Cassazione Penale, Sez. 4, 11 marzo 2021, n. 9745 - Crollo di un cornicione di 40 t. sul ponteggio su cui stavano lavorando tre operai. Responsabilità di datore di lavoro, committente e direttore dei lavori

2021

1. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 18 marzo 2019, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Napoli nei confronti di D.C., B.E. e D.V., ritenuti responsabili dei delitti di cui agli artt. 449 cod. pen. e 589, commi 1, 2 e 3, cod. pen. in danno di G.M., I.B., I.D., dipendenti della "Danubiana Edile s.r.l.".
2. I fatti da cui è scaturito il presente procedimento, occorsi in data 18/6/2007 in Ischia, traggono origine dal crollo di un cornicione realizzato lungo il perimetro di un fabbricato, del peso di circa 40 tonnellate, che, staccandosi dalla cima del fabbricato, rovinava sul ponteggio su cui stavano lavorando i tre operai, cagionando il decesso di G.M. e I.B. e lesioni gravissime a I.D..
Gli imputati, odierni ricorrenti, erano chiamati a rispondere delle fattispecie di cui alla rubrica nelle rispettive qualità di titolare della ditta di costruzione, datore di lavoro degli operai (così D.C.); di committente dei lavori (così B.E.) e di Direttore dei lavori (così D.V.).
Si era accertato, nel corso della istruttoria, che il crollo del pesante cornicione in cemento armato era avvenuto in ragione dell'inadeguato ancoraggio, a causa della insufficiente lunghezza delle barre in ferro di fissaggio, che, penetrando sul solo cordolo preesistente, non raggiungevano la struttura muraria in modo da assicurarne la stabilità. Il progetto depositato prevedeva la realizzazione di un cornicione in cartongesso, di un peso notevolmente inferiore a quello realizzato. Tale iniziale progetto era stato poi abbandonato per fare luogo al diverso manufatto crollato, secondo un nuovo progetto mai ritrovato.
Il cornicione in cemento armato fu collocato in cima all'edificio, in assenza di calcoli e verifiche progettuali volte ad accertare che le strutture preesistenti fossero idonee a sopportarne il peso.
Quanto alle singole posizioni, oltre a profili di colpa generica, erano contestati agli imputati, in relazione alla fattispecie di cui all'art. 589 cod. pen., profili di colpa specifica, per violazione di talune norme nella materia della disciplina antinfortunistica e dell'art. 2087 cod. civ., quest'ultimo contestato a tutti gli imputati, in seguito alla integrazione del capo di imputazione operata dal P.M. nel corso del giudizio, ai sensi dell'art. 517 cod. proc. pen.
In particolare, a carico di D.C., datore di lavoro degli operai, l'Accusa individuava ulteriori profili di colpa specifica, derivanti dalla violazione dell'art. 64, comma 2, d.P.R. 164/56 (per non aver fatto eseguire armature provvisorie del cornicione su progetto redatto da un architetto o da un ingegnere corredato dai relativi calcoli di stabilità); dell'art. 8 d.lgs. 494/96 (per non avere osservato durante l'esecuzione dell'opera le misure generali di tutela di cui all'art. 3 d.lgs. 626/94); dell'art. 9 d.lgs. 494/96 (per non aver redatto il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 2, comma 1, lett. f-ter del medesimo decreto).
In relazione alla posizione di B.E., committente e responsabile dei lavori, erano individuati profili di colpa specifica derivanti dalla violazione dell'art. 3 del d.lgs. 494/96 (per avere, nella fase di progettazione dell'opera, al momento delle scelte tecniche nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, omesso di attenersi alle misure generali di tutela di cui all'art. 3 d.lgs. 626/94, di valutare i documenti di cui all'art. 4, comma 1, del medesimo decreto, di verificare l'idoneità tecnico professionale dell'impresa esecutrice in relazione ai lavori da affidare anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio; per non aver chiesto all'impresa esecutrice una dichiarazione dell'organico medio annuo distinto per qualifica ed una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative applicato ai lavoratori dipendenti; per non aver richiesto un certificato di regolarità contributiva); dell'art. 64, comma 2, d.P.R. 164/56 (per non aver fatto eseguire le armature provvisorie del cornicione su progetto redatto da un architetto o da un ingegnere corredato dai relativi calcoli di stabilità).
In relazione alla posizione di D.V., Direttore dei lavori, erano individuati ulteriori profili di colpa specifica consistiti nella violazione dell'art. 63 d.P.R. 164/56 (per avere, durante la costruzione o il consolidamento del cornicione, omesso di adottare precauzioni per impedirne la caduta, ponendo armature provvisorie atte a sostenerlo fino al raggiungimento della completa stabilità).
I giudici di merito ritenevano responsabili del crollo tutti gli imputati, in cooperazione tra loro, mettendo in rilievo le condotte negligenti, imperite e imprudenti di ciascuno e ritenendo integrata la fattispecie di reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. per violazione dell'art. 2087 cod. civ., ascritto a tutti gli imputati.
Quanto a D.C. , la Corte di appello ravvisava anche l'ulteriore profilo di colpa specifica derivante dalla violazione dell'art. 64, comma 2, d.P.R. 164/56.

3. Avverso la sentenza di cui sopra hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori, articolando i seguenti motivi di doglianza, richiamati in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.


3.1 Per D.C.
Primo motivo: vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento della colpa. Erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen.
Le argomentazioni poste a fondamento della decisione adottatta, sostiene la difesa, sarebbero erronee. I giudici di appello, nella parte dedicata alla disamina della responsabilità del D.C., ritengono che l'imputato avrebbe dovuto realizzare opere di contenimento del cornicione a protezione dell'incolumità degli operai. Il tema era stato già affrontato e superato dal giudice di primo grado, allorquando aveva esaminato la ricorrenza delle aggravanti oggetto di contestazione suppletiva da parte dell'Accusa, con le quali si addebitava al D.C., tra l'altro, la violazione dell'art. 64 d.P.R. 164/56 per non aver fatto eseguire armature provvisorie del cornicione.
Ritenendo ininfluenti le opere provvisorie di contenimento sul crollo del cornicione, il Giudice di primo grado aveva escluso tale profilo, ravvisando solo la violazione dell'art. 2087 cod.civ.
La Corte di appello, in mancanza di impugnazione del P.M., non avrebbe potuto riesaminare tale punto e ravvisare la violazione dell'art. 64 d.P.R. 164/56. La sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata risposta alle doglianze della difesa sollevate in relazione alla insussistenza della colpa dell'imputato nella causazione del crollo.
Con riferimento alla mancata verifica dello stato dei lavori e del corretto ancoraggio del cordolo, con i motivi d'appello, era stato evidenziato come la "Danubiana edile s.r.l." avesse preso in consegna il cantiere in data 07/05/2007. E' pacifico che a quella data il cordolo su cui doveva ancorarsi il cornicione crollato era stato già realizzato dalla precedente impresa (relazione del consulente del P.M., Prof. De Luca, pagg. 31 e 32; pagg. 93 e 94 della trascrizione del verbale di udienza del 03/07/2014, contenente la deposizione del consulente). E' altrettanto incontestato che la variante architettonica contenente la realizzazione del cornicione crollato fosse stata già presentata all'atto della presa di possesso del cantiere da parte della "Danubiana s.r.l."
Tali circostanze, secondo quanto prospettato nei motivi di gravame, avrebbero dovuto indurre il Giudice dell'appello ad escludere la colpa dell'impresa in quanto, trattandosi di lavori in prosecuzione, l'impresa non aveva alcuna ragione di dubitare delle indicazioni del Progettista e del Direttore dei lavori, Ing. D.V., relative alle modalità di ancoraggio del cornicione

