Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2021, n. 41147 - Infortunio con un macchinario marcato CE. Obbligo del datore di lavoro di adeguare la sicurezza ai progressi della tecnologia e di installare dei meccanismi automatici di blocco

2021

Fatto




1. La Corte di appello di Venezia il 9 luglio 2020 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con la quale il Tribunale di Padova il 2 maggio 2019, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto L.F., in qualità di datore di lavoro, responsabile del reato di lesioni colpose gravi nei confronti dell'operaio dipendente M.P., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 6 maggio 2014, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti all'aggravante, alla pena di giustizia (un mese di reclusione), condizionalmente sospesa.

2. I fatti, in estrema sintesi, come accertati dai giudici di merito.
L.F., in qualità di datore di lavoro, legale rappresentante della S.P.A. "Commit Siderurgia" e delegato della società in materia di sicurezza, è stato ritenuto responsabile delle lesioni gravi patite da un lavoratore, M.P., che ha avuto una mano schiacciata, con plurime fratture, dalla ripartenza dei rulli, che prima erano in posizione di quiete, del macchinario che stava ripulendo da residui di lamiera.
Si tratta di una macchina, detta "linea di spianatura e taglio trasversale bandellatrice", in cui la zona lavoro contenente parti mobili in movimento - sia rulli che una cesoia - era protetta da una grata di protezione apribile con un chiavistello ma priva di dispositivo automatico di blocco automatico in grado di arrestare il movimento all'apertura della grata.
I giudici di merito hanno ritenuto violato l'art. 71, comma 4, lett. a), nn. 1 e 2, del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere il datore di lavoro messo a disposizione del lavoratore una macchina non sicura, nel senso appena specificato, ritenendo non rilevante la circostanza, segnalata e documentata dalla difesa, che il macchinario avesse il marchio "CE" e che fosse regolarmente in commercio. In particolare, hanno osservato i decidenti che, essendo stata acquistata nel 2004, cioè dieci anni prima dell'incidente, era obbligo del datore di lavoro, adeguare gli standard di sicurezza nel tempo alla luce dei progressi della tecnologia ed installare dei meccanismi automatici di blocco, richiamando al riguardo (alla p. 9 della sentenza di primo grado e alla p. 4 di quella di appello) i principi, puntualizzati da tempo dalla S.C., secondo il quale «In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti. di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza. (In applicazione del principio di cui in massima la S. C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità)» (Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948) e secondo cui «L'obbligo di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni sul lavoro (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza» (Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011, Lanfredi, Rv. 251620).
Si è esclusa la esorbitanza del comportamento del lavoratore, che, peraltro chiamato a lavorare con mansioni diverse, quel giorno era intento a svolgere le mansioni che gli erano state in concreto assegnate.

3. Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi, con i quali lamenta violazione di legge, anche sotto il profilo della omissione di pronuncia (il primo motivo).
3.1. In particolare, con il primo motivo censura violazione di legge, appunto sotto il profilo della omissione di pronunzia, avendo la Corte di appello totalmente trascurato di prendere in considerazione la richiesta, concordemente avanzata dalla Difesa e dal Procuratore Generale all'udienza del 9 luglio 2020 (il cui verbale è allegato al ricorso), pur sussistendone i presupposti.
Si richiama al riguardo il precedente di Sez. 5, n. 34803 del 15/06/2016, Romeo Umberto, non mass., ove si è affermato che «costituisce difetto assoluto di motivazione della sentenza la mancata pronuncia del giudice di appello sulla particolare tenuità del fatto, quando nell'atto impugnatorio o nel giudizio sia stata esplicitamente sollecitata una verifica sulla applicabilità del ridetto beneficio» (così in motivazione, sub n. 4.3. del "considerato in diritto", p. 4) in una fattispecie, peraltro, in cui la sollecitazione proveniva solo dalla Difesa, mentre nel caso di specie vi era anche la domanda del P.M.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge (art. 71, comma 4, nn. 1 e 2, del d. lgs. n. 81 del 2008) nella parte in cui la norma che si pretende violata non prevede che il datore di lavoro abbia l'obbligo di sostituirsi al costruttore nell'installazione di sicurezze non presenti sin dall'origine in macchine marcate "CE".
La regola cautelare asseritamente violata avrebbe un perimetro assai più ampio rispetto a quello delineato dal legislatore ed estenderebbe l'ambito degli obblighi imposti al datore di lavoro con riferimento alla gestione dei macchinari oltre ogni confine di ragionevolezza e di esigibilità, addebitandogli di non avere installato sul macchinario un sistema di sicurezza che pacificamente non vi era mai stato, nonostante le rassicurazioni presenti sul libretto di uso e di manutenzione, in sostanza richiedendogli di superare la valutazione del costruttore, che aveva immesso in commercio il macchinario.
La lettura corretta dell'art. 71, nn. 1 e 2, del d.lgs. n. 81 del 2008 descriverebbe, ad avviso del ricorrente, il compito del datore di lavoro come accessorio ed esecutivo rispetto a quello del costruttore, non già come sostitutivo di esso, dovendo, per dettato di legge, attenersi alle istruzioni d'uso ed al manuale, scritti, appunto, dal costruttore; il riferimento alla "permanenza nel tempo" dei requisiti di sicurezza deve riferirsi necessariamente al mantenimento e/o alla conservazione di quei requisiti che in precedenza erano effettivamente esistenti, non certo a requisiti che in quel momento e dall'origine in verità non esistevano.
Disattendendo la lettera della legge, si verrebbe ad imporre al datore di lavoro un obbligo - illegittimo poichè non previsto da alcuna norma - suppletivo e non già meramente esecutivo-integrativo rispetto a quello del costruttore.
Del resto, la c.d. "direttiva-macchine" (direttiva 2006/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006) fa carico al costruttore, e non ad altri, l'obbligo di accertare che il prodotto immesso sul mercato presenti i requisiti di sicurezza, attestandolo attraverso apposita marcatura "CE", mentre l'acquirente è mero beneficiario, essendo persona rinchiusa nella platea di coloro che fanno affidamento sulla marcatura.
Inoltre, l'eventuale alterazione della macchina, anche se effettuata per ragioni di sicurezza, farebbe venire meno l'originaria conformità.

La descritta suddivisionè di sfere di responsabilità corrisponde concretamente - osserva il ricorrente- al principio di dominabilità del rischio, poiché la eventuale mancanza originaria è addebitabile solo al costruttore, non potendo l'acquirente intervenire né avendo le competenze per farlo.
Diversamente, ove cioè il costruttore abbia consegnato al datore di lavoro una macchina priva di criticità e tali criticità siano insorte durante l'epoca di governo del rischio del datore di lavoro, questi ne sarà responsabile.
3.3. Con l'ultimo motivo L.F. si duole della violazione dell'art. 43, comma 1, terzo alinea, cod. pen., nella parte in cui si ritiene esigibile in capo al datore di lavoro la conoscenza e la correzione di un vizio occulto della macchina, vizio celato anche nel libretto d'uso e manutenzione della stessa.
La sentenza sarebbe censurabile anche sotto il profilo della valutazione del quoziente soggettivo della colpa ossia della effettiva rimproverabilità dell'agente concreto per il mancato adeguamento al comando cautelare posto dall'ordinamento in astratto. Infatti, la Corte di appello non avrebbe valutato correttamente il tema della esigibilità in concreto della condotta diligente in capo a L.F. ossia la capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, come puntualizzato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 38343 del 18/09/2014, rie. Espenhahn, ove si è evidenziata la necessità di personalizzare il rimprovero colposo, misurandolo con la còncreta situazione nella quale si colloca il soggetto agente, onde evitare astrazioni basate sul c.d. agente modello.
La Corte di merito si sarebbe adeguata, ma soltanto nominalmente, a tali parametri interpretativi, riferendosi in maniera generica, ad un monitoraggio periodico sul funzionamento dei dispositivi di sicurezza installatati e ad una verifica di quelli eventualmente ancora mancanti.
Si sottolinea che l'omissione contestata all'imputato ha quale pre-requisito ineluttabile la conoscenza o la conoscibilità del vizio che avrebbe richiesto l'intervento manutentivo a correzione dello stesso.
Si tratta, però, nel caso concreto di vizio occulto, a ben vedere occultato dal costruttore.
Infatti, alla p. 54 del manuale si legge che "l'apertura di ogni barriera comporta l'arresto prima che l'operatore arrivi nella zona pericolosa o comunque in luogo tale da costituire elemento di collusione", poiché l'espressione "ogni barriera" non può che riferirsi anche al cancelletto aperto dal lavoratore prima del sinistro; inoltre, alla p. 8, tra le avvertenze generali, si legge che "i cancelli di ingresso alla barriera sono muniti di fine corsa che arrestano tutto l'impianto alla loro apertura"; ancora, alla p. 9, tra le norme di comportamento, si ammoniscono gli operatori a "non manomettere i micro di fine corsa".

