asbesto - correlate, é stato individuato puntualmente dalla sentenza Cazzini, che tuttora costituisce un imprescindibile punto di riferimento in subiecta materia. Vi si afferma, in particolare, che l'affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche ascrivibili ai datori di lavoro e l'evento-morte (dovuta a mesotelioma pleurico) di un lavoratore reiteratamente esposto, nel corso della sua esperienza lavorativa, all'amianto, sostanza oggettivamente nociva, é condizionata all'accertamento: (a) se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico; (b) in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; (c) nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali; (d) infine, per ciò che attiene alle condotte anteriori all'iniziazione e che hanno avuto durata inferiore all'arco di tempo compreso tra inizio dell'attività dannosa e l'iniziazione della stessa, se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all'innesco del processo carcinogenetico (Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, Cazzini e altri, Rv. 248943; tra le tante conformi si veda ad es. Sez. 4, Sentenza n. 18933 del 27/02/2014, Negroni e altri, Rv. 262139).
3.6. Esaminando la questione sul piano generale, l'individuazione del nesso causale deve quindi muovere dall'accertamento (di una generalizzata regola di esperienza o) di una legge scientifica di copertura, la quale a seconda dei casi può essere universale o statistica, dove per legge scientifica universale si intende quella in base alla quale la verificazione di un evento é invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento; per legge scientifica statistica si intende invece quella in base alla quale il verificarsi di un evento é accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi, con la conseguenza che queste ultime sono tanto più dotate di validità scientifica quanto più possono trovare applicazione in un numero sufficientemente alto di casi e sono suscettive di ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili (Sez. 4, n. 43665 del 28/10/2019, Alzati e altri, n.m.).
In concreto, la ricerca della legge scientifica di copertura riguarda non la nocività dell'esposizione all'amianto (dato, questo, pacifico e incontrovertibile), ma la rilevanza causale del succedersi di ciascuna delle singole esposizioni (c.d. effetto acceleratore) in relazione alle singole fasi in cui si sviluppano gli effetti dell'esposizione protratta all'amianto, in funzione dell'individuazione dei soggetti responsabili nell'ambito dei periodi di esposizione "causalmente rilevante".
E' utile richiamare a tal fine l'indirizzo in base al quale, in tema di accertamento del rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore, per affermare la responsabilità dell'imputato fondata sull'effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'insorgenza della malattia, il giudice, avendo la relativa legge scientifica di copertura natura probabilistica, deve verificare se l'abbreviazione della latenza della malattia si sia verificata effettivamente nei singoli casi al suo esame, essendo a tal fine necessarie informazioni cronologiche che consentano di affermare che il processo patogenetico si é sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi in cui all'iniziazione non segua un'ulteriore esposizione e dovendo altresì essere noti e presenti nella concreta vicenda processuale i fattori che nell'esposizione protratta accelerano il processo (Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017 - dep. 2018, Cirocco e altri, Rv. 273095).
E', in sintesi, necessario acquisire processualmente la certezza (dandone poi adeguatamente conto in motivazione) che, nel periodo di assunzione della posizione di garanzia da parte del soggetto chiamato a rispondere degli esiti letali dell'esposizione, quest'ultima fosse causalmente idonea ai fini della patogenesi e dell'accelerazione del decorso infausto della malattia. Ciò che può avvenire unicamente sulla base di tesi qualificate ed accreditate dalla comunità scientifica, idonee come tali a dare copertura logica all'accertamento processuale; e, ad esempio - nel caso di adesione alla teoria multistadio, letta alla luce dei risultati della III Consensus Conference - collocando con certezza il c.d. failure Urne o nel corso del periodo in cui il garante espletava le sue funzioni, o "a valle" di tale periodo.
3.7. In proposito, soccorre il principio secondo il quale, in tema di rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore per mesotelioma, ove con motivazione immune da censure la sentenza impugnata ritenga impossibile l'individuazione del momento di innesco irreversibile della malattia, nonché causalmente irrilevante ogni esposizione successiva a tale momento, ai fini del riconoscimento della responsabilità dell'imputato é necessaria l'integrale o quasi integrale sovrapposizione temporale tra la durata dell'a.ttività lavorativa della singola vittima e la durata della posizione di garanzia rivestita dall'imputato nei confronti della stessa (Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 16/01/2019, Abbona, Rv. 276339). Tale indirizzo, che muove all'evidenza dal mai abbastanza ribadito principio costituzionale di personalità della responsabilità penale, é collegato a specifiche situazioni concrete ed é condizionato all'ipotesi in cui non sia processualmente possibile individuare il c.d. failure time: in tale ipotesi, si vuole affermare con l'indirizzo in esame, la soluzione univoca può raggiungersi solo nel caso dell'unicità del garante: ipotesi nel.la quale non si pone neppure la necessità di ricercare, e di collocare temporalmente, il momento in cui le successive esposizioni all'amianto perdono rilevanza patogenetica.
