Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2020, n. 13578 - Infortunio con un carrello su ruote a spinta e responsabilità del legale rappresentante e dell'amministratore delegato (genitori dell'infortunato)

sentenze cassazione sicurezza lavoro

1. Con sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 19 giugno 2017, ha rideterminato e convertito ex art. 135 cod. pen. la pena inflitta nei confronti di Z.E. e L.V.M. in euro settemilacinquecento ciascuno, in relazione al reato di cui agli artt. 40, comma secondo, e 590, commi primo e terzo, cod. pen.
L.V.M. , nella qualità di legale rappresentante della Zetaplast s.r.l. e Z.E., amministratore delegato di tale società, sono stati condannati per avere, per colpa generica e per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, ed in particolare del disposto dell'art. 71, comma 1, e 87, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 81 del 2008, cagionato al dipendente Z.A. lesioni personali gravi, per aver messo a disposizione del medesimo un carrello su ruote a spinta non adeguato ed inidoneo ai fini delle operazioni di sicurezza da svolgere.
In ordine alla dinamica del sinistro, Z.A. stava tirando da solo, camminando all'indietro, un carrello avente sul piano un perno in cui era stata precedentemente infilata una bobina di ferro metallico, del peso di quasi quattro quintali, che doveva essere trasportata da un reparto all'altro, con passaggio obbligato su una grata di metallo. Giunto sulla grata, una ruota del carrello si incagliava in una fessura creatasi tra la grata e il pavimento di cemento. Impulsivamente Z.A. dava uno strattone al carrello per liberare la ruota, provocando la fuoriuscita della bobina dal perno che la tratteneva. La bobina gli rovinava addosso, facendolo cadere a terra e provocandogli numerose fratture nonché la perforazione di un polmone, costringendolo all'Immobilità per tre mesi.
La responsabilità degli imputati Z.E. e L.V.M., genitori dell'infortunato, derivava dalla posizione di garanzia rivestita da entrambi nell'ambito aziendale. La L.V.M., in particolare, non aveva conferito all'amministratore delegato o a terzi la delega ad esercitare in piena autonomia, con potere di impegno e di spesa, le funzioni di gestione e controllo, ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 81 del 2008.
L'infortunio era derivato innanzitutto dal baricentro basso e dalle ruote piccole del carrello, tali da non garantire una sufficiente stabilità del mezzo e del carico, in violazione dell'art. 71 D. Lgs. n. 81 del 2008, che prescrive l'uso di attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza di cui all'allegato ed ai decreti ministeriali vigenti. Inoltre, la presenza di una fessura della pavimentazione lungo il tragitto, di dimensioni tali da consentire alla ruota del carrello di incagliarsi, comportava la violazione della regola di carattere generale, secondo cui il datore di lavoro deve compiere tutti gli interventi di manutenzione necessaria per eliminarla in tempo reale. Il carrello poi era condotto solo dalla parte lesa e non da due operai, comportamento assurto a vera e propria prassi, che come tale non sarebbe dovuto sfuggire al datore di lavoro. 
2. La L.V.M. e lo Z.E., a mezzo del medesimo difensore, ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
Si riportano di seguito i sei motivi di ricorso, evidenziando che il primo era proposto dalla sola L.V.M. e che tutti gli altri sono comuni ad entrambi gli imputati.
2.1. Violazione degli artt. 2, comma 1, lett. Ib), d.lgs. n. 81 del 2008 e assenza di poteri gestori in capo alla L.V.M..
Si deduce che erroneamente è stata affermata la responsabilità della L.V.M. sulla base della mera investitura formale di legale rappresentante, nonostante l'assenza dell'esercizio effettivo di poteri gestori e il mancato svolgimento di una funzione amministrativa attiva nell'azienda.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 40, comma secondo, e 590 cod. pen.
Si osserva che il sinistro in esame era il primo verificatosi in azienda dopo oltre trenta anni di operatività e che la vittima era stata nominata responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale (di seguito per brevità RSPP).
L'esistenza del nesso di causalità non poteva prescindere dalla verifica della conoscenza o dalla riconoscibilità della situazione di pericolo, di azione doverosa e dei mezzi necessari al conseguimento del fine nonché della possibilità oggettiva di agire. Nella vicenda in esame la L.V.M. e Z.E. non erano stati posti nella condizione di conoscere la sussistenza di una supposta condizione di pericolo, in quanto il figlio Z.A., nonostante la sua delega quale responsabile della sicurezza, non aveva riferito nulla sulla presunta inadeguatezza del carrello, sull'anomalia nella pavimentazione e sul mancato rispetto della procedura di movimentazione del carrello da parte di due persone.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 40, comma secondo, e 133 cod. pen. per le carenze informative da parte del RSPP e concorso nella causazione del sinistro del soggetto passivo con conseguente ridimensionamento del trattamento sanzionatorio.
Si rileva che il RSPP è responsabile della mancata segnalazione di situazioni di rischio al datore di lavoro, che abbiano indotto quest'ultimo ad omettere l'adozione di misure precauzionali. Egli, inoltre, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare col datore di lavoro e può essere chiamato a rispondere quale garante degli eventi verificatisi per effetto della violazione dei propri doveri. Tale circostanza doveva essere valutata, al fine di ridurre sensibilmente il trattamento sanzionatorio.
2.4. Violazione dell'art. 20 d.lgs. n. 81 del 2008 e comportamento abnorme del lavoratore. 
Si ritiene che il comportamento del dipendente doveva essere considerato eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Il lavoratore aveva radicalmente disatteso la disposizione che imponeva la movimentazione del carrello da parte di due operatori.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 43 e 590 cod. pen., per carenza dell'elemento soggettivo del reato.
Si deduce che la Corte territoriale ha erroneamente individuato la condotta alternativa lecita nella sostituzione dei carrelli con altri di tipo diverso, come poi effettivamente avvenuto; essa, pertanto, illogicamente non si è posta in una prospettiva antecedente all'evento. Gli elementi indicati nei precedenti motivi di ricorso lasciavano ragionevolmente dedurre l'assoluta carenza dell'elemento soggettivo.
2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'art. 131-bis cod. pen.
Si censura il mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, per non essere stato valutato il rilievo causale del comportamento del dipendente. L'applicazione di tale istituto è stata esclusa sulla base di un ragionamento apodittico, che non aveva tenuto conto dei fattori favorevoli alla ricorrente in precedenza illustrati.




