Cassazione Penale, Sez. 3, 16 marzo 2020, n. 10086 - Luogo di lavoro e attrezzature non conformi ai requisiti di legge. Il proprietario - locatore è responsabile quando riveste anche la qualifica di datore di lavoro

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2020

1. Con sentenza 27.03.2019, il Tribunale di Novara dichiarava il P. colpevole dei reati di cui ai capi a) e b) della rubrica, relativi a violazioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 70, co. 2, d. lgs. n. 81 del 2008; art. 64, co. 1, d. lgs. n. 81 del 2008), e, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di 2.000C di ammenda, in relazione a fatti del 7.08.2014.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613, cod. proc. pen., articolando tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge processuale in relazione all'art. 533, c.p.p., nella parte in cui prevede la possibilità di pronunciare condanna solo allorquando ritenga provata, ogni oltre ragionevole dubbio, la colpevolezza del reo.
In sintesi, il ricorrente rileva che il giudice ha ritenuto che nel dibattimento fosse stata raggiunta la prova della colpevolezza dell'Imputato per aver ceduto in locazione un capannone di sua proprietà e "presumibilmente" taluni macchinari ad un'impresa facente capo a tale M.. Il riferimento all'avverbio utilizzato dal tribunale mal si concilierebbe con la volontà del legislatore di subordinare ogni condanna all'assenza di qualsiasi dubbio sulla colpevolezza. In tal senso, dunque, la proprietà dei macchinari in questione non potrebbe essere oggetto solo di una presunzione. In atti, peraltro, si rinverrebbe solo la prova documentale di una comunicazione di cessione di fabbricato, che di fatto proverebbe esclusivamente la locazione delle mura e non dei macchinari.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge processuale in relazione agli artt. 62 e 63, c.p.p., relativamente al divieto di testimonianza e sull'utilizzo di dichiarazioni auto indizianti rese dall'imputato.
In sintesi, si censura la sentenza laddove ha ritenuto che la proprietà in capo al ricorrente delle attrezzature di lavoro fosse stata desunta unicamente sulla scorta delle dichiarazioni rese da questi al competente personale del dipartimento di prevenzione e sicurezza, ossia il teste B., che avrebbe riferito su quanto riferito dall'indagato in aula. Quanto sopra avrebbe comportato anzitutto la violazione dell'art. 62, c.p.p. in quanto sulle dichiarazioni rese nel corso del procedimento alla polizia giudiziaria ed alle altre persone abilitate a riceverle, il testimone, ufficiale id polizia giudiziaria, non avrebbe potuto deporre, richiamando in tal senso quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 237 del 1993, con conseguente inutilizzabilità di tali dichiarazioni ex art. 191, c.p.p. Analogamente, il giudice avrebbe violato il disposto dell'art. 63, c.p.p., in tema di dichiarazioni auto indizianti. Ne discende, conclusivamente, che il tribunale non avrebbe potuto In alcun modo utilizzare dichiarazioni rese dal ricorrente alla polizia giudiziaria, e che le stesse non avrebbero potuto essere in alcun modo riferite al giudice dalla polizia giudiziaria.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 70, co. 2, d. lgs. n. 81 del 2008 e 64, co. 1, d. lgs. n. 81 del 2008.
In sintesi, si sostiene che ambedue le fattispecie in esame disegnano una figura di reato proprio, ascrivibile unicamente al datore di lavoro, essendo quest'ultimo a doversi curare di non mettere a disposizione dei suoi addetti dei macchinari obsoleti e di destinare all'attività lavorativa dei luoghi di lavoro conformi alla disciplina normativa, richiamando a tal proposito quanto affermato da Cass. 50597/2013. Nel caso di specie, risulterebbe provato che il ricorrente non poteva essere individuato come datore di lavoro, in quanto tale qualifica era da individuarsi in capo al M. che aveva alle sue dipendenze cinque o sei dipendenti. Pertanto, pur volendo ammettere che i macchinari fossero stati forniti, unitamente al fabbricato, al M. dall'attuale ricorrente, sarebbe stato onere di quest'ultimo, quale datore di lavoro, farne verificare l'idoneità all'uso e la conformità a legge, e parimenti analogo controllo avrebbe dovuto effettuare il medesimo datore di lavoro prima di avviare l'attività di pulitura metalli con impianti di aspirazione non idonei. Infine, la sanzione applicabile avrebbe dovuto essere quella di cui all'art. 72, non quella prevista per il datore di lavoro.




