Cassazione Penale, Sez. 3, 21 gennaio 2020, n. 2216 - Plurime violazioni nel cantiere edile. Requisito soggettivo previsto per l'applicabilità della causa di non punibilità

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto



1. Con sentenza in data 23.4.2019 il Tribunale di Caltanissetta ha condannato C.A. alla pena di € 3.000,00 di ammenda per plurime violazioni della normativa antinfortunistica ai sensi del d. lgs. 81/2008 commesse all'interno di un cantiere edile da lui gestito.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 131 bis cod. pen. e al vizio motivazionale, che le proprie precarie condizioni economiche gli avevano permesso soltanto di ottemperare, considerata anche la ristrettezza del tempo all'uopo concessogli, pari a soli otto giorni, alle prescrizioni impartitegli dagli ispettori del lavoro senza poter versare l'oblazione e che comunque tale puntuale adempimento avrebbe imposto, unitamente al suo stato di incensuratezza e alla non abitualità del comportamento, il riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen.

Diritto

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, non confrontandosi le doglianze svolte, che o rivestono natura meramente fattuale (quali le prospettate condizioni economiche) o che non confutano specificamente quanto accertato dalla sentenza impugnata (i numerosi precedenti penali della stessa specie in capo all'Imputato), con i rilievi spesi dal giudice di merito a fondamento del diniego della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen.
Deve rilevarsi, come correttamente argomentato dalla sentenza impugnata, che le circostanze attinenti alla capacità a delinquere del colpevole ex art. 133 secondo comma cod. pen., nell'ambito delle quali viene valorizzata dalla difesa l'ottemperanza dell'imputato alle prescrizioni impostegli dagli ispettori del lavoro unitamente alle sue difficoltà economiche che non gli avrebbero consentito di provvedere al pagamento dell'oblazione, esulano dalla valutazione della particolare tenuità del fatto che impone, secondo la previsione testuale dell'art. 131 bis primo comma cod. pen., di commisurare il primo indice-requisito, ovverosia la particolare tenuità dell'offesa, alle modalità della condotta e all'entità del danno o del pericolo i quali fanno parte dei criteri afferenti alla gravità del reato previsti dal primo comma dell'art. 133. Occorre chiarire che le contravvenzioni in esame risultavano essersi già perfezionate in tutti i loro elementi costitutivi al momento della constatazione, coincidente con il sopralluogo eseguito nel cantiere dal competente organo di controllo. Dal momento che la causa di non punibilità è l'espressione di una valutazione riferibile, essendo l'esclusione della pena rimessa al potere discrezionale del giudice, soltanto a un momento successivo a quello del perfezionamento di tutti gli estremi del reato, per la cui ontologica e giuridica esistenza è necessariamente richiesta la presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, e non anche l'assoggettamento, in concreto, alla sanzione penale di colui che lo ha commesso, ne consegue che il tardivo adempimento alle prescrizioni dell'organo amministrativo resta un post factum del tutto neutro rispetto al disvalore, anche in termini di offensività, dell'illecito penale che va invece commisurato alla condotta criminosa accertata, da valutarsi in correlazione con la lesione arrecata al bene giuridico tutelato (la sicurezza sul lavoro), nel suo complesso e dunque tenendo conto di tutte le peculiarità della fattispecie concreta in applicazione dei criteri di cui al primo comma dell'art. 133 cod. pen. 
Né il successivo adempimento dell'C.A. alle prescrizioni impartitegli pur senza versare l'oblazione, può rilevare ai fini della non abitualità della condotta, ovverosia dell'ulteriore indice-requisito previsto dall'art. 131 bis cod. pen.. Questo Collegio non ritiene invero condivisibile il principio affermato da un precedente arresto di questa Sezione secondo il quale ai fini dell'apprezzamento della condizione della non abitualità della condotta, assumono rilievo anche i comportamenti successivi alla commissione del reato (Sez. 3, n. 4123 del 11/07/2017 - dep. 29/01/2018, P.G. in proc. Zoccarato, Rv. 272039 in una fattispecie afferente ad un abuso edilizio in cui la non abitualità del comportamento dell'imputato è stata desunta dalla successiva attività di demolizione, rimozione e sanatoria delle opere realizzate). L'argomento su cui fa leva la pronuncia in rassegna, ovverosia che "la nozione di comportamento abituale - che ricorre quando l'autore ha commesso almeno altri due illeciti oltre quello preso in esame - non possa essere assimilata a quella della recidiva, che opera in un ambito diverso ed è fondata su un distinto apprezzamento" non autorizza a trarne la conseguenza che assumano rilievo anche le condotte successive al reato né sul piano logico, posto che l'essersi adoperato per l'eliminazione delle conseguenze dannose prodotte dall'azione criminosa specificamente contestata non elimina i reati commessi antecedentemente a quello per cui si procede, né su quello giuridico.