Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2020, n. 12180 - Cantiere stradale privo di recinzione e di adeguata segnalazione. Rischio di accesso pedonale non valutato e investimento mortale di un pedone

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

1. B.A. e N.G. ricorrono per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. perché, nella qualità di amministratori e direttori tecnici della SAF srl, ditta appaltatrice di lavori di manutenzione ordinaria di asfaltatura, il B.A. altresì quale responsabile per SAF s.r.l. della sicurezza sul lavoro, omettevano, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (artt.96,comma 1, lett. b) e g), 109 D.lgs. 81/2008), di effettuare, in relazione a un cantiere stradale temporaneo e mobile, una idonea e completa valutazione del rischio, al fine di individuare le misure di recinzione e di segnalazione del cantiere a tutela del pedoni e le procedure di dettaglio per eseguire le lavorazioni in massima sicurezza; consentivano al lavoratore R.S. di operare alla guida di un autocarro all'interno di un cantiere privo di recinzione e di adeguata segnalazione ai fini della tutela dei pedoni e di effettuare tali manovre in assenza di assistenza diretta da terra da parte di altro operatore, cagionando così la morte del pedone B., il quale, transitando sul lato destro della carreggiata, veniva investito dall'autocarro condotto dal R.S., durante una imprudente manovra di retromarcia, con conseguente decesso. In Verona, il 28.09.2010.
2. I ricorrenti deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla responsabilità, poiché le segnalazioni del cantiere apprestate dagli imputati erano complete, stante la predisposizione di cartelli di divieto di sosta, collegati tra loro con appositi nastri di delimitazione. D'altronde, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non occorrevano misure diverse e più pregnanti dell'apposizione di appositi coni, poiché non era necessaria, in considerazione della brevità e della modesta portata dei lavori nonché dell'assenza di pericoli, l'apposizione di recinzioni, barre o parapetti, come prescritto dagli artt. 34 e 40 reg. esec. cod. strada, considerato anche che i cassonetti delle immondizie erano stati spostati sul marciapiede sì da impedire completamente il passaggio dei pedoni sul marciapiede e sulla strada. Peraltro, trattandosi di cantiere stradale mobile, ai sensi dell'art. 39 reg. esec. cod. strada, l'apposizione di un'ulteriore barriera non sarebbe stata nemmeno possibile in considerazione della continua progressione dei lavori e della movimentazione dei macchinari. Le stesse esigenze, della lavorazione (attività di fresatura) imponevano un continuo spostamento dell'autocarro in retromarcia, attività questa che non poteva essere in alcun modo bloccata od ostacolata da segnaletica e/o recinzione.
2.1. L'evento è pertanto da ascriversi al comportamento imprevedibile della persona offesa, che attraversò in prossimità di un autocarro in movimento, al solo scopo di raggiungere i cassonetti e gettarvi la spazzatura, con condotta tale da interrompere il nesso di causalità.
2.2. Non era, d'altronde, nemmeno lontanamente immaginabile che il R.S., operaio da molti anni della SAF s.r.l., di punto in bianco e unilateralmente, decidesse di iniziare la manovra di retromarcia del veicolo senza attendere il collega S., preposto all'assistenza da terra e al coordinamento delle manovre dell'autocarro.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.