Diritto




3. il ricorso è fondato.
4. Ed invero, in disparte le eccezioni processuali sviluppate nel primo e nel secondo motivo di ricorso (peraltro, osserva il Collegio, all'evidenza fondate, essendo pacifico, da un lato, che la cessione in locazione dei macchinari risulta attribuita, in forza dell'avverbio "presumibilmente" impiegato dal giudice di merito, sulla base di una deduzione, in quanto costui risultava essere il locatore del capannone al cui interno vennero rinvenuti i macchinari di cui si discute, con conseguente applicazione dell'equazione proprietà del capannone = proprietà dei macchinari presenti al suo interno, ciò che assurge al rango di "mera congettura", con la conseguenza che, poiché il giudizio che viene formulato a conclusione del processo penale non può mai essere di probabilità, ma di certezza, possono trovare ingresso, nella concatenazione logica di vari sillogismi in cui si sostanzia la motivazione, anche le massime di esperienza, non certo le mere congetture: Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990 - dep. 15/01/1991, Grilli ed altri, Rv. 186149; dall'altro, ancora, che evidentemente le dichiarazioni rese dall'indagato alla polizia giudiziaria quanto alla proprietà dei macchinari presenti all'interno del capannone, unico elemento da cui tale elemento era stato desunto - come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, in cui è presente l'avverbio "esclusivamente" - erano certamente non utilizzabili, in quanto su di esse, il testimone di polizia giudiziaria chiamato a testimoniare, non avrebbe potuto deporre, essendo infatti pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che le dichiarazioni rese da persona raggiunta da indizi di colpevolezza nel corso dell'assunzione di sommarie informazioni testimoniali e non ancora posta in condizione di esercitare i diritti della difesa, non possono essere utilizzate contro questa (Sez. 2, n. 43338 del 24/09/2015 - dep. 27/10/2015, Faranda, Rv. 265071), ma possono esserlo nei confronti dei terzi), merita senza alcun dubbio di essere approfondita la questione, correttamente sviluppata nel terzo motivo, attinente alla individuazione del soggetto responsabile.
5. È Indubbio, infatti, secondo quanto previsto sia dal previgente D.P.R. n. 547 del 1955, art. 389, lett. b), e secondo quanto previsto anche, attualmente, dal D.P.R. n. 81 del 2008, art. 64, comma 1, succeduto, in termini di continuità normativa, al previgente disposto, che il soggetto tenuto a provvedere affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di buono stato di conservazione ed efficienza è il datore di lavoro.
Tale disposizione prevede, infatti, che "Il datore di lavoro provvede affinché: a) i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'articolo 63, commi 1, 2 e 3; b) le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza; c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori; d) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate; e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento".
6. Orbene, la circostanza che il locale - luogo di lavoro non conforme a tali requisiti sia di proprietà di terzi, come nel caso di specie, non esclude la responsabilità del proprietario - locatore a condizione che il medesimo rivesta anche la qualifica di datore di lavoro. È infatti al datore di lavoro che incombono gli obblighi indicati nell'art. 64, tra cui quello di garantire la conformità ai requisiti di cui al punto 2.2. dell'all. IV al TUS, come contestato nel caso in esame.
Del resto, si noti, questa stessa Sezione ha avuto modo già di affermare che in tema di prevenzione degli infortuni, integra il reato previsto dagli artt. 374 e 389 del d.P.R. n. 547 del 1955 la condotta del datore di lavoro che, avendo ricevuto in locazione i locali in cui si svolge la prestazione lavorativa, ometta di mantenere in buono stato di conservazione e di efficienza tali luoghi, a meno che non dimostri che l'esecuzione degli interventi di adeguamento sia stata resa impossibile dal comportamento del locatore (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'affermazione della responsabilità del conduttore di un locale, adibito a supermercato, per la mancata sistemazione di un pavimento mediante opere di piccola manutenzione e di riparazione urgente, nonostante il rifiuto del proprietario di provvedere e trattandosi di opere ordinariamente consentite al primo: Sez. 3, n. 50597 del 28/11/2013 - dep. 16/12/2013, Ribeca, Rv. 257931).
7. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alla contestazione mossa al capo D.
