La responsabilità amministrativa degli enti ai tempi del COVID-19
Position Paper Confindustria sulle Prime indicazioni operative aggiornato a Giugno 2020 e impatto sui Modelli organizzativi 231
L’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha coinvolto in modo significativo le imprese, chiamate, tra le altre cose, ad adattare la propria struttura organizzativa e il modo di gestire le prestazioni lavorative al fine di garantire la tutela della salute dei propri lavoratori.
Tra i molteplici aspetti di interesse, essa suggerisce una riflessione sui rischi che le imprese sono chiamate a gestire e, in particolare, per quanto qui di interesse, sul tema della responsabilità amministrativa degli enti ex decreto legislativo n. 231/2001 (di seguito anche “Decreto 231”).
In quest’ottica, il presente contributo offre prime indicazioni riguardo al profilo dell’adeguatezza dei Modelli organizzativi adottati ai sensi del Decreto 231 per far fronte ai rischi connessi all’emergenza, ai connessi obblighi per il datore di lavoro e la struttura aziendale, nonché al delicato ruolo dell’Organismo di vigilanza nell’attuale contesto.
Rischi diretti e indiretti
Con riferimento al tema della responsabilità 231 dell’impresa, occorre considerare che il COVID-
19 determina o amplifica alcuni potenziali profili di rischio che, per chiarezza espositiva, possono essere distinti in due tipologie: indiretti e diretti. Il tema è affrontato nel seguito.
Rischi indiretti
L’epidemia può rappresentare un’ulteriore “occasione” di commissione di alcune fattispecie di reato già incluse all’interno del catalogo dei reati presupposto della disciplina 231 ma, in sé considerate, non strettamente connesse alla gestione del rischio COVID-19 in ambito aziendale e, per questo, riconducibili a un perimetro che potremmo definire di rischi indiretti.
Infatti, per far fronte all’emergenza, le imprese si sono attrezzate impostando modalità di lavoro e organizzative in molti casi diverse da quelle ordinarie e hanno dovuto ricorrere a strumenti o far fronte ad adempimenti spesso inediti.
Ciò può incrementare il rischio di configurazione di alcuni reati rilevanti in chiave 231. Il riferimento è, ad esempio, alle seguenti fattispecie di reato:
• corruzione tra privati, corruzione e altri reati contro la PA: la situazione di crisi generalizzata, nonché la necessità da parte delle imprese di recuperare i profitti non conseguiti nel periodo dell’emergenza, potrebbe comportare una maggior esposizione al rischio teorico di condotte corruttive, sia verso Pubblici Ufficiali o Incaricati di Pubblico Servizio, sia verso soggetti privati. Inoltre, il complesso delle disposizioni normative e delle misure messe in campo dalle Istituzioni per far fronte all’epidemia potrebbe aver determinato un più intenso rapporto delle imprese con gli Enti pubblici, di volta in volta competenti (es. Ministero del Lavoro, Regioni, Prefetture, Forze di polizia, INPS, Ispettorato del Lavoro, ASL), con conseguente maggior esposizione al rischio di commissione dei reati contro la PA. Il
riferimento è, a titolo di esempio, alla necessità per molte imprese di accedere agli ammortizzatori sociali introdotti per gestire i livelli occupazionali durante l’emergenza sanitaria; alla possibilità di partecipare a gare semplificate per la fornitura di DPI; alle dichiarazioni e certificazioni attestanti il possesso delle condizioni richieste dai vari provvedimenti normativi per la prosecuzione dell’attività produttiva;
• capolarato e impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare: le difficoltà legate alla prosecuzione dell’attività produttiva durante l’emergenza può aver determinato un maggior rischio di utilizzo e impiego irregolare dei lavoratori;
• reati contro l’industria e il commercio: la necessità di procurarsi determinate categorie di beni indispensabili per la prosecuzione dell’attività produttiva in questa fase emergenziale può aver determinato una maggiore esposizione al rischio di commettere illeciti contro l’industria e il commercio;
• ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio: le difficoltà in termini di disponibilità di risorse finanziarie, che può essere stata acuita dall’emergenza sanitaria, può aver determinato una maggior esposizione al rischio di condotte illecite riconducibili ai reati di ricettazione e riciclaggio;
• reati di criminalità organizzata: l’emergenza può aver determinato difficoltà finanziarie e questo può astrattamente esporre le imprese a un maggior rischio di infiltrazioni criminali, ad esempio per il reperimento di finanziamenti o per il ricorso a subappalti a basso costo;
• reati informatici e violazioni in materia di diritto d’autore: l’ampio e generalizzato ricorso allo smart working, attivabile in alcuni casi anche mediante l’uso di dispositivi e connessioni di rete personali dei lavoratori, può astrattamente aver determinato un maggior rischio di commissione degli illeciti informatici derivante, ad esempio, da un uso non conforme dei dispositivi e dei software da parte dei singoli utenti. A questo tema, è correlato anche quello dell’astratta maggiore configurabilità di ipotesi di utilizzo improprio di software protetti con connessa violazione delle norme in materia di diritto d’autore, anch’esse rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti.