Diritto




1. I ricorsi sono infondati.
Il primo motivo di ricorso, con cui la L.V.M. assume di non essere titolare di poteri gestori, è generico.
Va osservato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in una impresa strutturata come persona giuridica, il destinatario delle normativa antinfortunistica è il suo legale rappresentante, essendo la persona fisica per mezzo della quale l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive e sulla quale ricade l'onere di dimostrare che dalla sua qualifica non discende anche quella di datore di lavoro (Sez. 3, n. 2580 del 21/11/2018, dep. 2019, Slabu, Rv. 274748).
Tanto premesso, la ricorrente assume che alla sua posizione di legale rappresentante non si associa l'esercizio di poteri gestori o di una funzione attiva all'interno dell'azienda. Tale argomento difensivo, tuttavia, costituisce la mera riproposizione del medesimo motivo di appello e non è sviluppato. Né la L.V.M. allega documentazione al ricorso a sostegno del proprio assunto.
2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce l'insussistenza del nesso di causalità sotto il profilo della non prevedibilità dell'evento lesivo, è infondato. 
In linea generale, va ricordato che il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità (Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi, Rv. 241020).
Inoltre, per soddisfare gli obblighi di diligenza e di cautela posti a tutela della incolumità fisica dei lavoratori dipendenti, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto a dar loro specifiche informazioni sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative e sull'uso dei macchinari, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che l'esistenza di un manuale sull'uso del macchinario valga ad esonerarlo da responsabilità (Sez. 4, n. 5441 del 11/01/2019, Lanfranchi, Rv. 275020; Sez. 4, n. 22164 del 03/06/2008, Pacetti, non massimata).
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, peraltro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200).
Perciò, in presenza delle richiamate disposizioni antinfortunistiche tese a prevenire il rischio derivante da macchinari o attrezzature non stabili, incombeva comunque ai soggetti portatori degli obblighi di garanzia farsi carico dell'adozione di misure atte a prevenire tale rischio, a nulla rilevando l'affidamento sulla mancata segnalazione da parte di Z.A. - sebbene delegato come responsabile della sicurezza - della presunta inadeguatezza del carrello, dell'anomalia nella pavimentazione e del mancato rispetto della procedura di movimentazione del carrello da parte di due persone.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei suddetti principi, sottolineando che, in presenza di carenze strutturali dell'attrezzo adoperato, il datore di lavoro non può giustificarsi sostenendo che l'evento non era prevenibile o non era evitabile.
3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si rileva che la responsabilità per l'evento lesivo dovrebbe essere attribuita in tutto o in parte al responsabile del servizio di prevenzione e protezione in conseguenza delle carenze di informativa indicate al paragrafo precedente e che occorreva tenerne conto sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è infondato. 
Come è noto, in materia di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell'evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate (Sez. 4, n. 49761 del 17/10/2019, Moi, Rv. 277877, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione della sentenza impugnata per avere fondato la responsabilità del RSPP su un omesso intervento in fase esecutiva, considerata estranea alle competenze consultive e intellettive dello stesso). Egli ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David, Rv. 275279, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del RSPP in relazione alle lesioni riportate da un lavoratore, per aver sottovalutato, nel documento di valutazione dei rischi, il pericolo riconducibile all'utilizzo di un carrello elevatore inadeguato e privo di misure di sicurezza per il tipo di travi movimentate dai lavoratori).
Ciò posto sui principi operanti in materia, nel caso in cui emergano profili di colpa del RSPP, stanti i suoi limitati poteri nei termini sopra precisati, permane la corresponsabilità del datore di lavoro.