Ed invero, in tema di uso delle attrezzature di lavoro, l'art. 70, TUS, prevede, in particolare, ai commi 1 e 2 che "1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. 2. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all'emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V".
Circa l'individuazione del soggetto responsabile, è l'art. 71, co. 1 a chiarire inequívocamente come grava sul "datore di lavoro" l'obbligo di mettere "a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all'articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie".
Nel caso di specie, dunque, la contestazione mossa al ricorrente, cui è ascritta la responsabilità di aver messo a disposizione attrezzature di lavoro non conformi ''nella sua qualità di concedente all'uso e locatore dell'Insediamento produttivo", richiamando il disposto dell'art. 70, co. 2, TUS, non è certamente corretta, atteso che la responsabilità "penale" è individuata dal d. lgs. n. 81 del 2008 esclusivamente in capo al "datore di lavoro" od al "dirigente" (art. 87, commi 2 e 3), laddove la figura del "concedente in uso" è contemplata, quanto alle attrezzature di lavoro, dall'art. 72, che infatti, nell'individuare gli obblighi dei noleggiatori e dei concedenti in uso, così prevede; "1. Chiunque venda, noleggi o conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all'articolo 70, comma 1, attesta, sotto la propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti di sicurezza di cui all'allegato V. 2. Chiunque noleggi o conceda in uso attrezzature di lavoro senza operatore deve, al momento della cessione, attestarne il buono stato di conservazione, manutenzione ed efficienza a fini di sicurezza. Dovrà altresì acquisire e conservare agli atti per tutta la durata del noleggio o della concessione dell'attrezzatura una dichiarazione del datore di lavoro che riporti l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori incaricati del loro uso, i quali devono risultare formati conformemente alle disposizioni del presente titolo e, ove si tratti di attrezzature di cui all'articolo 73, comma 5, siano in possesso della specifica abilitazione ivi prevista".
8. Peraltro, in caso di violazione della predetta disposizione, non discendono a carico del noleggiatore o del concedente in uso sanzioni penali, stante il chiaro disposto dell'art. 87, co. 7, d. lgs. n. 81 del 2008, secondo cui "il venditore, il noleggiatore o il concedente in uso è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 921,38 a 3.316,96 euro per la violazione dell'articolo 72".
Ne discende, pertanto, che, quand'anche fosse stata certa la prova della locazione delle attrezzature da parte del ricorrente, la relativa violazione avrebbe al più comportato nei confronti del medesimo l'irrogazione di una sanzione amministrativa.
9. L'impugnata sentenza dev'essere, conclusivamente, annullata senza rinvio con la formula in dispositivo indicata, non essendo ancora maturata la prescrizione dei reati contestati, attesa la loro natura permanente, interrotta dalla sentenza di condanna, individuandosi il dies a quo in quello di pronuncia della sentenza di prime cure (27.03.2019).
Pacifico infatti è che i reati contravvenzionali, previsti dalla normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, hanno natura permanente e la situazione antigiuridica si protrae e persiste fino a quando il responsabile non abbia provveduto ad adottare le prescritte misure cautelari ovvero, in difetto, fino a quando il giudice non si pronunci con sentenza di condanna anche se non passata in giudicato (Sez. 3, n. 46340 del 27/10/2011 - dep. 14/12/2011, Farano, Rv. 251342).
10. Non versandosi, infine, nell'ipotesi di trasformazione dell'illecito penale in illecito amministrativo conseguente a depenalizzazione, ma di qualificazione ab origine di illecito amministrativo della violazione dell'alt. 72, d.lgs. n. 81 del 2008, in relazione al capo a), non trova applicazione il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012 - dep. 28/06/2012, Campagne Rudie, Rv. 252694) riguardante l'ipotesi in cui la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 legge 24 novembre 1981, n. 689 (la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione), donde può essere disposta la trasmissione di copia della presente sentenza allo S.pre.s.a.l. di Novara a cura della cancelleria.




P.Q.M.




La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non aver commesso il fatto in relazione al capo b) e perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, in relazione al capo a).
Dispone la trasmissione degli atti allo S.pre.s.a.l. di Novara.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, l'11 dicembre 2019


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