Su tali premesse generali, deve constatarsi che la Corte felsinea, nell'ambito del giudizio che occupa, ha aderito alla cennata teoria multistadio (ricordandone anche l'accreditamento presso la comunità scientifica) argomentandone i fondamenti in modo adeguato, coerente e logicamente corretto, non censurabile pertanto in questa sede, traendone la conclusione in base alla quale non é possibile ritenere comprovata la configurabilità del nesso causale tra la condotta ascritta ai singoli imputati, nell'arco temporale di rispettiva pertinenza, e gli esiti lesivi/letali dovuti a mesotelioma pleurico di cui all'imputazione.
3.8. Si deve al riguardo tenere presente che, nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura deve attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria di quest'ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti (Sez. 4, Sentenza n. 38991 del 10/06/2010, Quaglieri e altri, Rv. 248853). Con ciò si intende affermare che nessuna censura può attingere la valutazione del giudice quando egli non si limiti a prendere atto dell'insanabile contrasto fra tesi meritevoli tutte di pari dignità scientifica, senza esaminarle nel merito, ma ne affronti criticamente i contenuti onde fondare la propria decisione, argomentandola in termini di logicità e di coerenza e pertinenza rispetto alla tesi prescelta.
In una recente pronunzia della Terza Sezione penale (Sez. 3, Sentenza n. 32860 del 07/04/2021, Paglia e altri, n.m.) il tema é stato affrontato, sul piano generale, in termini affatto condivisibili, nel solco dell'indirizzo giurisprudenziale adottato sul tema in numerose pronunzie di questa Corte di legittimità, e che questo Collegio condivide. Vi si ribadisce, fra l'altro, il principio in base al quale «il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, attinente un meccanismo causale rispetto all'evento é motivo più che sufficiente per assolvere l'imputato. Viceversa, poiché la condanna richiede che' la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio" il ragionamento sulla prova deve trovare il proprio aggancio e la propria motivazione in un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi. La generalizzazione scientifica, in altri termini, porterà alla condanna oltre ogni ragionevole dubbio, solo qualora sia ampiamente condivisa dalla comunità degli esperti» . Alla luce del principio di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., l'affermazione di responsabilità presuppone «che sia acquisito 'oltre ogni ragionevole dubbio' che la legge di copertura sulla quale é assisa l'impostazione accusatoria sia riconosciuta dalla comunità scientifica come quella maggiormente accreditata. Il che non richiede di escludere l'esistenza di ogni tesi avversa o divergente; evenienza - quella della solitudine di una teoria - invero puramente teorica e neppure pretesa dal principio, che si connette all'idea di certezza ottimale», per poi concludere che «una irrisolta ambiguità o una incertezza in ordine all'effettivo riconoscimento di una legge scientifica universale é in grado di fondare il ragionevole dubbio il cui mancato superamento impone una decisione assolutoria».
3.9. Invero, nel caso di specie, stante il succedersi di una pluralità di garanti in costanza di esposizione all'amianto delle vittime, l'incertezza circa la collocazione temporale dello spartiacque fra esposizioni all'amianto eziologicamente rilevanti ed esposizioni prive di rilievo causale ai fini dell'evoluzione della malattia si é tradotta, secondo l'incedere argomentativo della Corte di merito, nell'impossibilità di pervenire, con riguardo ai casi di mesotelioma pleurico, all'affermazione di responsabilità degli imputati al di là di ogni ragionevole dubbio: ed invero, in ossequio al principio di personalità della responsabilità penale, si é posta la necessità di verificare se, al di là di ogni ragionevole dubbio (ossia a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana: così ex multis si esprime Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014 - dep. 2015, Pg in proc. Segura, Rv. 262280), la condotta contestata ai singoli imputati abbia avuto rilevanza causale nella genesi delle patologie tumorali ai danni delle persone offese.
