Cassazione Penale, Sez. 3, 04 febbraio 2020, n. 4699 - Contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro

sentenze cassazione sicurezza lavoro
2020

Fatto

1. Con sentenza dell'11 luglio 2018, il g.i.p. del Tribunale di Rieti, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato l'odierno ricorrente alla pena dell'ammenda di Euro 6.000,00 per alcune contravvenzioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro
2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto appello W.S., deducendo con il primo motivo l'erroneità dell'affermazione di penale responsabilità, per non essere stato ritenuto estinto il reato nonostante l'adempimento, seppur tardivo, delle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza, comportando ciò l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato anche in difetto di prova del pagamento della sanzione pecuniaria comminata.
2.1. Con il secondo motivo si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen.
2.2. Con il terzo motivo ci si duole della pena applicata, eccessiva rispetto alla gravità dei reati ed alla successiva condotta diretta a rimuovere le conseguenze dannose del reato, nonché della mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Diritto

1. Va innanzitutto osservato che, trattandosi di sentenza che ha applicato la sola pena dell'ammenda, la stessa non è appellabile giusta la previsione di cui all'art. 593, comma 3, cod. proc. pen. Trattandosi, tuttavia, di impugnazione il cui primo motivo (e, in parte, il terzo) è riconducibile alla violazione di legge ed al vizio di motivazione, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., verificata l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, il giudice d'appello Impropriamente adito ha giustamente trasmesso gli atti a questa Corte (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221; Sez. 5, n. 7403/2014 del 26/09/2013, Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 08/04/2013, Arena, Rv. 257117).
2. Detta impugnazione - suscettibile di conversione in quanto presenta, quantomeno in parte, i requisiti di sostanza e di forma del ricorso per cassazione (è stata presentata nei termini da avvocato iscritto all'albo speciale dei cassazionisti) - è da ritenersi fondata nei termini di cui infra.
3. Manifestamente infondato è il primo motivo, posto che, al di là della tardività della regolarizzazione, di per sé comunque ostativa al perfezionamento della speciale oblazione, l'estinzione del reato presuppone il pagamento della somma fissata a titolo di sanzione amministrativa - nella specie effettivamente quantificata dall'organo di vigilanza - somma che la sentenza impugnata, senza contestazione, attesta non risultare essere stata versata.
L'art. 24, comma 1, d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, di fatti, prevede l'estinzione del reato «se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21, comma 2» del decreto. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il mancato rispetto anche di una sola delle due citate condizioni impedisce la realizzazione dell'effetto estintivo (Sez. 3, n. 24418 del 10/03/2016, Sollano, Rv. 267105; Sez. 3, n. 12294 del 09/02/2005, Maratea, Rv. 231065).
Né il ricorrente deduce di aver richiesto e perfezionato l'oblazione di cui all'art. 162 bis cod. pen. giusta la previsione contenuta nel terzo comma della citata disposizione.
4. Le residue doglianze sono inammissibili perché proposte per motivi non consentiti quanto alla mancata declaratoria della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e quanto alla pena inflitta. Non essendo stata specificamente contestata alcuna violazione di legge, né vizio di mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione, il ricorrente si duole soltanto della valutazione di merito operata dal giudice, valutazione non illogicamente motivata che pertanto si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
5. Quanto, da ultimo, alla mancata concessione - senza motivazione - del beneficio della non menzione della condanna, la doglianza è inammissibile perché, contrariamente a quanto dedotto in impugnazione, dal verbale dell'udienza di discussione non risulta la richiesta in esame, sicché il giudice di merito non aveva alcun onere di motivazione al riguardo (v, di recente, Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596 - 02) e, in ogni caso, non avendone l'imputato sollecitato la concessione, non può dolersene in sede di legittimità (cfr. Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376, con riguardo all'analogo beneficio della sospensione condizionale della pena).
6. La sentenza impugnata va tuttavia annullata senza rinvio sotto un altro profilo, dovendo la Corte rilevare d'ufficio l'illegalità della pena connessa alla violazione della disposizione di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. - come modificato dall'art. 1, comma 44, l. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 4 agosto 2017 - nella parte in cui dispone che nel giudizio abbreviato, «in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione». Questa Corte ha al proposito già riconosciuto che tale disposizione, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina, si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, cod. pen., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, Rv. 271752).
Quanto alla rilevabilità d'ufficio, pur in difetto di motivo di ricorso - nel caso di specie certamente deducibile, posto che la sentenza è stata resa successivamente all'indicata modifica normativa - secondo il consolidato orientamento di questa Corte, trattandosi di pena illegale non osta il fatto che il ricorso, tempestivamente proposto, sia altrimenti inammissibile (Sez. 2, n. 7188 del 11/10/2018, dep. 2019, Elgendy, Rv. 276320; Sez. 3, n. 6997 del 22/11/2017, dep. 2018, C, Rv. 272090; Sez. 5, n. 46122 del 13/06/2014, Oguekemma, Rv. 262108).
Si tratta, del resto, di pena illegale frutto di un evidente, inconfutabile, errore di calcolo rispetto al quale la sentenza impugnata non reca alcuna motivazione, corretta o meno, a sostegno della conclusione. Quand'anche sul punto si fosse formato il giudicato, dunque, non sarebbe precluso richiedere la correzione dell'errore, sul rilievo che l'illegalità della pena, derivante da palese errore giuridico o materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d'ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudice dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera e a., Rv. 265108; Sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, Medulla, Rv. 259733). Quest'orientamento è stato seguito anche nel caso di diminuzione della pena operata all'esito del giudizio abbreviato in misura diversa da quella obbligatoriamente prevista dalla legge (Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, Toma, Rv. 253562). 
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio quanto al trattamento sanzionatorio, potendo procedersi in questa sede ad applicare la corretta diminuzione della metà - anziché di un terzo - sulla pena di 9. 000 Euro di ammenda determinata, ante riduzione, dal giudice di primo grado. La pena finale deve pertanto essere rideterminata in 4.500,00 Euro di ammenda.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena inflitta che ridetermina in Euro 4.500,00 di ammenda.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 7 novembre 2019.


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