al cordolo. Secondo la Corte territoriale, invece, il D.C., quale legale rappresentante della società e datore di lavoro degli operai, avrebbe dovuto verificare accuratamente lo stato dei lavori, accertando l'ancoraggio del cordolo al resto della struttura, prima di provvedere ad installare il cornicione, anche mediante l'esecuzione di saggi sul cordolo.
La motivazione sarebbe generica e non si confronterebbe con la tematica della esigibilità della condotta.
L'impresa edile, al momento del subentro, ricevette istruzioni e rassicurazioni da parte delle figure professionali presenti sul cantiere. Il sistema con cui il cordolo era stato ancorato al fabbricato era una questione ampiamente superata, poiché di essa si era occupata la precedente impresa. È logico ritenere che il progettista presente sul cantiere - il quale era stato Direttore dei lavori anche con la precedente impresa - abbia dato precise indicazioni sul montaggio del cornicione, tenendo conto delle modalità con cui era stato fissato il cordolo sottostante. Oltre alla figura dell'Ing. D.V., quale Progettista e Direttore dei lavori, è emerso in dibattimento che vi erano anche altre figure professionali presenti in loco, come l'Ing. B. (indicato da più soggetti come l'ingegnere di fiducia della proprietà, sempre presente in cantiere) e la moglie dell'effettivo proprietario della struttura, che aveva la qualifica di Architetto.
La società edile avrebbe dovuto immotivatamente dubitare della validità delle scelte tecniche operate in precedenza e delle istruzioni impartite dal Direttore dei lavori, Ing. D.V..
All'impresa era stata offerta assicurazione che tutta la parte del cordolo e della struttura su cui era ancorato fosse in cemento armato ed era stata tenuta all'oscuro dell'incollaggio del cordolo alla struttura muraria: se il cordolo fosse stato correttamente ancorato al fabbricato e non incollato, il crollo non si sarebbe verificato.
Entrambe le sentenze si sono limitate a constatare che se la "Danubiana s.r.l.", nella persona dell'amministratore, non si fosse limitata a credere alla rappresentazione dello stato dei luoghi che gli veniva offerta, pretendendo di effettuare dei saggi per comprendere le modalità di ancoraggio del cordolo alla struttura, l'evento si sarebbe potuto evitare. Tali argomentazioni, tuttavia, non prendono in considerazione il profilo soggettivo della colpa: i giudici evitano di affrontare la tematica della esigibilità della condotta, della prevedibilità ed evitabilità dell'evento.
Per un verso non spiegano le ragioni per le quali D.C. avrebbe dovuto dubitare della corretta esecuzione dei lavori svolti dalla precedente impresa e delle rassicurazioni fornite dai diversi professionisti presenti in cantiere, per altro verso trascurano di considerare che furono eseguiti dei saggi preliminari (cfr. deposizione resa dal teste all' udienza del 26/09/2012 "quando abbiamo fatto il saggio all'angolo, quello che abbiamo cominciato, mi ricordo che abbiamo trovato cemento armato").
Le ragioni del crollo, come si evince dalla consulenza del Prof. De Luca, non sono da ricondurre alla consistenza del cordolo (che conteneva innegabilmente elementi propri del cemento armato), ma all'inadeguato ancoraggio del cordolo alla struttura del fabbricato: la causa è da attribuirsi ad un errore di progettazione e non all'esecuzione da parte della "Danubiana edile s.r.l.". I saggi avrebbero permesso solo di accertare la composizione del cordolo e della struttura, ma non il sistema di fissaggio del cordolo al fabbricato.
La Corte territoriale ha ritenuto, superando le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, che l'impresa avrebbe agito in maniera superficiale, non avendo preteso un disegno esecutivo in dettaglio. Tale affermazione non corrisponderebbe alle risultanze processuali e si sostanzierebbe in un travisamento della prova.
Il tema è stato superato in dibattimento dalla consulenza del Prof. De Luca e dalla sua deposizione. Questi ha chiarito come la chiodatura sia stata sicuramente eseguita sotto la direzione di un tecnico, individuabile nel Direttore dei lavori, non potendo essere affidata alla capacità di un semplice operatore (relazione di consulenza tecnica pagg. 101 e 109; pagg. 91 e 92 delle trascrizioni del verbale di udienza del 3/ 7/ 2014) . Anche la relazione del Prof. De Luca fa riferimento a disegni "non ritrovati" (pag. 109 della relazione di consulenza). Alla pagina 99 della stessa consulenza è dato leggere: ".. .a fronte di tale atipicità del cornicione non si predisponeva un adeguato disegno di dettaglio ( qualora il disegno sia stato predisposto non è stato ritrovato)". E più avanti: "Dalle rilevazioni effettuate sui reperti è stata riscontrata una lunghezza costante dei barrotti di ancoraggio sempre pari a 50 cm. Tale costanza fa pensare ad una corretta esecuzione rispetto ad istruzioni non trovate".
In conclusione, il Consulente del P.M . ha dovuto constatare il mancato rinvenimento dei disegni e del progetto, ma ha anche affermato che la corretta e regolare esecuzione del lavoro farebbe pensare a istruzioni effettivamente esistenti che non sono state trovate. Lo smarrimento del progetto peraltro potrebbe essere imputato sia a ragioni fortuite, come lo stesso crollo, sia alla condotta di chi aveva interesse a far sparire gli atti, per ostacolare la individuazione del responsabile. Del resto, anche il teste C.D., escusso all'udienza del 26/09/2012, riferisce di un disegno del cornicione (ud. del 26/9/2012 pagg. 10 e 12 della trascrizione).

3.2 Secondo motivo: erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 53, 64 e 65 d.p.r. 380/01 e dell'art. 2 della legge Regione Campania del 7 gennaio 1983 n. 9; omessa motivazione su tali profili.
D.C., quale amministratore dell'impresa costruttrice, è stato ritenuto concorrente nella causazione del crollo per non aver provveduto al deposito dei calcoli e del progetto al Genio Civile. Rispondendo alle censure avanzate dalla difesa, la Corte di merito ha affermato che il cornicione in questione conteneva elementi propri delle strutture in cemento armato per cui era necessario adempiere al deposito presso il Genio Civile dei calcoli e dei disegni di dettaglio.
Ebbene, secondo quanto stabilito dalla normativa nazionale e in particolare dall'art. 53 d.P.R. 380/01 e art. 1 legge 1086/71 tale obbligo riguarda esclusivamente quegli interventi che assolvono ad una funzione statica.
Nel caso di specie il cornicione era stato realizzato per una funzione architettonica: non essendo deputato a sopportare pesi o spinte, non sorgeva alcun obbligo di presentazione dei progetti per cemento armato.
Non si comprenderebbe con esattezza la norma contestata al D.C. in relazione al mancato deposito al Genio Civile dei calcoli e del progetto esecutivo, non essendo stata indicata nella contestazione.
Nella consulenza del P.M., redatta dal Prof. De Luca, si legge che vi sarebbe stata la violazione della Legge della Regione Campania n. 9/1983, norma che richiede espressamente il deposito al Genio Civile (v. relazione De Luca pag. 44 ).
L'obbligo di deposito del progetto esecutivo al Genio civile sarebbe sancito dall'art. 2 L.R. n. 9 del 1983 che, tuttavia, stabilisce, in deroga alla normativa nazionale in materia di edificazioni, che il committente, o il costruttore che esegue i lavori in proprio, debba essere tenuto al deposito dei progetti al Genio Civile, e non il costruttore che esegua in appalto le opere.
3.3 Terzo motivo: erronea applicazione dell'art. 589, comma 2, cod. pen. in relazione art' art. 2087 cod. civ., violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.
Nei motivi d'appello era stata lamentata la erronea applicazione dell'aggravante di cui al comma secondo dell'art. 589 cod.pen. in relazione all'art. 2087 cod. civ.
La Corte territoriale ha invece reputato correttamente contestata l'aggravante in questione, poiché il datore di lavoro era tenuto a verificare le condizioni di sicurezza del cantiere e, in ogni caso, il carattere clamoroso del crollo non era idoneo ad interrompere il nesso causale.
La regola di carattere generale prevista dall'art. 2087 cod. civ., norma di carattere residuale, è volta a tutelare la sicurezza dei lavoratori.