Si tratterebbe - si evidenzia - di indicazioni fallaci, che sembrano indicare la presenza di un interblocco meccanico ovvero fotoelettrico collegato all'apertura del cancelletto di ingresso. Sicchè il datore di lavoro è in condizione di minorata capacità critica, potendo fare affidamento sulle indicazioni del costruttore.
A ciò si aggiunga che la conformazione fisica del macchinario non consente di percepire una differenza rispetto a quanto indicato a livello documentale.
Peraltro, nessun lavoratore escusso in istruttoria ha percepito l'anomalia, perché nessun incidente o problema si era verificato in precedenza, né era emersa la necessità di verificare un meccanismo che si era dimostrato efficace.
E, dunque, dalla circostanza che il datore di lavoro aveva a disposizione un manuale che riportava le indicazioni che si sono riferite, in particolare garantendo che all'apertura di "ogni barriera" la macchina avrebbe arrestato il proprio moto e dal fatto che non si erano verificati problemi, discende che l'imputato riteneva vi fosse il meccanismo di salvaguardia automatico e che sapeva che il macchinario funzionava regolarmente: donde la non esigibilità sia della conoscenza del vizio sia della necessitò di porre ad esso rimedio.
Si chiede, in definitiva, l'annullamento della sentenza impugnata.


4. La difesa ha tempestivamente chiesto la trattazione orale del ricorso.



Diritto



1. Premesso che il reato non è, alla data dell'udienza, prescritto, il primo motivo di ricorso risulta fondato, mentre sono infondati gli altri due per le seguenti ragioni.

2. Quanto alla prima delle censure, infatti, risulta documentalmente dal verbale dell'udienza del 9 luglio 2020 (p. 2), puntualmente allegato dal ricorrente, la avvenuta richiesta, sia pure avanzata in linea subordinata, di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto sia da parte della Difesa sia da parte del P.G., richiesta che è stata totalmente trascurata dalla Corte di appello.
Pertinente e condivisibile è il precedente richiamato nel ricorso: infatti, secondo Sez. 5, n. 34803 del 15/06/2016, Romeo Umberto, non mass., «Costituisce difetto assoluto di motivazione della sentenza la mancata pronuncia del giudice di appello sulla particolare tenuità del fatto, quando nell'atto impugnatorio o nel giudizio sia stata esplicitamente sollecitata una verifica sulla applicabilità del ridetto beneficio» (così in motivazione, sub n. 4.3. del "considerato in diritto", p. 4).

Né potrebbe ritenersi, come suggerito dal Procuratore Generale nella discussione all'udienza del 27 ottobre 2021, essere stata la richiesta implicitamente disattesa, poiché agli elementi della gravità del fatto e della natura della violazione (che si leggono alla p. 7 della sentenza impugnata) si contrappongono quelli, di segno contrario, della mitezza della pena inflitta, condizionalmente sospesa, del motivato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell'avvenuto risarcimento integrale della persona offesa (v. pp. 10-11 della sentenza di primo grado).
Spetterà, dunque, al giudice del rinvio pronunciarsi, con prudente apprezzamento, sulla richiesta in questione.