Tuttavia, occorre evidenziare che l’aggiornamento del Modello 231 non può essere ritenuto come una conseguenza automatica dell’emergenza da COVID-19.
Infatti, i rischi a titolo indiretto sopra citati sono riconducibili a fattispecie di reato già incluse nella disciplina 231 prima dell’emergenza e connotate dal carattere della tendenziale trasversalità alle diverse categorie di imprese, sotto il profilo sia dimensionale, sia merceologico.
Pertanto, si tratta di rischi che le imprese, dotate di un Modello 231, avrebbero già dovuto valutare come rilevanti nell’ambito dell’attività di risk assessment condotta nel processo di adozione del Modello e, rispetto ai quali, dovrebbero aver già adottato, al proprio interno, il complesso di presidi e procedure idonee a prevenirne la configurazione, anche sulla base delle indicazioni fornite nelle Linee guida di Confindustria per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo.
Diverso evidentemente il discorso per quelle imprese che non avevano provveduto a mappare tali rischi e che potrebbero essere chiamate a un’implementazione del Modello in tale direzione.
Dunque, al netto di tale ultima ipotesi, le imprese dotate di un Modello 231 dovrebbero essere già in possesso dei presidi necessari a far fronte ai rischi indiretti per i quali l’emergenza sanitaria, come visto, può rappresentare un’ulteriore occasione di commissione. Al riguardo, può essere valutata, caso per caso, l’opportunità di rafforzare le procedure, adeguandone l’applicazione, ove necessario, per allinearle ai diversi contesti organizzativi determinatisi in occasione del COVID-19.
In questo contesto, ciò che l’emergenza determina invece in capo alle imprese è la necessità che i vertici aziendali e l’Organismo di Vigilanza assicurino e verifichino, nell’esercizio delle rispettive prerogative, l’effettiva implementazione dei presidi e dei protocolli previsti nel Modello, come più diffusamente argomentato nel prosieguo di questo documento (v. infra).
Rischi diretti e impatto sui Modelli organizzativi 231
Accanto ai rischi indiretti, l’epidemia ha determinato l’insorgere di un rischio che potremmo definire diretto per le imprese, ovvero quello conseguente al contagio da COVID-19.
Si tratta di un rischio che coinvolge indistintamente tutte le imprese, così come tutta la collettività, e che si ritiene opportuno trattare nell’ambito della responsabilità 231, per sviluppare alcune prime considerazioni, fermo restando che le stesse si collocano in un contesto inedito e in continua evoluzione.
In primo luogo, è necessario evidenziare che, sebbene ci si riferisca a un rischio che incide sulla salute e sicurezza dei lavoratori, nonché “nuovo” nelle sue caratteristiche biologiche, l’approccio in chiave 231 non è dissimile da quanto già considerato con riferimento ai rischi indiretti.
Infatti, anche prima dell’emergenza epidemiologica, i reati in materia di salute e sicurezza erano contemplati quali fattispecie presupposto della responsabilità amministrativa degli enti. Il riferimento è, in particolare, ai reati di lesioni personali colpose e omicidio colposo commessi in violazione delle norme antinfortunistiche, ai sensi degli articoli 589 e 590 del codice penale.
Al riguardo, l’articolo 30 del D.lgs. n. 81/2008, recante il Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, prevede, al comma 1, che “Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici”.
Dunque, ciò che si richiede al Modello 231 è di prevedere il complesso dei presidi generali idonei ad assicurare, a valle e in loro attuazione, un valido ed efficace sistema gestionale, che contempli tutte le specifiche misure necessarie per l’adempimento degli obblighi giuridici a tutela della
salute e sicurezza dei lavoratori.
Sulla base di questi presupposti, il COVID-19 non sembra imporre, anche con riferimento al rischio da contagio, un’automatica revisione del Modello 231 che già contempli il complesso dei presidi generali, i quali, nei termini appena indicati, individuino le basi per l’adozione di un sistema gestionale idoneo a prevenire la commissione dei reati in materia prevenzionistica.
Discorso diverso, invece, per quelle ipotesi in cui le imprese abbiano deciso di declinare, già all’interno del Modello, i presidi e i protocolli specifici in materia di salute sicurezza sui luoghi di lavoro: in tal caso, andrà valutata, caso per caso, l’opportunità di aggiornare tali procedure alla luce delle misure anti-contagio individuate dalle Autorità pubbliche nei provvedimenti normativi che si sono susseguiti e nel Protocollo sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali (su cui v. infra per una trattazione più estesa). Tale eventuale aggiornamento potrà essere declinato in un addendum al Modello 231, anche in considerazione della natura emergenziale, dunque eccezionale e temporanea, delle misure anti-contagio che dovranno essere implementate.
Al netto di queste situazioni specifiche, ciò che quindi l’esposizione dei lavoratori al rischio da contagio nei luoghi di lavoro determina, per il datore di lavoro, in attuazione (anche) dei presidi previsti nel Modello 231, è l’obbligo di predisporre le adeguate misure che tutelino i lavoratori da tale rischio, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile.