La Corte di merito ha esaurientemente spiegato che la qualifica di RSPP rivestita dall'infortunato non esonerava gli imputati dall'obbligo di controllare direttamente la rispondenza delle attrezzature e dei luoghi alla prescrizioni di legge in materia antinfortunistica, non essendo equiparabile tale figura professionale a quella del delegato delle funzioni di controllo e sicurezza da parte del datore di lavoro.
La Corte territoriale ha dato ampiamente conto del ruolo ricoperto dal RSPP nell'apparato argomentativo della sentenza, ridimensionando peraltro la pena inflitta dal giudice di primo grado e infliggendo una pena solo pecuniaria, a seguito di conversione ex art. 135 cod. pen.
4. Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce che il comportamento abnorme del lavoratore aveva interrotto il nesso causale è manifestamente infondato.
In ordine alla prevedibilità delle circostanze che hanno determinato l’evento lesivo del lavoratore, i giudici dì merito hanno affermato la non eccentricità e la non imprevedibilità del comportamento del lavoratore ed hanno evidenziato come la condotta negligente della vittima costituisse un ordinario accadimento fortuito, preventivamente controllabile e intuibile in anticipo. In particolare, la Corte milanese ha sottolineato che l'irragionevole strattonamento del carrello, compiuto d'impulso dall'operaio, non poteva ritenersi imprevedibile, costituendo invece una reazione naturale e direttamente consequenziale al verificarsi di quel tipo di inconveniente.
L'assunto del giudice d'appello è corretto e conforme al principio più volte affermato dalla Corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); nello stesso senso, si è affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).
Pertanto, in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386).
5. Il quinto motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, è manifestamente infondato.
Il rilievo difensivo, secondo cui la colpa era stata erroneamente rilevata ex post sulla base della circostanza che la dirigenza aveva poi provveduto a sostituire i carrelli con altri caratterizzati da un piano più basso, ruote più grosse e zanche laterali a prova di ribaltamento, non può essere ritenuto indice dell'assenza di colpa degli imputati.
I giudici di merito, infatti, hanno sviluppato un ben più ampio percorso argomentativo, per configurare vari profili di colpa generica e specifica, attinenti principalmente all'adozione di carrelli privi delle caratteristiche strutturali necessarie, al mancato rifacimento della pavimentazione usurata, che aveva creato la fessura dove si era incagliata la ruota, alla natura rischiosa del trasporto di bobine e matasse di elevato peso, alla caduta della bobina dal carrellino quale primario pericolo scongiurato dalle norme di prevenzione nonché alla prassi scorretta di impiegare il carrello con l'ausilio di un solo operatore.
Tutti tali aspetti attengono alla violazione di plurime regole cautelari.
6. Il sesto motivo di ricorso, con cui si censura il diniego della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen. è infondato.
La Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica, ha escluso la possibilità di riconoscere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis cod. pen., consistendo il bene giuridico protetto dalle disposizioni penali nella salute e nell'integrità fisica dei lavoratori e richiedendo tale disposizione l'esiguità del pericolo; ha rilevato che il pericolo, anche valutato in una prospettiva ex ante, non poteva ritenersi modesto e, in concreto, si era rivelato decisamente grave.
Il ricorrente segnala alcuni elementi a sé favorevoli, formulando censure non deducibili in sede di legittimità. In ogni caso, al riguardo, va ricordato il condivisibile indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo cui, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, primo comma, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647).
7. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).




P. Q. M.




Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto solo dal consigliere estensore (più anziano del collegio) per impedimento del suo presidente, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2020.


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