Cassazione Penale, Sez. 3, 12 dicembre 2019, n. 50346 - Individuazione del soggetto che assume una posizione di garanzia. La responsabilità di un RSPP può, se mai, concorrere con quella del datore di lavoro

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2019

Fatto

1. Con la sentenza del 8 giugno 2018 il Tribunale di Torino ha condannato R.D., quale legale rappresentante della D. s.n.c. di D. M. e R., alla pena di € 3.800 di ammenda per 6 contravvenzioni ex d.lgs. 81/2008.
2. Il difensore di R.D. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Torino e l'ordinanza emessa dallo stesso Tribunale il 14 settembre 2017 di rigetto dell'istanza di proscioglimento ex art. 469 cod. proc. pen. e di ammissione al pagamento della sanzione in forma rateizzata o di rimessione in termini per il pagamento della somma che avrebbe estinto il reato.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione degli art. 2, 64, 68, 299 d.lgs. 81/2008: l'imputato, pur essendo il legale rappresentante ed occupandosi della sola parte amministrativa, non sarebbe il soggetto responsabile, perché i poteri relativi ai rapporti di lavoro ed alla sicurezza sul lavoro sarebbero stati esercitati nella società dal fratello M. D., come emerso dall'esame di R.D., il quale è il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, come risulta dalla visura camerale in atti. Si invoca, oltre al dato formale, l'applicazione del principio di effettività di cui all'art. 299 d.lgs. 81/2008 per individuare correttamente il soggetto che assume la posizione di garanzia, a cui sarebbe estraneo l'imputato.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione degli art. 21 d.lgs. 758/1994, 5 cod. pen. Il Tribunale avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di rimessione in termini per provvedere al pagamento della sanzione, ritenendo l'estinzione un procedimento amministrativo parallelo su cui il giudice non potrebbe intervenire mentre si tratta di una causa di estinzione del reato che appartiene alla cognizione del Tribunale; la legge 364/88 consente solo all'autorità giudiziaria di ammettere l'imputato al pagamento in forma rateizzata della sanzione. L'omesso pagamento, che avrebbe estinto il reato, sarebbe dovuto ad un errore scusabile, perché determinato dalla negligenza della pubblica amministrazione. La richiesta dell'imputato di rateizzazione ebbe dalla p.a. una prima risposta interlocutoria, nella quale si indicò che occorreva l'autorizzazione del pubblico ministero e poi una negativa. Il rigetto della richiesta di rimessione in termini sarebbe poi fondato su un dato di fatto errato perché il mancato pagamento fu determinato dall'omessa notifica del provvedimento della Asl dopo l'autorizzazione del pubblico ministero alla rateizzazione, come risulterebbe dalla testimonianza della d.ssa Bagnara, ispettore in servizio presso la SpreSal di Rivoli Asl Torino 3, mentre l'imputato si sarebbe comunque attivato richiedendo la rateizzazione della sanzione. Il mancato pagamento non sarebbe pertanto imputabile all'imputato, anche per effetto del provvedimento del pubblico ministero di autorizzazione alla rateizzazione, sicché il Tribunale avrebbe dovuto rimettere in termini l'imputato per il pagamento della sanzione, intera o rateizzata.
L'imputato avrebbe infatti tenuto un comportamento corretto e di buona fede, facendo affidamento e seguendo le indicazioni della SPreSal. Si chiede alla Corte di dichiarare verificata la causa di estinzione del reato o rimettere l'imputato nei termini per il pagamento.
2.3. Con il terzo motivo si impugna l'ordinanza predibattimentale con la quale il Tribunale ha rigettato la richiesta di applicazione dell'art. 131-ò/s cod. pen., per violazione di legge. La motivazione del Tribunale sulla pluralità delle condotte illecite commesse dall'imputato sarebbe contraddittoria perché, nella parte relativa alla pena, ha ritenuto la sussistenza di una condotta unica. In ogni caso sono esclusi dall'applicazione della norma solo i comportamenti seriali ed abituali; nel caso de quo l'azienda opera da decenni senza aver ricevuto alcun rilievo; l'imputato è poi incensurato ed ha posto in essere una condotta riparatoria, adempiendo a tutte le prescrizioni a lui impartite, come risulta dalla stessa sentenza. Nella stessa sentenza le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute per il buon profilo soggettivo dell'imputato e per il comportamento collaborativo: si tratterebbe di circostanze di fatto che avrebbero consentito l'applicazione dell'art. 131-b/s cod. pen.; non sarebbero state valutate sul punto le condotte successive al reato.
2.4. La Corte di appello di Torino, con ordinanza del 21 giugno 2019, rilevato che la sentenza del Tribunale non era appellabile, ha trasmesso l'impugnazione alla Corte di cassazione.


Diritto


1. Il primo motivo è manifestamente infondato: correttamente il Tribunale ha ritenuto che l'imputato avesse la qualifica di datore di lavoro. La tesi contraria si fonda, oltre che sulle dichiarazioni dell'imputato, sulla visura camerale da cui emergerebbe la nomina di un RSPP: però, ai sensi degli artt. 31 e ss. del d.lgs. 81/2008, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, svolge all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza (cfr. in tal senso Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, R.C., Rv. 261107 - 01), la cui responsabilità può semmai essere concorrente con quella del datore di lavoro.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. L'istanza al pubblico ministero di autorizzazione alla rateizzazione fu presentata dal difensore di R.D.; l'autorizzazione del pubblico ministero fu a questi notificata a mezzo pec il 28 aprile 2015. Pertanto, l'imputato fu messo nelle condizioni di poter pagare, ottenuta la richiesta autorizzazione: non lo fece, come ha correttamente rilevato il Tribunale, solo per una sua scelta, neanche dopo aver ricevuto il decreto di citazione a giudizio. Una volta ricevuta l'autorizzazione del pubblico ministero avrebbe dovuto attivarsi per poter ottenere l'estinzione del reato.
Deve poi rilevarsi che dalla sentenza impugnata risulta che l'imputato, in sede di esame, ha dichiarato che l'impresa all'epoca dei fatti si trovava in una situazione di ingente calo del fatturato, tale da non consentire l'estinzione della sanzione, considerati anche i costi sostenuti per la messa in sicurezza, in ottemperanza alle prescrizioni della Asl. L'imputato ha in sostanza ammesso la sua consapevolezza dell'obbligo di procedere al pagamento.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, essendo del tutto corretta la motivazione della sentenza impugnata sul rigetto della richiesta di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen.; il Tribunale ha escluso la sussistenza della particolare tenuità prendendo in esame i parametri di cui all'articolo 133, comma 1, cod. pen.: ha preso in esame infatti le modalità della condotta ed in particolare la reiterazione delle condotte e la loro durata nel tempo: le violazioni sono infatti pregresse all'accertamento e sono durate fino alla loro eliminazione. Tale argomento è sufficiente attenere inapplicabile l'art. 131-bis cod. pen.
4. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/10/2019.


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