La condotta illecita addebitata al D.C., il quale risponde anche di disastro colposo, non riguarderebbe il profilo della sicurezza dei lavoratori, ma avrebbe una portata più generale, riguardante la sicurezza dell'edificio e di quanto si trovava al di sotto del cornicione crollato. Se il crollo si fosse verificato in danno di persone estranee all'impresa, una volta terminata la realizzazione dell'edificio, non sarebbe stata contestata l'aggravante di cui al comma secondo dell'art. 589 cod. pen.
Nella sentenza di primo grado il crollo è stato ascritto ad un "deficit di ancoraggio" che nulla ha a che vedere con le regole della sicurezza sui luoghi di lavoro. L'esclusione dell'aggravante determinerebbe l'estinzione del reato di omicidio colposo per prescrizione, essendo maturato il termine massimo.
4. Per D.V.
4.1 Primo motivo: erronea applicazione degli artt. 589, 434 e 449 cod. pen.
Nella sentenza viene fatto esplicito riferimento al contenuto delle dichiarazioni testimoniali rese nel corso del dibattimento di primo grado dal caposquadra C.D., il quale ha affermato che gli operai prendevano ordini dall'Ing. B., nominato dal committente e presente sul cantiere. Sempre attraverso la deposizione di C.D. si è accertata la esistenza del progetto riguardante il cordolo e la effettuazione di saggi sul cordolo. Tali circostanze non risultano in alcun modo smentite nelle sentenze di merito.
Nonostante tali emergenze probatorie, la Corte territoriale ha ritenuto di disattendere le censure difensive contenute nell'atto di appello, sostenendo che il D.V., pur non essendosi occupato della redazione del progetto relativo alla installazione del nuovo cornicione, della concreta fattibilità dell'opera e di ogni altra attività inerente a!la ideazione e alla esecuzione del manufatto, fosse egualmente responsabile del tragico evento.
In sostanza il D.V. è stato ritenuto responsabile dei reati a lui ascritti, benchè avesse rivestito solo formalmente la carica di Direttore dei lavori - svolta concretamente dall'Ing. B. - e si fosse occupato esclusivamente di incombenze "burocratiche", gravando su di lui un "generale obbligo di sorveglianza dei lavori".
Le massime citate in sentenza per sostenere tale assunto sarebbero inconferenti poiché riguardano ipotesi in cui il Direttore dei lavori ha effettivamente svolto il suo ruolo. Nel caso che occupa, invece, la stessa sentenza impugnata riconosce esplicitamente che l'effettivo Direttore dei lavori non era l'ing. D.V. ma l'Ing.B., nei confronti del quale è stato anche disposto l'invio degli atti alla locale Procura.
Il disinteresse dell'Ing. D.V. per tutte le operazioni sopra descritte non era stato frutto di una condotta negligente, ma la conseguenza di un preciso accordo intercorso con la committenza che aveva ritenuto di demandare tali compiti ad un professionista diverso, riservando, invece, al ricorrente solo compiti burocratici da svolgere a Napoli ove egli risiedeva.
Ben più aderente al caso in esame risulterebbe altra massima della Suprema Corte che ha escluso la resposnsabilità del Direttore dei lavori in caso di non ingerenza nella organizzazione del lavoro (Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993, dep. 08/02/1994, Rv. 197086 - 01),
E' emerso inoltre, nel corso del dibattimento, che l'originario progetto relativo alla installazione del cornicione era stato sostituito da altro progetto che era stato effettivamente adottato per la realizzazione dell'opera.
È noto come ogni progetto esecutivo debba essere preceduto da idonei controlli sulla fattibilità dell'opera a cura del progettista, mentre il Direttore dei lavori ha soltanto il compito di verificare che le opere siano conformi al progetto. Nel caso specifico l'autore di tale secondo progetto non è stato individuato.
E' invece emerso che i disegni relativi a tale secondo progetto erano nella sola disponibilità dell'effettivo Direttore dei lavori, Ing. B., che, sulla base degli stessi, impartiva ordini alle maestranze (cfr. quanto riferito dal caposquadra C.D.).
I giudici di merito sarebbero quindi incorsi in una erronea applicazione della legge ed avrebbero espresso una motivazione illogica.
4.2 Contraddittorietà della motivazione e palese illogicità della stessa
Si attribuisce all'Ing. D.V., oltre alla funzione di Direttore dei lavori, quella, ritenuta decisiva, di "progettista strutturale", desunta dal "progetto depositato al Genio civile relativo alla ristrutturazione e sistemazione dell'area circostante la struttura recettiva dell'hotel "Giusto". La Corte di merito sembra quindi attribuire all'Ing. D.V. la paternità del progetto riguardante il cornicione in questione. Per altro verso, si riconosce che l'originario progetto del cornicione, da realizzarsi in cartongesso, fu redatto dall'Arch. V.C., assolto in primo grado perché tale suo progetto fu sostituito da quello in cemento armato, redatto da persona non identificata, e realizzato sotto la direzione ed il controllo dell'Ing. B..
4.3 Violazione ed erronea applicazione della norma di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., contestata in udienza. Contraddittorietà della motivazione.
Nel corso del dibattimento di primo grado è stata contestata a tutti gli imputati la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 589 cod. pen. per violazione del disposto di cui all'art. 2087 cod. civ.
Con specifico riguardo alla posizione dell'Ing. D.V. è stato altresì contestato l'art. 63 del d.P.R. n. 164/56.
Il disposto di cui all'art. 2087 cod. civ. contiene un principio di carattere generale. La norma in questione, pur meritevole di ottemperanza da parte di chiunque, è però diretta specificamente "all'imprenditore" "nell'esercizio dell'impresa" e non potrebbe essere estesa ad altre figure professionali.
5. Per B.E.
5.1 Annullamento della sentenza impugnata per inosservanza o erronea applicazione della legge penale.
La Corte di Appello ha confermato la decisione di condanna ribadendo la considerazione espressa dal giudice di primo grado, secondo cui, nell'ambito della valutazione della colpa dell'imputato, risulterebbe pienamente integrata «la violazione della norma dì cui all'art. 2087 C.C., atteso che il committente, in quanto responsabile dei lavori, è tenuto a rispettare gli obblighi dì sicurezza imposti dal!a legge, al fine di preservare l'integrità psicofisica dei dipendenti».
La figura del committente - si legge in motivazione - non dovrebbe, infatti, "limitarsi" alla scelta dell'impresa che deve realizzare il progetto, dovendo al contrario provvedere anche alla «progettazione esecutiva, così come alla direzione dei lavori, approfondendo il livello della progettazione architettonica sommaria anche sotto il profilo strutturale ed impiantistico».
L'istruttoria dibattimentale di primo grado avrebbe fatto emergere, con chiarezza, l'assoluta insussistenza, a carico del B.E., dei profili di colpa contestati. Difatti, tutte le prove acquisite in atti - produzioni documentali, valutazioni dei tecnici di tutte le parti ed esami degli imputati - hanno palesato come il comportamento del B.E., quale legale rappresentante della società committente, non possa in alcun modo integrare i profili di colpa specifici allo stesso attribuiti e non possa essere qualificato come "imprudente" o "negligente" nell'accezione indicata nell'art. 43 cod. pen.
I giudici del gravame, sul punto, hanno affermato che il B.E., nella qualità di committente dei lavori, non aveva adempiuto agli obblighi che la legge Impone, sostenendo che: riguardo alla individuazione dell'impresa esecutrice è incorso in una culpa in eligendo, avendo scelto un'impresa asseritamente sprovvista del "DURC", assolvendo "in maniera superficiale" a tale unico adempimento gravante su di lui; egli, inoltre, era a conoscenza della realizzazione dell'opera in modo difforme rispetto al progetto, essendo «visibile ìctu oculi».
Ebbene, entrambe tali asserzioni sarebbero del tutto disancorate dagli approdi normativi e giurisprudenziali in tema di sicurezza sul lavoro e di delega di funzioni.