Non può invece chiedersi alla Corte di legittimità di ergersi a giudice del sapere scientifico in quanto tale: al riguardo va ribadito che il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità é nel senso che, in tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non é giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (Sez. 1, Sentenza n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151; Sez. 5, Sentenza n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722).
In altre parole, deve qui ripetersi il principio in base al quale alla Corte regolatrice non spetta il compito di individuare ed enunciare i criteri scientifici che presiedono alla ricostruzione del nesso causale (sia sotto il profilo della causalità generale, sia sul piano della causalità individuale); ma quello di verificare se la decisione impugnata abbia adeguatamente argomentato circa la validità dei criteri scientifici adottati a tal fine, anche in termini di condivisione degli stessi presso la comunità scientifica di riferimento. Compito in esito al quale, per quanto detto, deve trarsi la conclusione che la decisione impugnata, nel suo impianto argomentativo in subiecta materia, si sottrae a censure sul piano logico e si appalesa pertanto insindacabile in questa sede.

4. Nel prosieguo del primo motivo l'Associazione Esposti Amianto si confronta con i casi di tumore polmonare o alla laringe, con particolare riguardo alle vicende occorse ad A.P. e ad E.F.. Al riguardo, questa parte del primo motivo di ricorso dell'Associazione é pressoché identica nella forma e nella sostanza al primo motivo dei ricorsi delle parti civili OMISSIS, di tal che le considerazioni che riguardano le lagnanze ivi articolate valgono anche per questi ultimi motivi di ricorso.
Nella specie si versa in una situazione affatto differente rispetto a quella dei casi di mesotelioma di cui finora si é trattato, diverse essendo le patologie che formano oggetto delle doglianze in esame; pertanto occorre muovere dalla constatazione, affatto pacifica, che in questo caso si tratta di patologie multifattoriali, ossia astrattamente attribuibili anche a fattori diversi e del tutto estranei all'esposizione all'amianto.
Secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, l'applicazione della regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533 cod. proc. pen., in tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi e alternativi tra loro, consente di pronunciare condanna a condizione che, in base al dato probatorio acquisito, la realizzazione dell'ipotesi alternativa, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 4, Sentenza n. 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274358, e Sez. 4, Sentenza n. 16715 del 14/11/2017, dep. 2018, Cirneco, Rv. 273097, ambedue richiamate dalla Corte felsinea a pag. 95); tale indirizzo chiama in causa, quindi, la disamina relativa alla sussistenza in astratto e alla configurabilità in concreto dei cosiddetti "decorsi causali alternativi" richiamati a partire dalla già citata sentenza a Sezioni Unite Franzese.
4.1. Orbene, il fatto che sia il A.P., sia - ancorché in misura minore - il E.F. fossero stati fumatori per lunghi anni integra c rtarnente, di per sé, un potenziale (e tutt'altro che irrilevante o modesto) fattore causale alternativo, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata: tanto più che il riscontro fornito dall'esame istologico che riguarda il A.P. depone per l'assenza di corpuscoli di asbesto o di corpi ferruginosi nei polmoni del sunnominato, mentre la percentuale di fibre é risultata largamente inferiore a quella che, secondo i criteri di Helsinki, determinerebbe il raddoppio del rischio di comparsa di tumore, e a livello di tessuto polmonare, non é stata rilevata la presenza di fibrosi interstiziale compatibile con l'asbestosi o con altre patologie asbesto - correlate (vds. pag. 95 sentenza impugnata); altrettanto correttamente la Corte di merito ricava da tale quadro elementi di ragionevole dubbio circa il fatto che il tabagismo, nei casi in esame, risulti causalmente irrilevante o che lo si possa liquidare come fattore meramente concausale sul prodursi delle patologie tumorali di cui si é detto. Ciò, secondo il ragionamento dei giudici bolognesi, si traduce in un insanabile dubbio circa la prova sia della causalità generale, sia (a fortiori) della causalità individuale, non essendo possibile acquisire, nei casi che occupano, la certezza di un nesso condizionalistico tra l'esposizione all'amianto e le patologie multifattoriali che colpirono il A.P. e il E.F..