Diritto




1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia Soggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez . 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
1.1. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato che dagli accertamenti esperiti è risultato, come dato pacifico e non contestato dalla Difesa, che il cantiere non era recintato in modo da impedire l'accesso a terzi estranei, poiché a delimitare l'area rispetto alla sede stradale transitabile vi erano esclusivamente dei coni di 15 cm di altezza, posizionati a terra, nonché dei segnali di divieto di sosta collegati tra loro con dei nastri di plastica. Questo tipo di delimitazione non era dunque idoneo ad impedire l'accesso al cantiere agli estranei ai lavori, ben prevedibile - specifica il giudice a quo - ove si consideri che il cantiere era collocato a ridosso dei cassonetti delle immondizie, che erano stati lasciati accessibili alla normale fruizione dei cittadini. Ciò significa che il rischio di accesso pedonale non era stato valutato e che i pedoni non erano stati considerati quali soggetti esposti ai rischi connessi alle lavorazioni. Ove, infatti, il cantiere fosse stato recintato o comunque ove l'accesso ai cassonetti fosse stato tutelato tramite un presidio di sicurezza, l'investimento non si sarebbe verificato. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo la Corte d'appello preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario concettuale in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
2. Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, che conviene trattare congiuntamente poiché investono entrambi la problematica relativa all'interruzione del nesso causale, sono privi di fondamento. Il giudice a quo ha infatti sottolineato che il pedone pose in essere una manovra senz'altro imprudente, attesa l'evidente presenza di un cantiere che avrebbe richiesto maggiore attenzione, ma non eccentrica. La strada era infatti costeggiata da caseggiati di civile abitazione ad essa prospicienti e separati dalla strada stessa da un marciapiede su entrambi i lati. In un simile contesto urbano, l'accesso da parte della popolazione locale alla zona di conferimento delle immondizie era dunque da considerarsi del tutto normale e quindi perfettamente prevedibile da parte dei preposti alla sicurezza di cantiere. D'altronde, in ragione del posizionamento dei cassonetti lungo la carreggiata oggetto dei lavori di asfaltatura, era altamente prevedibile il rischio di un attraversamento non autorizzato della zona in cui dovevano operare i mezzi. Di qui la necessità di approntare una delimitazione del cantiere idonea a impedire l'accesso di soggetti non autorizzati. Ne consegue che la condotta, pur colposa, della persona offesa, che ha deliberatamente impegnato la carreggiata teatro dei lavori, non può essere considerata interruttiva del nesso di causalità tra l'omissione dei presìdi di sicurezza e l'evento stesso.
2.1. Per quanto attiene alla condotta dell'autista dell'autocarro, il giudice a quo ha posto in rilievo come dalle risultanze acquisite sia emerso che il camion condotto dal R.S. stava percorrendo in retromarcia la carreggiata per raggiungere il punto di inizio dei lavori in cui era collocata la fresatrice. La Corte d'appello ha dunque evidenziato la responsabilità a titolo di cooperazione colposa del lavoratore, per aver operato in violazione dell'art 141 cod. strada nonché delle prescrizioni antinfortunistiche generali, riportate anche nel POS della società per la quale il R.S. lavorava, che prescrivevano l'assistenza di un uomo a terra nel caso di retromarcia con mezzo pesante. Ma tale condotta colposa non può considerarsi interruttiva del nesso di causalità, avendo il giudice a quo evidenziato come, attraverso la mancata predisposizione di adeguata segnaletica e delimitazione dell'area di cantiere, il B.A. e il N.G. avessero consentito al R.S. di operare con l'autocarro in un cantiere privo di adeguati presidi di sicurezza a tutela dei terzi: presìdi che, ove fossero stati efficacemente approntati, non avrebbero certamente richiesto la vigilanza costante del cantiere da parte dei responsabili della sicurezza e avrebbero evitato l'evento, nonostante la condotta colposa in concreto posta in essere dal R.S..
3. Le conclusioni a cui è pervenuto il giudice a quo sono del tutto conformi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il titolare della posizione di garanzia ha l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di lavoro non solo per i lavoratori subordinati o per i soggetti equiparati a questi ultimi ma altresì per tutti coloro che possano comunque trovarsi nell'area del cantiere ( Cass., Sez. 4, n. 2525 el 21-1-2016, Del Rio). Soggetto beneficiario della tutela è infatti anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori sicché dell'infortunio che sia occorso a quest'ultimo risponde il garante della sicurezza, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata. Pertanto è irrilevante che il delitto si sia consumato in danno di un soggetto non dipendente dell'azienda operante nel cantiere o comunque in rapporti di lavoro con quest'ultima (Cass., Sez. 4, n. 44793 del 9-11-2015, Faggian; Sez. 4, n. 51190 del 30-12-2015, Passamonti). D'altronde, compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati o di terzi, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore o del terzo era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima aspettativa in ordine all'assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori o dei terzi, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore e del terzo anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori o di terzi (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161).
4. Occorre, sotto altro profilo, osservare come l'operatività dell'art. 41, comma 2, cod. pen. sia circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non possono, pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, comportamenti negligenti di soggetti - nella specie il lavoratore e la persona offesa - che si riconnettano ad una condotta colposa del garante (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). L'interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche; oppure qualora il terzo ponga in essere una condotta del tutto abnorme ed eccezionale e cioè una condotta che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro ( Cass., Sez. 4, n. 23292 del 28-4-2011, Rv. 250710). Solo in questi casi è esclusa la responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez. 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202). Nel caso di specie, il giudice a quo ha invece sottolineato come, nonostante sia indubbia la sussistenza di profili di colpa a carico del lavoratore e della persona offesa, l'evento sia da riconnettersi eziologicamente a una ben precisa condotta colposa degli imputati, consistente nell'emissione del fondamentale presidio antinfortunistico costituito dalla delimitazione del cantiere, che avrebbe certamente evitato l'accadimento lesivo.
5. I ricorsi vanno dunque rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.




Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 5-3-2020.


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