In riferimento alla prima contestazione, si è accertato che i tecnici e l'impresa, ai quali l'imputato aveva demandato la progettazione e l'esecuzione dei lavori, erano muniti dei prescritti requisiti, pertanto, la loro scelta è risultata corretta e in linea con il dettato normativo (le figure preposte alla Direzione dei Lavori e i Collaudatori risultavano individuati in professionisti regolarmente iscritti ai rispettivi Ordini). Quanto alla scelta della impresa esecutrice, essa dovrebbe essere considerata esente da qualsivoglia rilievo, risultando correttamente iscritta alla Camera di Commercio e munita di tutte le prescritte certificazioni ed autorizzazioni per l'esercizio dell'attività di impresa, compreso il DURC, che, come già evidenziato nell'atto di appello, non solo è stato regolarmente prodotto, ma risulta acquisito agli atti del dibattimento (posto sotto sequestro dai Carabinieri, in uno con altra documentazione, come da verbale del 18/06/2007, allegato in copia alla CTU del P.M., Prof. Ing. Antonello DL., che la indica nell'appendice 2 della relazione ed acquisito agli atti del procedimento, in copia semplice e in copia conforme all'originale).
Il rilevo è stato del tutto trascurato dai Giudici di secondo grado, i quali, al contrario, hanno utilizzato tale aspetto come argomento a sostegno di una asserita superficialità del B.E. nella scelta della ditta a cui affidare i lavori.
Venendo all'attività di vigilanza e controllo, la Corte territoriale nel riconoscere penale rilevanza alla condotta dell'indagato, ha fatto ricorso ad un ragionamento tipicamente presuntivo, fondato sul riconoscimento di una vera e propria responsabilità "da posizione" dell'imputato.
E' noto che, nell'organizzazione di un qualsivoglia lavoro edilizio. sul committente gravi esclusivamente il dovere di avvalersi di tecnici abilitati alla rispettiva professione ed iscritti al corrispondente Ordine professionale.
D'altronde, in un settore complesso come quello dell'edilizia, non può pretendersi che il quivis de papula disponga delle conoscenze tecniche e giuridiche necessarie alla corretta progettazione ed esecuzione dei lavori, oltre che alla sicurezza di tutti coloro che concorrano agli stessi. Pertanto, appare logico che egli debba rivolgersi ad esperti qualificati. Nella fattispecie, il B.E. aveva nominato: quale "Direttore dei lavori", l'Ing. D.V.; quale "Coordinatore della sicurezza nelle fasi della progettazione e della esecuzione", l'Ing. N.A.; quale "Impresa esecutrice" la "Danubiana Edile S.r.l."; quale "Responsabile di cantiere" il sig. P.F.; quale "Progettista architettonico" l'Ing. V.C.; quali "Collaudatori" gli Ingegneri F.F. e A.B..
È dunque in capo a tali soggetti che, in virtù dei vari incarichi ad essi conferiti dal committente, si sarebbe trasferita la posizione di garanzia originariamente gravante sulla committenza, trattandosi di professionisti attentamente selezionati, in possesso delle competenze tecniche e delle prescritte abilitazioni legali, nonché, espressamente dotati della relativa autonomia deliberativa, economica e decisionale.
Il B.E., affidandosi ai tecnici nelle forme imposte dalla legge, ha puntualmente rispettato tutti gli obblighi su di lui incombenti in virtù delle disposizioni vigenti e applicabili ratione temporis.
Egli, inoltre, pur conscio della sua inadeguatezza a valutare questioni strettamente specialistiche, demandate appunto alla competenza dei tecnici, ha comunque assolto all'unico incombente amministrativo "residuale" gravante su di lui, consistito nella trasmissione, al competente ufficio del Genio Civile, della documentazione di rito prima della esecuzione delle opere, tra cui quella protocollata al n. 510970 del 6/6/2007 (pratica n. 2028/07).
D'altronde, anche in relazione a tale obbligo, il B.E. era tenuto esclusivamente a depositare quella documentazione che i tecnici incaricati avevano predisposto e gli avevano affidato.
La responsabilità del tragico evento è stata pacificamente individuata in un difetto di progettazione e/o realizzazione del cornicione crollato. Attività, queste, che la committenza aveva necessariamente demandato, con incarico espresso e formale, al Progettista delle strutture ed al Direttore dei lavori.
Il cornicione in questione, stando alle conoscenze e alle disposizioni impartite dal B.E. alla Direzione Lavori e alla impresa, avrebbe dovuto essere un banale ornamento, esattamente come quello progettato ed effettivamente installato dopo il fatto sull'edificio.
5.2 Secondo motivo: inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale; carenza o contraddittorietà della motivazione con riferimento ai capi e ai punti della sentenza impugnata relativi alla dichiarazione della penale responsabilità dell'imputato per colpa.
Le considerazioni espresse in precedenza sarebbero idonee a rivelare come la responsabilità degli eventi verificatisi debba ricadere innegabilmente sui tecnici che avrebbero dovuto vigilare su tutte le fasi dei lavori e non anche sulla committenza, la quale, al contrario, sarebbe stata danneggiata dalle altrui negligenze.
In ordine alla ritenuta violazione dell'art. 2087 cod. civ., l'orientamento giuslavoristico maggioritario ritiene che tale disposizione non possa fondare automaticamente una responsabilità del committente, non essendo possibile richiedere a quest'ultimo un controllo assiduo sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori; pertanto, la suddetta disposizione potrà applicarsi al committente solo nel caso in cui questi si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi poteri tecnico-organizzativi delle opere da eseguire.
Nel caso di specie, al contrario, il citato trasferimento delle prerogative di natura tecnica ai professionisti più volte menzionati, attraverso deleghe scritte e dotate dei necessari requisiti formali e sostanziali, aveva determinato il legittimo affidamento del B.E..
La estensione del perimetro dell'art. 2087 cod. civ. sarebbe fortemente problematica alla luce dei principi garantistici sottesi alla materia penale, fra cui spicca il divieto di interpretazione analogica in malam partem.
La Corte di appello avrebbe fatto proprie le considerazioni del giudice di prime cure, che ha ritenuto sussistente una "cooperazione colposa nel reato proprio", solo implicitamente riferita al combinato disposto degli artt. 113 e 117 cod. pen.
Secondo tale ricostruzione, l'extraneus B.E. (sprovvisto della qualifica di imprenditore) sarebbe venuto meno ai suoi compiti di vigilanza e controllo che, in realtà, non gravavano su di lui, essendo stati trasferiti, in virtù dei citati conferimenti formali ad altri soggetti, nella consapevolezza che anche l'intraneus D.C. sarebbe venuto meno agli obblighi su di lui gravanti, distaccandosi dal contenuto del progetto.
Tale reciproca consapevolezza avrebbe determinato, a carico del committente, la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 589, secondo comma, cod. pen., con tutte le conseguenze in tema di trattamento sanzionatorio e di raddoppio dei termini prescrizionali (art. 157, comma 6, cod. pen).
La ricostruzione offerta non sarebbe in alcun modo condivisibile, dal momento che, quantomeno per il B.E., dovrebbe radicalmente escludersi che egli fosse a conoscenza dell'altrui determinazione di realizzare le opere architettoniche in maniera difforme rispetto al progetto iniziale.
5.3 Terzo motivo: annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata per inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale in relazione agli artt 516 e 522 cod. proc. pen., 157 e 589 cod. pen.; annullamento con rinvio della sentenza impugnata per carenza, mancanza o contraddittorietà della motivazione.
La sentenza impugnata sarebbe viziata e manifestamente contraddittoria in riferimento alle condotte oggetto di contestazione suppletiva ex artt. 516 e 517 cod. proc. pen.
I nuovi capi d'accusa, introdotti attraverso la modifica dell'imputazione, all'udienza dibattimentale del 6 giugno 2011, avrebbero immotivatamente contraddetto le precedenti valutazioni dell'Ufficio del P.M. e del G.ì.p., i quali, rispettivamente, avevano chiesto e disposto l'archiviazione della posizione degli indagati N.A. (responsabile della sicurezza per conto del committente) e Da.C. (responsabile della sicurezza per l'impresa esecutrice). Le indagini, in particolare il resoconto dei tecnici della ASL, avevano fatto emergere che non si verteva in un caso d'infortunio mortale dovuto alla violazione di norme relative alla sicurezza dei lavoratori: nessun dispositivo di sicurezza e nessuna diversa disposizione organizzativa sarebbero stati idonei ad impedire il crollo.
I giudici hanno invece ritenuto sussistente la violazione dell'art. 2087 cod civ. oltre ad una serie di altre violazioni. Tale impostazione contrasterebbe ictu oculi con il reale accadimento dei fatti e con le argomentazioni già svolte in tema di delega di funzioni.
Nella fattispecie in esame, le cause del crollo sono state individuate, inequivocabilmente, da tutti i tecnici che si sono occupati del caso, solo ed esclusivamente in un deficit di progettazione e/o di realizzazione, attinente alle caratteristiche strutturali e statiche del manufatto e giammai nella violazione delle norme della legge 494/96 o della legge 626/94, in quanto queste non sono dirette a salvaguardare la sicurezza statica delle costruzioni, ma la sicurezza degli addetti ai lavori durante l'esecuzione dell'opera.
Alla luce di tali osservazioni, la sentenza impugnata risulterebbe viziata nella parte in cui esclude che si possa configurare l'ipotesi di un fatto "diverso" ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen.
La modifica dell'imputazione, oltre a violare la disciplina dell'art. 516 cod. proc. pen., costituendo un fatto "nuovo" rispetto a quello oggetto della originaria imputazione, ha sortito l'effetto di determinare il raddoppio dei termini di prescrizione del reato, siccome previsto dall'art. 157, comma 6, cod. pen.
5.4 Quarto motivo: carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto del terzo motivo di appello. La difesa aveva sottolineato la irragionevolezza del percorso logico argomentativo seguito dal giudice di primo grado che ha ritenuto provata la responsabilità della committenza benchè non sia stata accertata l'identità di colui che ordinò la costruzione del cornicione.
6. Le parti civili costituite B.I. e B.G., assistite dall'Avv. Antonio Valori e Romano Alfredo, assistito dall'Avv. Cristiano Rossetti, hanno presentato memorie difensive concludendo per l'inammissibilità ed il rigetto dei ricorsi proposti.