4.2. In tale quadro, il tentativo delle parti civili ricorrenti di introdurre, fra i fattori da riesaminare, il fatto che il A.P. fosse stato colpito, nel tempo, anche da altre patologie asbesto - correlate (placche pleuriche, asbestosi) e di sottoporre allo scrutinio di legittimità opinioni scientifiche a sostegno della tesi che l'esposizione all'amianto in soggetto fumatore si sommerebbe, sul piano sinergico, agli effetti nocivi del tabagismo, si risolve anche in questo caso in un'estensione del sindacato di legittimità oltre i limiti che gli sono propri, che rende i motivi di ricorso in esame articolati anch'essi in termini non consentiti in questa sede. Ciò in quanto, come del resto già chiarito supra, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non é giudice delle acquisizioni tecnico-­ scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (in tal senso vds. Sez. 1, Sentenza n. 58465 del 10/10/2018, T., Rv. 276151; Sez. 5, Sentenza n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722).
Ne deriva che anche sotto questo profilo i ricorsi in esame si appalesano inammissibili in parte qua.

5. Sono invece infondati il secondo motivo dei ricorso dell'Associazione Esposti Amianto e quelli, consimili, delle parti civili OMISSIS in ordine al mutamento di opinione da parte della Corte di merito (in diversa composizione) circa l'ammissione dell'integrazione probatoria peritale richiesta dalle parti: la doglianza si riferisce al fatto che, a fronte dell'originaria valutazione di ammissibilità della perizia per stabilire se vi fosse consenso, nella comunità scientifica, sulla rilevanza causale delle patologie controverse, il collegio d'appello (diversamente composto) ha successivamente ritenuto che tale integrazione probatoria non fosse assolutamente necessaria, senza ulteriori specificazioni.
Orbene, deve osservarsi che lo svolgimento del giudizio d'appello ben può evidenziare il venir meno di esigenze di integrazione probatoria che inizialmente si erano ritenute esistenti. In linea di principio é noto che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, non é in alcun modo affetta da illogicità o contraddittorietà della motivazione la sentenza che consideri gli elementi, pur acquisiti ai sensi dell'art. 603, comma 1, cod. proc. pen., non assolutamente necessari, successivamente, ai fini della decisione, trattandosi di integrazione probatoria che, in quanto disposta su richiesta di parte, può essere liberamente valutata dal giudice d'appello alla luce del compendio indiziario già in atti e ritenuta, ex post, non determinante (per tutte vds. Sez. 3, Sentenza n. 35986 del 06/10/2020, B., Rv. 280426); se così é, ben può accadere che anche una prova inizialmente ammessa e non assunta dalla Corte di merito venga poi ritenuta, all'esito del dibattimento d'appello, non più caratterizzata dall'assoluta necessità ai fini del decidere di cui all'art. 603, comma 1, cod.proc.pen.. Del resto, la mancanza di una specifica articolazione motivazionale della decisione di non assumere la prova peritale deve considerarsi nella specie alla stregua di una motivazione "implicita", integrata di fatto dall'ordito argomentativo della sentenza impugnata, atteso che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, Sentenza n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv,. 280589; Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 21/05/2009, Messina e altro, Rv. 245009).

6. Venendo ai ricorsi presentati con unico atto dagli imputati A.B., L.F. , C.P. e I.T. e dal responsabile civile Eni Rewind S.p .A., deve ritenersi che i ricorsi in esame risultino nel loro insieme infondati, ma che tuttavia , almeno in taluni dei motivi in cui essi sono articolati, non possano dirsi affetti da manifesta infondatezza; con la conseguenza che, in relazione al tempus commissi delicti (19 gennaio 2012) e pur considerando i periodi sospensivi del decorso del termine prescrizionale (ed anche volendo prescindere dalle censure degli imputati e del responsabile civile riguardanti il computo di taluni dei periodi di sospensione), il delitto di lesioni colpose addebitato ai predetti imputati ricorrenti in danno di U.A. va dichiarato estinto per prescrizione, con conseguente annullamento della sentenza impugnata, ai fini penali, in riferimento al predetto delitto di lesioni colpose.
6.1. Ed invero, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice é legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento; e che, quanto al giudizio di cassazione, sempre nel caso in cui concorra una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, RRvv. 244274 e 244275).