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza Tushaj, hanno precisato che la nozione di "comportamento non abituale" è frutto del sottosistema generato dal 131 bis cod. pen. ed al suo interno deve essere letto, la cui ratio è quella di escludere dall'ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti "seriali". Vengono nel terzo comma contemplate sia le ipotesi del soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, riferite cioè a condizioni specifiche di pericolosità criminale che presuppongono un accertamento da parte del giudice, sia la commissione di reati della stessa indole che, così formulata, consente di ritenere la ripetizione delle condotte non necessariamente riferita a precedenti condanne, bensì applicabile anche a comportamenti frutto di una serialità diacronica nell'ambito del medesimo procedimento (tanto da essere la abitualità ravvisabile, secondo il prevalente orientamento di questa Corte, nel reato continuato configurante di per sé un'ipotesi di "comportamento abituale", ostativo al riconoscimento del beneficio: ex multis cfr. Sez. 6, n. 18192 del 20/03/2019 - dep. 02/05/2019, PG C/ FRANCHI GIANFRANCO, Rv. 275955). Quello che la stessa sentenza Tushaj ha inteso affermare, principio questo ribadito da Sez. 6, n. 26867 del 28/03/2017 - dep. 29/05/2017, P.G. in proc. Sciammacca, Rv. 270637, nello stigmatizzare che la nozione di comportamento abituale è diversa da quella della disciplina legale della recidiva, è che i reati da prendere in esame ai fini dell'apprezzamento della serialità dei comportamenti ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità possono essere, a differenza della recidiva che presuppone l'esistenza di precedenti condanne, anche successivi a quello sub judice. Deve perciò ritenersi che il requisito soggettivo previsto per l'applicabilità della causa di non punibilità, la cui ratio è strettamente legata al concetto di devianza non occasionale, postula una valutazione esclusivamente riferita agli illeciti penalmente rilevanti commessi dall'imputato e non già alla condotta da costui tenuta successivamente alla commissione dell'illecito, conclusione che del resto anche l'interpretazione testuale, facendosi menzione nel terzo comma di "reati" e non di "condotte", ineludibilmente conferma. D'altra parte anche sul piano strettamente sistematico ritenere che nella nozione di non abitualità possa rientrare la condotta post delictum equivale ad introdurre un elemento che, in quanto contemplato nel secondo comma dell'art. 133 cod. pen. ai fini della valutazione della capacità a delinquere del colpevole, il legislatore ha invece ritenuto di espungere dalla valutazione relativa al fatto, ancorata esclusivamente alla particolare tenuità dell'offesa.
Tornando alla fattispecie in esame, va comunque rilevato che la sussistenza di precedenti penali specifici, acclarata dalla sentenza impugnata ad esclusione della causa di non punibilità, non risulta specificamente confutata dal ricorrente che si limita ad affermare senza fornirne alcuna evidenza il suo stato di incensuratezza. Né risulta essere stato indicato dalla difesa alcun ulteriore elemento che consenta di sussumere le condotte in contestazione nell'ambito della invocata causa di non punibilità: pertanto, tenuto conto che i due indici requisiti della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento devono sussistere congiuntamente e non alternativamente, le doglianze svolte non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità sia in quanto mancanti della benché minima correlazione con la sentenza impugnata ed incorrendo perciò nel vizio di difetto di specificità, sia in quanto inidonee a configurare l'asserita violazione di legge, risultando manifestamente infondate.
Rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" all'esito del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo




P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 22.11.2019


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