Diritto



1. I motivi di ricorso impongono le considerazioni che seguono.
2. Occorre premettere che la causa del crollo della parte di edificio rovinata sugli operai della ditta "Danubiana s.r.l." è stata individuata dai giudici di merito nell'imperfetto ancoraggio del cornicione al cordolo del muro perimetrale dell'edificio. La insufficiente lunghezza delle barre di ancoraggio (che penetravano solo nel cordolo e non anche nella struttura muraria), la sporgenza del cornicione e la sua pesantezza determinarono il cedimento improvviso della struttura a breve distanza di tempo dalla sua collocazione sul tetto dell'edificio.
La mole imponente del cornicione, il materiale adoperato per la sua realizzazione (cemento armato invece di cartongesso, come previsto nell'originario progetto) e le sue caratteristiche architettoniche (sporgenza di oltre un metro dal bordo dell'edificio) avrebbero imposto - secondo quanto sostenuto dal giudice di primo grado - una verifica particolarmente rigorosa prima della installazione: in fase di progettazione sarebbe stato necessario accertare la fattibilità dì un simile manufatto e in fase di esecuzione si sarebbe dovuto controllare la resistenza del cordolo sottostante per garantire un ancoraggio sicuro (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado "La previsione del crollo del cornicione poteva e doveva essere effettuata, proprio perché le sue dimensioni fisiche e i suoi materiali di costruzione, in una parola la sua pesantezza, rendevano facilmente prevedibile che occorressero adeguati sistemi di ancoraggio (ferri) e altrettanto adeguata base di ancoraggio (cordolo), ed imponevano pertanto un rigoroso controllo - da farsi ovviamente ex ante- sia degli uni che dell'altra").
La Corte di appello, dal canto suo, ha sottolineato che la lunghezza dei ferri di ancoraggio non era tale da raggiungere la struttura muraria e che il cordolo su cui era installato il cornicione non aveva una consistenza tale da sopportarne il peso; aggiungendo, a quanto già detto dal giudice di primo grado, che dovevano essere realizzate delle apposite armature provvisorie di sostegno della struttura fino a che l'opera non fosse completamente ultimata e consolidata.
Sulle cause del crollo i difensori non muovono significativi rilievi, ad eccezione del D.C., il quale introduce la questione della modalità di incollaggio del cordolo alla struttura muraria. Tale aspetto, tuttavia, non determina significativi mutamenti nell'inquadramento della vicenda: invero, ove i ferri di ancoraggio avessero avuto una lunghezza adeguata, penetrando nella solida struttura muraria, al di sotto del cordolo, il crollo sarebbe stato evitato.
Pertanto, deve darsi per acquisita la ricostruzione offerta dai giudici di merito sul punto, mutuata dal responso del consulente tecnico nominato dal P.M. in fase di indagini, le cui conclusioni sono state sostanzialmente recepite nelle sentenze di merito con argomentazioni puntuali e logiche.
Nessun dubbio può sorgere in ordine alla ricorrenza della previsione di cui all'art. 449 cod. pen., in relazione all'art. 434 cod. pen., come contestato nella imputazione.
Copiosa giurisprudenza di legittimità afferma che il crollo di edifici, o anche soltanto di parti di essi, assume la fisionomia del disastro quando si tratta di avvenimenti di tale gravità e intensità da porre in concreto pericolo la vita e l'incolumità di un numero indeterminato di persone, in conseguenza della potenziale diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante ( ex multis Sez. 4, n. 51734 del 08/11/2017, Piacentini, Rv. 271535 - 01).
Nel caso in esame è evidente lo stato di pericolo per la pubblica incolumità, essendosi determinato il crollo in uno spazio occupato e percorso da un numero indeterminato di operai e addetti alle lavorazioni (Sez. 1, n. 47475 del 29/10/2003 Rv. 226459 - 01: «Per la configurabilità del delitto di crollo colposo occorre che il fatto dia luogo a concreto pericolo, da valutarsi "ex ante", per la vita o l'incolumità di un numero indeterminato di persone, anche se appartenenti tutte a determinate categorie, restando irrilevante il mancato verificarsi del danno e differenziandosi la detta ipotesi di reato da quella contravvenzionale di cui all'art. 676, comma secondo, cod. pen. proprio per la presenza, in essa, del pericolo per la pubblica incolumità, derivante dal diffondersi del crollo nello spazio circostante»).
Più problematico, nella prospettiva della difesa, è invece l'aspetto riguardante la ricorrenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 589 cod. pen., su cui si appuntano particolarmente i rilievi critici contenuti nei ricorsi. Tale inquadramento è stato frutto di una contestazione suppletiva operata dal P.M. nel giudizio di primo grado che ha riguardato l'art. 2087 cod. civ., contestato a tutti gli imputati, e una serie cospicua di violazioni di norme specifiche in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il Tribunale ha escluso che abbia avuto incidenza sull'omicidio colposo la violazione delle norme specifiche contestate dal P.M., ad eccezione dell'art. 2087 cod. civ. addebitato a tutti gli imputati, con conseguente configurabilità della fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 589 cod. pen.
Il Giudice di appello ribadisce tale impostazione, recuperando tuttavia, tra i profili di colpa specifica, anche quello rappresentato dalla mancata installazione di casseformi di contenimento a protezione della incolumità degli operai (art. 64 d.P.R. 164/56) - negato dal primo giudice - che pone a carico del legale rappresentante dell'impresa edile, D.C..
Le doglianze difensive si muovono su due direttrici comuni, la prima riguardante la ritenuta riferibilità del crollo e del conseguente omicidio colposo plurimo ai ricorrenti, nelle rispettive qualità; la seconda riguardante la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. a cui è connessa la questione della estinzione del reato per prescrizione, non essendo operante, in caso di insussistenza dell'aggravante, il raddoppio dei termini di cui all'art. 157, comma 6, cod. pen.
3. Venendo quindi alle singole posizioni deve ritenersi infondato il ricorso proposto da D.C., titolare della "Danubiana s.r.l." e datore di lavoro degli operai deceduti.
3.1 La prima doglianza è imperniata sulla non prevedibilità dell'evento e sulla non esigibilità della condotta omessa: secondo la difesa il titolare della società non aveva il dovere di verificare lo stato dei lavori, poiché egli aveva ricevuto ampie rassicurazioni sulla correttezza delle opere realizzate fino a quel momento e sulla capacità del cordolo di reggere il peso del cornicione dai diversi professionisti presenti in cantiere.
Il motivo è chiaramente versato in fatto: le rassicurazioni di cui si dice nel ricorso, provenienti dai diversi professionisti che dirigevano i lavori, non trovano riscontro nelle affermazioni dei giudici di merito, i quali hanno anche aggiunto, con motivazione logica, non censurabile in questa sede, che, ove mai il datore dì lavoro fosse stato tranquillizzato in ordine alla correttezza dell'operato dei suoi predecessori, avrebbe dovuto comunque diligentemente verificare lo stato dei lavori all'atto di procedere alla installazione del manufatto.
La colpa del ricorrente è quindi individuata nel non avere eseguito le opere sulla base di un progetto esecutivo proveniente da un professionista (il progetto non è mai stato rinvenuto) e nel non avere verificato, all'atto di posare il cornicione, che questo fosse assicurato adeguatamente alla struttura muraria, con ciò contravvenendo a regole dì generale prudenza e diligenza che devono informare il settore dell'edilizia.
Alla stregua delle argomentazioni illustrate in sentenza, le quali non soffrono dei vizi lamentati dalla difesa, era esigibile il comportamento omesso, essendo il D.C., nella sua qualità di titolare di una impresa operante nel settore edilizio, perfettamente in grado di rendersi conto delle peculiarità della installazione di un simile manufatto e dei pericoli che esso avrebbe potuto rappresentare una volta che fosse stato collocato in cima al fabbricato, anche in relazione agli operai che continuavano l'attività nel cantiere e che erano collocati proprio al di sotto del cornicione.