6.2. In breve sintesi, passando in rassegna i motivi da 1 a 5 dei ricorsi in esame (nel sesto motivo i deducenti eccepiscono l'intervenuta prescrizione del reato, che risulta effettivamente maturata; mentre del settimo e dell'ottavo motivo, a loro volta infondati ma non affetti da manifesta infondatezza, si é già detto supra), può affermarsi quanto segue:
quanto al primo motivo, esso attiene eminentemente a una rivalutazione del materiale probatorio, in particolare degli elaborati degli esperti indipendenti detti 8-readers, dottori Cardona e Leonori, a fronte dei commenti a dette valutazioni redatti dal consulente della difesa prof. Grandi e alla Relazione aggiuntiva sui casi di Ravenna redatta dai consulenti della difesa proff. Harber e Gill. Detta rivalutazione non é, in linea di massima, consentita in sede di legittimità, atteso che il sindacato circa la valutazione delle prove é demandato al giudice di merito; con l'avvertenza, però, che nel caso di specie oggetto della censura é, più specificamente, una carenza motivazionale, che i ricorrenti argomentano
con riguardo all'adesione della Corte di merito alle affermazioni dei suindicati 8-readers senza confrontarsi adeguatamente ed in modo specifico con le difformi conclusioni cui erano pervenuti gli esperti della difesa in replica alle considerazioni svolte dai dottori Cardona e Leonori. Tuttavia é qui pertinente richiamare il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità in base al quale, in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice (ex multis vds. Sez. 5, Sentenza n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909), ciò che nella specie non può affermarsi ove si consideri che la Corte di merito (vds. pp. 114 - 116 della sentenza impugnata) si é fatta ampiamente carico di valutare la posizione critica dei consulenti della difesa e di disattenderle, privilegiando quelle dei dottori Cardona e Leonori, con incedere argomentativo assolutamente adeguato e ragionevole, che pertanto si sottrae a sindacato in questa sede; ne consegue che il motivo in esame deve ritenersi - sia pure non manifestamente - infondato;
quanto al secondo motivo, esso é pure infondato. La deduzione riguardante l'entità dell'esposizione all'amianto dell'U.A. (che secondo i ricorrenti non sarebbe idonea a comprovare il raggiungimento della soglia minima di fibre per anno rispetto ai dettami del Protocollo di Helsinki) deve necessariamente confrontarsi con il ragionamento probatorio in ordine alla probabilità logica della derivazione causale dell'asbestosi dall'esposizione dell'U.A. all'amianto nell'arco della sua vita lavorativa (dal 1962 al 1994, sia pure con gradienti ed intensità diverse e maggiori nel primo periodo). Orbene, la conclusione nel senso della derivazione causale dell'asbestosi dalle successive esposizioni all'amianto dell'U.A. (trattandosi di patologia progressiva, che aumenta con l'aumentare dell'esposizione e causalmente connessa a tutte le esposizioni subite dalla persona offesa nell'arco della sua vita lavorativa) viene tratta dalla Corte di merito non essendo stato rilevato, nella specie, alcun fattore alternativo eziologicamente rilevante; é, questo, un caso in cui é agevole comprendere la distinzione tra "probabilità statistica" (legata all'incidenza percentuale in un certo, prevalente numero di casi, della derivazione dell'evento da un determinato fattore causale) e "probabilità logica" (che ben può verificarsi anche in presenza di percentuali probabilistiche modeste o anche molto basse se valutate in senso assoluto, ma che diventa elevata nel momento in cui vengano esclusi fattori o decorsi causali alternativi nel caso specifico); si afferma in giurisprudenza che, ai fini del riconoscimento giudiziale del nesso di causalità tra condotta ed evento, non rilevano solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo alla "certezza", ma anche i coefficienti medio - bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di evento, se corroborati dal positivo riscontro probatorio oltre che sulla base del ragionamento inferenziale dettato in tema di prova indiziaria dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., e della regola generale in tema di valutazione della prova di cui al primo comma della medesima disposizione, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, di modo che, secondo un giudizio di alta probabilità logica, la condotta omissiva dell'imputato risulti condizione "necessaria" dell'evento (vds. Sez. 3, Sentenza n. 10209 del 07/10/2020, dep. 2021, Ceriani, Rv. 281710, in linea con Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138). Nella specie, l'unico fattore eziologicamente efficiente nell'eziopatogenesi dell'U.A. é risultato essere quello costituito dall'esposizione all'amianto durante l'intero arco temporale 1962 - 1994, all'interno del quale si collocano i periodi di assunzione degli incarichi