3. A diversa conclusione deve giungersi quanto agli ulteriori motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente.
E' ben noto ed in linea di massima condivisibile il - severo - principio di diritto secondo il quale «Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità» (così Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi e altro, Rv. 241020; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948, secondo cui «In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità)»; e Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro Rv. 259229, secondo cui «In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza»).
Ebbene, le, pur non irragionevoli, censure difensive (che si sono riferite sub nn. 3.2. e 3.3. del "ritenuto in fatto"), anche relative alle indicazioni contenute nel libretto di istruzioni (su cui v. già i primi due motivi di appello, pp. 3-12 dell'impugnazione di merito), trascurano, però, di attribuire il giusto peso alla centrale importanza nel caso in esame del tipo di dispositivo di sicurezza omesso e alla visibilità di un meccanismo di segregazione delle parti mobili e pericolose (rulli di metallo in movimento) della macchina rispetto agli arti dei lavoratori che era affidato ad un chiavistello, agevolmente apribile, dovendosi provvedere con altra manovra su distante meccanismo ad interrompere l'erogazione di corrente, e non già ad un blocco di tipo automatico, che sarebbe stato oggettivamente più sicuro.
Al riguardo, appare opportuno richiamare il principio, affermato dalla S.C. in un caso, non identico a quello in esame ma ad esso affine, di mancata adozione di protezione delle parti meccaniche in movimento, parti suscettibili di rivelarsi pericolose in caso di contatto del lavoratore, secondo il quale «In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza. (Fattispecie relativa a macchinario privo di "carter" di protezione, in cui la Corte ha ritenuto che il pericolo era evidentemente riconoscibile con l'ordinaria diligenza, dovendo gli organi in movimento dei macchinari essere sempre segregati per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore)» (così Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 275114-02).
Nel caso di specie le parti in movimento non erano, invece, immediatamente raggiungibili da parte del lavoratore ma risultavano protette in maniera insufficiente cioè da un meccanismo esistente - sì - ma facilmente eludibile, come in effetti accaduto nel caso concreto, solo agendo su un chiavistello, con ogni evidenza agevolmente apribile, rendendosi necessario inoltre lo spegnimento manuale del macchinario con altra manovra (v. specc. pp. 8-10 della sentenza di primo grado e 4-5 di quella di appello), sicchè, avuto riguardo alla centralità del valore della tutela della salute del lavoratore, non può che valere lo stesso principio appena richiamato.
Per la stessa ragione (i.e. l'agevole verificabilità della situazione) i giudici di merito hanno escluso che possa parlarsi, malgrado le indicazioni nel libretto di istruzioni, di un vizio occulto (p. 5 della sentenza impugnata), sottolineando che l'art. 71, comma 3, del d. lgs. n. 81 del 2008 impone l'obbligo di «ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro» (p. 4 della sentenza di appello). Si tratta di affermazione in linea con il precedente di Sez. 3, n. 46784 del 10/11/2011, Lanfredi, Rv. 251620, secondo cui «L'obbligo di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni sul lavoro (art. 71, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) impone al datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l'obbligo di legge, il rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di sicurezza».
In definitiva, il ragionamento dei giudici di merito risulta immune da vizi rilevabili in sede di legittimità, logico, con particolare riferimento all'obbligo del datore di lavoro nel caso di specie, cioè trascorsi dieci anni dall'acquisto, di adeguare gli standard di sicurezza alla luce dei progressi della tecnologia e di installare dei meccanismi automatici di blocco (p. 4 della sentenza impugnata e p. 9 di quella di primo grado), e corretto poiché conforme alle tradizionali affermazioni della esistenza degli obblighi, fondati sui valori costituzionali di solidarietà sociale e di tutela della salute (artt. 2 e 32 Cost.) e sul dettato dell'art. 71 del d.lgs. n. 81 del 2008, del datore di lavoro di verificare che le macchine siano prive di rischi e sicure per i lavoratori (ex plurimis, Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007, dep. 2008, Mantelli e altro, Rv. 238959; v. già Sez. 4, n. 1122 del 15/06/1990, Beretta, Rv. 185064) e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire, appunto, la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n. 2630 del 23/11/2006, dep. 2007, Mogliani e altro, Rv. 236012; nello stesso senso, Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi e altro, cit.; Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, cit.; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, cit.).

4. Consegue, in definitiva, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente all'omessa valutazione sulla richiesta causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., con rinvio sul punto a diversa Sezione della Corte di appello di Venezia, ed il rigetto nel resto.



P.Q.M.




Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'omessa valutazione sulla richiesta causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. e rinvia sul punto alla Corte di appello di Venezia, altra Sezione; rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 27/10/2021.


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