Non è superfluo a questo proposito rammentare come la generale valutazione in ordine alla prevedibilità dell'evento debba essere compiuta avendo riguardo proprio alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la classe di agente modello di riferimento (cfr. ex multis Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia e altro, Rv. 263283 - 01). Nel presente caso il D.C., per la qualifica rivestita, era in grado di rendersi conto della pericolosità intrinseca del pesante manufatto e della necessità di un sicuro ancoraggio alle strutture sottostanti.
Sono estensibili al caso in esame i principi più volte espressi in sede di legittimità, discendenti dalle generali previsioni in materia prevenzionistica (artt. 15 e 28 d.lgs. 81/08), in base ai quali il soggetto investito di qualifica datoriale è tenuto a valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti e ad adottare tutte le cautele per la loro eliminazione mediante appropriate misure. Peraltro, nel caso di specie, l'attivazione del rischio a cui rimasero esposti gli operai è dipeso proprio dall'agire del ricorrente, il quale ha accettato di eseguire il lavoro, collocando il pesante manufatto, senza preoccuparsi di verificare la possibilità che fosse adeguatamente assicurato.
Non è quindi accoglibile il rilievo difensivo nel quale si tende a fare dipendere la causa del crollo, con le conseguenze che ne sono derivate, dal sistema di ancoraggio del cordolo alla struttura muraria, adottato dalla precedente impresa, mediante semplice incollaggio, circostanza asseritamente sconosciuta al ricorrente. Anche volendo ammettere tale possibilità non è sostenibile l'esclusione della responsabilità del D.C., il quale avrebbe dovuto egualmente interessarsi della capacità del cordolo di sorreggere il cornicione e della validità del sistema di fissaggio del cornicione. Invero, per il principio dell'equivalenza delle cause, non viene meno il nesso di condizionamento tra la condotta colposa addebitata al ricorrente e l'evento dannoso (art. 41, comma 1, cod.pen.).
Ancora, non può rappresentare una causa di esonero da responsabilità il fatto che operassero nel cantiere diversi professionisti, investiti di particolari qualifiche, che li ponevano in condizione di dovere intervenire (Progettista e Direttore Lavori). In materia di reati colposi, particolarmente nel campo della prevenzione degli infortuni, vige il principio per cui, ove vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione [Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850 - 01; cfr. pure Sez. 4, n. 45369 del 25/11/2010, Rv. 249072 - 01: "In tema di reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto")].
Come hanno correttamente sostenuto i giudici di merito, esisteva un dovere dì verifica gravante sul ricorrente e un dovere dì attivarsi per eliminare o ridurre al minimo il rischio derivante dalla installazione del manufatto.
E' quindi ulteriormente condivisibile l'assunto della Corte di appello che ascrive al D.C. anche la mancata installazione di armature provvisorie di contenimento del manufatto, in violazione dell'art. 64, comma 2, d.P.R. 164/56, come da contestazione operata dal P.M.
La difesa si duole di tale affermazione, sostenendo che i giudici di appello non avrebbero potuto recuperare la violazione della suddetta disposizione, esclusa dal giudice di primo grado, in mancanza della impugnazione del P.M.
La doglianza è infondata. Ai sensi dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., quando appellante è il solo imputato, ii giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, fatta salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1 del medesimo articolo, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.
Ebbene, nel presente caso non si è realizzata la violazione della citata norma, a cui evidentemente allude la difesa pur senza citarla: non solo il giudice non è intervenuto sul trattamento sanzionatorio, ma non ha neppure conferito al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica, permanendo la contestazione di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. per effetto della ritenuta violazione di cui all'art. 2087 cod. civ.
E' d1 uopo anche rilevare come in materia di reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Sez. 4, Ordinanza n. 38818 del 04/05/2005, Rv. 232427 - 01: "Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere"; Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313 - 01:"Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice").
4.2 La questione della esistenza del disegno esecutivo nel dettaglio è versata in fatto. La difesa afferma che tale disegno è esistito e che la impresa lo ha visionato sulla base di una testimonianza raccolta nel giudizio (C.D.) e delle affermazioni del Consulente tecnico, Prof. De Luca.
Ebbene, il Consulente tecnico ha sostenuto, come si evince dalle stesse allegazioni difensive, che la composizione articolata dei materiali impiegati per la costruzione del cornicione lasciava intendere che l'opera non fosse frutto di improvvisazione, affermando che "in assenza di un disegno di dettaglio" - non ritrovato - "è compito della Direzione dei lavori impartire le istruzioni per la realizzazione dell'opera". Il C., nel passaggio della deposizione allegata al ricorso, riferisce genericamente della esecuzione dell'opera sulla base di un disegno. La Corte di merito, dal canto suo, sostiene in motivazione che il ricorrente abbia agito in maniera superficiale, non pretendendo un disegno esecutivo di dettaglio.
L'alternativa versione proposta dalla difesa non può formare oggetto di considerazione in sede di legittimità perché attiene alla interpretazione delle emergenze processuali. Neppure può sostenersi che vi sia stato un travisamento della prova da parte dei giudici di merito, perché il disegno esecutivo non è mai stato rinvenuto, quindi non è erronea l'affermazione della Corte di merito nella parte in cui sostiene che l'impresa abbia agito in modo superficiale, non pretendendo un disegno esecutivo di dettaglio.
In conclusione, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è "geneticamente" informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, Sentenza n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260- 01). Alla Corte di legittimità, pertanto, non spetta di verificare se la prospettazione difensiva è più convincente o se sussistono ragioni per ritenere possibili alternative ricostruzioni, ma solo di accertare che il ragionamento della Corte di merito non sia manifestamente illogico: nel caso in esame la deduzione dei giudici di merito non è tale.
La questione peraltro non riveste carattere di centralità nella individuazione delle responsabilità addebitate al titolare della impresa per il crollo, avendo la Corte di merito posto in rilievo, ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'imputato, l'omessa accurata verifica dello stato dei lavori, in particolare delle modalità di ancoraggio del cordolo, prima della installazione del cornicione e l'omessa realizzazione, in corso d'opera, di casseformi di contenimento fino al consolidamento del manufatto aggettante.
4.3 In ordine al deposito del progetto e dei calcoli al Genio civile, oggetto del secondo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.
La difesa sostiene che tale deposito non era necessario, sebbene il cornicione fosse realizzato in cemento armato, perché assolveva soltanto ad una funzione decorativa.
Come evidenziato dalla Corte di merito, tale assunto è infondato: sebbene fosse stato concepito come decoro, il manufatto era realizzato in cemento armato, era verticalizzato sul cordolo e sporgeva notevolemente dal bordo della costruzione in posizione aggettante. Pertanto, non può affermarsi che non fosse necessario il deposito dei calcoli al Genio civile (il cornicione aveva anche una funzione statica perché incideva sulla statica complessiva dell'edificio e doveva sopportare spinte provenienti dalla sua stessa collocazione sporgente).
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che: "Sono escluse dall'applicazione della normativa relativa alle opere di conglomerato cementizio armato , normale, precompresso ed a struttura metallica previste dagli artt. 53 e 64 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 le opere costituite da un'unica struttura, le membrature singole e gli elementi costruttivi che assolvano ad una funzione di limitata importanza nel contesto statico del manufatto". (Sez . 3, n. 6588 del 17/11/2011, dep. 17/02/2012, Rv. 252032 - 01).