di cui all'imputazione da parte dei ricorrenti; di tal che, in assenza di decorsi causali alternativi, anche l'affermazione di sussistenza del nesso causale in relazione a una modesta esposizione all'asbesto - protrattasi, peraltro, per oltre trent'anni - risulta articolata in termini aderenti ai principi appena richiamati sul piano argomentativo; il terzo motivo di ricorso é inammissibile, perché articolato in termini non consentiti in sede di legittimità, sia nella parte in cui sollecita una rivalutazione di merito sull'entità degli specifici fattori di esposizione ad amianto nei periodi di interesse degli imputati ricorrenti (1971/1987), sia nella parte in cui contesta che non fossero stati messi a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale, a fronte dell'argomentato incedere motivazionale della sentenza impugnata con riguardo ai detti profili (pp. 116 - 118);
il quarto e il quinto motivo di doglianza sono entrambi manifestamente infondati: quanto all'assunto secondo il quale il periodo in cui l'ing. I.T. assunse una carica assimilabile a quella datoriale fu più circoscritto rispetto a quello oggetto di imputazione, basterà rilevare che, anche in relazione a tale periodo, il protrarsi dell'esposizione del lavoratore all'amianto ha continuato ad essere eziologicamente rilevante, atteso che, nel caso dell'asbestosi, ogni esposizione che si succeda nel tempo ha rilevanza causale sullo sviluppo della malattia; dei periodi di assunzione della posizione di garanzia da parte del I.T., ed anche dell'infungibilità della sua posizione con quella dell'ing. C. (in relazione al quale, più che la durata dell'incarico, si evidenziano le diverse e distinte funzioni attinenti agli aspetti tecnici della produzione), la Corte felsinea fornisce adeguata illustrazione a pagina 119 della sentenza impugnata. Quanto alla posizione di garanzia dell'ing. C.P., le lagnanze difensive si scontrano con il percorso motivazionale della sentenza impugnata (pp. 120 - 121), sia per quanto concerne i compiti svolti in concreto dal C.P. (che comprendevano la tutela della salute dei lavoratori e lo qualificavano come concorrente con il datore di lavoro quale responsabile del servizio tecnico di sicurezza), sia per quanto concerne la conoscenza della pericolosità dell'amianto per la salute, non essendo invero dato comprendere per quale motivo tale consapevolezza non sarebbe stata particolarmente approfondita, secondo i ricorrenti, nel comparto petrolchimico, ove pure l'amianto era impiegato in relazione ad esposizioni all'amianto dei lavoratori che i ricorrenti indicano come "basse" e "indirette", a fronte del fatto che in realtà tali esposizioni non venivano mai misurate da coloro i quali erano tenuti a farlo, fra cui anche il C.P..
In definitiva, può affermarsi che i ricorsi degli imputati (oltreché del responsabile civile) non colgono nel segno con riferimento alla responsabilità dei predetti ricorrenti in relazione alla patologia asbesto - correlata contratta dall'U.A.: responsabilità che, dunque, deve ritenersi confermata.

7. A fronte di quanto precede, mentre si ribadisce, q,uanto al L.F., che il reato a lui contestato é estinto per morte dell'imputato, quantoagli altri imputati A.B., C.P. e I.T., i cui motivi di ricorso non risultano tutti manifestamente infondati, deve invece constatarsi l'estinzione del residuo reato loro ascritto per maturata prescrizione.
Conseguentemente, quanto al L.F., va pronunziato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato é estinto per morte dell'imputato; quanto agli altri coimputati A.B., C.P. e I.T., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il delitto di lesioni colpose in danno di U.A. é estinto per prescrizione; i ricorsi degli imputati e del responsabile civile vanno invece rigettati a fini civili e gli stessi vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
Stante la reciproca soccombenza (riferita al rigetto dei ricorsi degli imputati e delle parti civili: cfr. Sez. 4, Sentenza n. 39727 del 12/06/2019, Perugino c. Iorio, Rv. 277508), le spese di lite vengono dichiarate interamente compensate tra le parti private di questo giudizio.



P.Q.M.




Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di L.F per essere il reato a lui ascritto estinto per morte dell'imputato.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali relativamente al delitto di lesioni colpose in danno di U.A., perché estinto per prescrizione.
Rigetta agli effetti civili i ricorsi di A.B., C.P. e I.T. e del responsabile civile ENI Rewind S.p.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi delle parti civili Associazione Esposti Amianto, OMISSIS, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Compensa interamente le spese processuali tra le parti private di questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2021.


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