In questo caso, come ritenuto dalla Corte di merito, non si trattava di opere di minima importanza statica: i giudici sottolineano "l'evidente incisione della edificanda struttura, seppure con funzioni estetico-ornamentali, sulla statica complessiva del fabbricato".
Si rammenta come la realizzazione di lavori in cemento armato debba essere attuata sulla base di un progetto esecutivo e sotto la direzione di un tecnico abilitato, come previsto dall'art. 64 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 "in modo tale da assicurare la perfetta stabilità e sicurezza delle strutture e di evìtare qualsiasi pericolo per la pubblica incolumità". Sempre l'art. 64, comma 5, d.P.R. 380/01 pone a carico del Direttore dei lavori e del costruttore la responsabilità, ciascuno per quanto di competenza, della rispondenza dell'opera al progetto e della osservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto.
L'art. 65 dpr 380/01, come sostituito dall'art. 3, comma 1, legge n. 55 del 2019, prevede, come in passato, che sia il costruttore a denunciare tali opere allo sportello unico.
Effettivamente la legge regionale della Campania n. 9/83 stabilisce che il deposito del progetto esecutivo e dei calcoli debba essere effettuato dal committente o dal costruttore che esegue opere in proprio (evenienza, quest'ultima, esclusa in questo caso).
Il rilievo, tuttavia, non ha carattere di decisività, non essendo idoneo a disarticolare il ragionamento posto a fondamento della pronuncia adottata, incentrato sulla necessaria preliminare verifica dello stato dei lavori da parte del ricorrente e sull'adozione di misure idonee a prevenire ìl rischio per i lavoratori mediante la installazione di casseformi di contenimento.
4.4 Il terzo motivo di ricorso è anch'esso infondato. La difesa sostiene che non ricorre !'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., non potendosi ravvisare la violazione dell'art. 2087 cod. civ., che impone all'imprenditore di adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e fa personalità morale dei prestatori di lavoro.
Ebbene, secondo orientamento della Corte di legittimità, ribadito in plurime pronunce, in tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità di colui che rivesta la qualifica datoriafe, non è necessariamente integrata dalla violazione di specifiche norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione delle generali misure imposte all'imprenditore ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., nel cui ambito sono ricomprese le previsioni cautelari ivi richiamate, necessarie a tutelare l'ìntegrità dei lavoratori secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica.

[cfr. Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Rv. 265052 - 01: "In tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la vioiazione dr specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 cod. civ. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore"; Sez. 4, n. 8641 del 11/02/2010, Rv. 246423 - 01: "È configurabile l'aggravante del fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro prevista dall'art. 589, comma secondo, cod. pen., quando il datore di lavoro non abbia predisposto misure di protezione a tutela della salute dei lavoratori soggetti all'esposizione a sostanze fortemente tossiche, a seguito della quale gli stessi abbiano contratto patologie tumorali. (Nell'affermare tale principio, con riferimento ad una fattispecie che vedeva coinvolta una azienda produttrice di antiparassitari, la Corte ha respinto la tesi secondo cui non sarebbe ravvisabile l'aggravante de qua per la mancanza di una specifica norma in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro)"].
E' quindi erroneo il ragionamento seguito dalla difesa nell'ultimo motivo di ricorso, in cui si sostiene che la condotta illecita del D.C. non riguardasse il profilo della sicurezza per i lavoratori, con conseguente estinzione del reato di omicidio colposo per decorrenza del termine di prescrizione.
5. Parimenti infondati risultano i motivi di ricorso in favore di D.V. che ricalcano le doglianze prospettate in sede dì appello.
A sostegno delle proprie ragioni il ricorrente ribadisce la sua estraneità ai fatti di causa per non avere mai svolto alcuna attività collegata alla concreta gestione del cantiere, come riconoscono gli stessi giudici, e per avere ricoperto solo formalmente la qualifica di Direttore dei lavori, sulla base di un preciso accordo con la committenza.
La Corte di appello ha fornito congrua risposta alle doglianze difensive, mettendo in rilievo che il D.V. non poteva esimersi dallo svolgere i compiti che erano propri della qualifica assunta, verificando che le opere venissero realizzate in conformità al progetto, secondo le competenze assunte con l'accettazione della carica rivestita.
L'orientamento citato nel ricorso (Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993, dep. 08/02/1994, Rv. 197086 - 01), che esclude la responsabilità del Direttore dei lavori ove questi non si sia ingerito nella organizzazione del lavoro e non abbia assunto il compito di sovrintendere alla esecuzione dei lavori, è superato da più recenti pronunce - che il Collegio ritiene di condividere - secondo le quali il Direttore dei lavori è responsabile del crollo di edifici anche in caso di assenza dal cantiere, essendo chiamato a svolgere una vigilanza sulla esecuzione delle opere [cfr. Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, Rv. 273991 01: "Il Direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto.(Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del Direttore dei lavori per aver consentito che questi iniziassero senza la nomina di un responsabile e senza la formazione di un documento di valutazione dei rischi, in zona soggetta a rischio di pericolo per la pubblica incolumità, dedotto in una ordinanza comunale interdittiva)"; Sez. 4 n. 18445 del 21/02/2008, Strazzantì, Rv. 240157: "Il Direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo dì costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto")].
Alla luce delle pronunce da ultimo citate, è corretto l'assunto sostenuto dai giudici di merito, in base al quale il ricorrente, una volta assunta la formale qualifica di Direttore dei lavori, non poteva esimersi dallo svolgere i compiti di vigilanza che gli erano propri in ragione dell'incarico ricevuto.
L'acclarata costante presenza nel cantiere di altra persona di fiducia della committenza, Ing. B., non vale ad esonerare da responsabilità il ricorrente, il quale, investito della qualifica di Direttore dei lavori, avendo il compito precipuo di verificare la rispondenza del progetto alle opere che venivano eseguite, ove non avesse abdicato alla funzione che gli era propria, avrebbe dovuto certamente rilevare la totale difformità dell'opera eseguita rispetto a quella contenuta nell'iniziale previsione progettuale: l'originario cornicione in cartongesso, previsto nel progetto, come hanno evidenziato i giudici di merito, era stato sostituito da un cornicione in cemento armato, avente un peso di gran lunga superiore al primo, non correttamente assicurato alla struttura muraria in ragione della insufficiente lunghezza dei ferri di ancoraggio.
Quanto alla possibilità che sia esistito un altro progetto, successivo a quello iniziale, ascrivibile al B., è circostanza non idonea ad esonerare da responsabilità il ricorrente. La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere, in materia di reati omissivi colposi, che la posizione di garanzia possa essere generata non solo da una investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante (ex multis Sez. 4, n. 37224 del 05/06/2019, Rv. 277629 - 01). In tali casi, tuttavia, il subentro di altro soggetto nella gestione di un rischio, non si traduce in una esclusione automatica di responsabilità del soggetto formalmente investito della funzione di garanzia.
5.1 Nel secondo motivo di doglianza si reitera la medesima prospettazione posta a fondamento del primo motivo di ricorso. Non si coglie la contraddizione lamentata dalla difesa: la Corte di merito non attribuisce ai ricorrente la paternità della progettazione del cornicione, ma evidenzia che il D.V. aveva assunto anche l'incarico di progettazione dell'area esterna all'edificio adibito ad albergo. Questo aspetto ha un valore rafforzativo, nella sentenza, delle incombenze di verifica che gravavano sul ricorrente ma non è dotato di carattere di centralità nel ragionamento sostenuto dai giudici.
5.2 Il ricorrente, come argomentato nelle sentenze di merito, deve rispondere altresì del delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche. Non rileva il fatto che l'art. 2087 cod. civ. abbia come destinatario l'imprenditore. L'imputato, invero, è chiamato a rispondere del delitto di omicidio colposo plurimo a titolo di cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.), la quale ricorre, secondo la giurisprudenza di legittimità, allorquando più persone pongano in essere una autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire con l'azione od omissione altrui alla produzione dell'evento non voluto (Sez. 4, n. 16978 del 12/02/2013, Rv. 255274 - 01; conformi: n. 25311 del 2004 Rv. 228927 - 01; n. 40205 del 2004 Rv. 229575 - 01; N. 5111 del 2007 Rv. 238741 - 01; N. 6215 del 2009 Rv. 246420 - 01).
6. Risultano invece fondati, con valore assorbente rispetto alle ulteriori doglianze, il primo ed il quarto motivo di ricorso proposti da B.E., committente dei lavori.
6.1 Per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell'approntamento del cantiere e nell'esecuzione dei lavori. Tali violazioni venivano poste a carico del datore di lavoro appaltatore. Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata allorquando il committente si ingeriva nell'esecuzione dei lavori perché di fatto datore di lavoro (Sez. 4, n. 1543 del 31/10/1967, Ronco, Rv. 106806). Si riteneva quindi che l'osservanza delle norme antinfortunistiche incombesse sull'imprenditore, titolare dell'organizzazione del cantiere e datore di lavoro di quanti operassero al suo interno. Il committente, invece, salvo contrario accordo contenuto nel contratto di appalto, non era ritenuto investito del dovere di intervenire o comunque di ingerirsi nell'organizzazione dell'impresa esecutrice (Sez. 6, n. 2488 del 07/07/1975, Lambertini, Rv. 132495; Sez. 4, Sentenza n. 2731 del 12/01/1990, Bovienzo, Rv. 183507). In sostanza, il principio definito dalla giurisprudenza di legittimità era nel senso che il committente di lavori edili non rivestisse una autonoma posizione di garanzia a tutela della salute e della vita dei lavoratori dipendenti dal soggetto appaltatore. Il principio comportava la possibilità di imputabilità del fatto quando il committente avesse in concreto assunto una diversa posizione, e ciò in ragione del principio di effettività, da sempre riconosciuto valevole in materia (cfr. Sez. 3, n. 8134 del 24/04/1992, Rv. 191387 - 01).
Con il d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili, il quadro giuridico è mutato, avendo trovato la figura del committente espressa definizione ed essendo stati positivizzati gli obblighi gravanti sul medesimo (art. 2 e 3 del citato decreto). Questi, oltre a verificare l'idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare, anche attraverso la verifica dell'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, deve attenersi, nella fase di progettazione esecutiva dell'opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell'esecuzione del progetto e nell'organizzazione delle operazioni di cantiere, ai principi e alle misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626/1994; determina altresì, al fine di permettere la pianificazione dell'esecuzione in condizioni di sicurezza, dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro; la durata dì tali lavori o fasi di lavoro. Nella fase dì progettazione esecutiva dell'opera, valuta attentamente, ogni qualvolta ciò risulti necessario, i documenti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a) e b). Inoltre, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione esecutiva, designa il coordinatore per la progettazione ove il cantiere presenti determinate caratteristiche.
A seguito del sintetizzato mutamento normativo, la giurisprudenza di legittimità ha configurato la responsabilità del committente in relazione alla violazione di taluni obblighi specifici, quali l'informazione sui rischi dell'ambiente dì lavoro e la cooperazione nell'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, ritenendo che resti ferma la responsabilità dell'appaltatore per l'inosservanza degli obblighi prevenzionali su dì lui gravanti (Sez. 3, n. 6884 del 18/11/2008 - dep. 18/02/2009, Rappa, Rv. 242735).
Nel delineare il dovere di sicurezza facente capo al committente, la giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che non possa tuttavia esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, "occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo" [Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio e altri, Rv. 252672-01; conforme Sez. 4, n. 10608 del 04/12/2012, dep. 07/03/2013, Bracci, Rv. 255282 - 01: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. (Fattispecie in tema di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio)"].
Tutto ciò premesso, una disamina complessiva delle pronunce della giurisprudenza di legittimità in subiecta materia rivela che la responsabilità del committente viene in rilievo nel caso di ingerenza nella esecuzione dei lavori, di culpa in eligendo, di mancata nomina del coordinatore della progettazione e nel caso in cui le manchevolezze presenti nel cantiere in tema di sicurezza siano evidenti e non richiedano per la loro individuazione specifiche competenze tecniche. In ordine a tale ultimo profilo, si è recentemente affermato che: "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa, sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, essendo tuttavia esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica che richiedono una specifica competenza tecnica" (così Sez. 4 - n. 5893 del 08/01/2019, Perona, Rv. 275121 - 01).
Ebbene, in relazione al caso in esame, con riferimento alla culpa in eligendo, viene in rilievo il vizio motivazionale dedotto dalla difesa, che aveva documentato, innanzi alla Corte di appello, il possesso, in capo all'impresa esecutrice, dei requisiti d'idoneità tecnico professionale e la regolarità della sua posizione contributiva, attestata dalla presenza in atti del DURC, aggiornato al giugno 2007, dalla cui mancanza la Corte territoriale fa dipendere un agire superficiale del committente.
In relazione all'ulteriore addebito espresso in motivazione, in base al quale graverebbe sul committente l'onere di "provvedere alla progettazione esecutiva, così come alla direzione dei lavori, approfondendo il livello della progettazione architettonica sommaria anche sotto il profilo strutturale ed impiantistico" (così pag. 11 della motivazione), non è chiaro come tale profilo si coniughi con l'avvenuta nomina di diverse figure professionali deputate a svolgere incarichi di progettazione, esecuzione e verifica della conformità delle opere. Invero, come rimarcato dalla difesa nel ricorso e come riconosciuto nella stessa sentenza, risulta che il ricorrente abbia provveduto alla nomina di un Progettista, di un Direttore dei lavori e di un Coordinatore della sicurezza nella fase di progettazione ed esecuzione.
Resta anche da lumeggiare il profilo riguardante la percepibilità ictu oculi della situazione di pericolo, rispetto alla quale risulta distonica la individuata causa del crollo rappresentata dall'inadeguato fissaggio del cornicione alla struttura, ricondotto alla insufficiente lunghezza dei ferri di ancoraggio.
Quanto alla riconducibilità all'imputato della decisione di sostituire il cornicione in cartongesso con quello in cemento, la Corte di merito non offre una risposta esaustiva, limitandosi ad affermare che la committenza esercitava una diretta ingerenza sulle modalità esecutive dei lavori progettati attraverso la figura del B.. Ciò, tuttavia, non risolve il profilo in questione perché non si spiega da quali elementi sia stato tratto il convincimento che la decisione di installazione del cornicione in cemento è riferibile all'imputato.
Anche tale aspetto andrà chiarito, rivestendo peraltro carattere di centralità nella vicenda in relazione alla posizione del committente.
7. Sulla base di tutto quanto precede vanno rigettati i ricorsi di D.V. e di D.C. con condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, così liquidate: euro 3.000 in favore di B.I. e B.G., difesi dall'Avv. Antonio Valori; euro 2.500 in favore di R.A., difeso dall'Avv. Cristiano Rossetti, oltre agli accessori come per legge.
Deve essere annullata la sentenza impugnata nei confronti di B.E. con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti anche relativamente al presente giudizio di legittimità



P.Q.M.




Rigetta i ricorsi di D.V. e di D.C. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, così liquidate: euro 3.000 in favore di B.I. e B. G., difesi dall'Avv. Antonio Valori; euro 2.500 in favore di Romano Alfredo, difeso dall'Avv. Cristiano Rossetti; oltre agli accessori di legge per tutti. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.E. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
In Roma, così deciso il 12 novembre 2020


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