In proposito, è utile ribadire la peculiarità del rischio da contagio COVID-19, che interessa indistintamente tutta la popolazione mondiale, a prescindere dall’attività lavorativa svolta dal singolo e si connota, sul piano biologico, per la novità (e dunque per l’assenza di anticorpi), per la natura ancora incerta e imprevedibile della malattia e della sua progressione e per l’ancora scarsa conoscenza dell’efficacia di possibili cure.
In questo quadro fenomenologico eccezionale e complesso, che presenta contorni non consolidati neppure in sede scientifica, è evidente che i datori di lavoro non hanno a disposizione le esperienze e le tecniche consolidate richieste dall’art. 2087 c.c., nonché le competenze scientifiche necessarie a valutare adeguatamente un rischio di tal genere e le sue conseguenze e, quindi, per decidere autonomamente le misure necessarie a contenere tale rischio1.
Pertanto, l’individuazione delle misure generali di contenimento e di prevenzione da adottare nelle organizzazioni produttive è demandata alle Autorità pubbliche, le sole che invece dispongono, anche attraverso appositi Comitati scientifici, di informazioni e competenze
necessarie a valutare il rischio e individuare le misure necessarie per farvi fronte.
E infatti, le Autorità pubbliche hanno individuato (e continueranno a individuare) una serie di misure di contenimento del contagio, contenute in diverse fonti, ovvero nei decreti-legge e nei DPCM che si sono succeduti negli ultimi mesi, nonché nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali il 14 marzo scorso e poi successivamente integrato e allegato al DPCM del 26 aprile 20202 (e, da ultimo, nel DPCM
17 maggio 2020). Allo stesso modo, per alcune specificità settoriali, rilevano anche il Protocollo
condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, nonché il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica, anch’essi allegati al DPCM del 26 aprile.
A fronte delle indicazioni contenute in queste fonti, il margine di valutazione e determinazione dei datori di lavoro appare limitato alla sola attuazione scrupolosa delle misure che le Autorità, anche in raccordo coi rappresentanti delle imprese, hanno adottato e continueranno ad adottare, nonché alla vigilanza volta ad assicurare che i lavoratori si adeguino a tali misure.
In questo senso, gli adattamenti e le modifiche alle modalità di lavoro e di organizzazione dell’attività apportate dal datore costituiscono diretta esecuzione delle prescrizioni impartite dalle Autorità. Infatti, in coerenza con l’art. 2087 del codice civile, il datore è tenuto ad adeguarsi a tali prescrizioni, implementando le misure organizzative necessarie per dare attuazione alle misure anti-contagio previste dalle fonti richiamate e, con particolare riferimento al Protocollo di sicurezza, quelle in tema di:
• informazione: tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda devono essere informati in ordine alle disposizioni delle autorità e con riferimento al complesso delle misure adottate dal datore di lavoro, mediante avvisi consegnati o affissi ne luoghi aziendali;
• attività giornaliere di pulizia e sanificazione degli ambienti;
• precauzioni igieniche personali;
• dispositivi di protezione individuale per il personale;
• gestione degli spazi comuni (es. mensa, aree fumatori) e rispetto delle distanze interpersonali;
• definizione di una diversa organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart working);
• entrata e uscita di dipendenti e fornitori; limitazione degli spostamenti interni, riunioni, etc;
• gestione dei casi di presenza di una persona sintomatica in azienda;
• prosecuzione nella sorveglianza sanitaria, in collaborazione con il medico competente e il RLS. Inoltre, è prevista la costituzione, nell’impresa, di un Comitato per l’applicazione e la verifica
delle regole del protocollo, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS, laddove presenti, Comitato chiamato anche a valutare le necessità di aggiornamento dei protocolli adottati al variare delle prescrizioni impartite dalla Autorità pubbliche.
Ai fini di un’efficace e corretta implementazione delle misure, sarà anche indispensabile che tutta l’attività realizzata dall’impresa per adeguarsi a tali prescrizioni trovi corrispondenza in un’adeguata reportistica dei presidi messi in atto, nonché degli esiti delle attività di controllo sulla loro corretta implementazione, garantendo la tracciabilità e la conservazione di tale documentazione.
In sintesi, dovrà quindi essere predisposto un protocollo aziendale, che declini in modo puntuale le misure poste in essere per recepire quelle contenute nel Protocollo di sicurezza, e dovranno essere documentate per iscritto tutte le singole attività realizzate e le decisioni assunte dal datore in attuazione di tali misure (ad esempio verbali e registri), le informative rivolte ai dipendenti, nonché le relazioni elaborate dagli organi preposti alle verifiche in ordine al rispetto delle nuove procedure. Tale protocollo andrà a integrarsi, di fatto, nel complesso dei presidi puntuali messi in campo dal datore all’interno della propria organizzazione al fine di prevenire la commissione di fattispecie rilevanti anche in chiave 231.
Ruolo dell’Organismo di Vigilanza (nel contesto del sistema dei controlli interni)
Esaurito il tema dell’impatto, come si è visto nel complesso marginale, del COVID-19 sulla struttura dei Modelli 231, di seguito alcune considerazioni sui riflessi, invece più significativi, riguardo all’attività dell’Organismo di Vigilanza e ai connessi flussi informativi.
Come noto, nel sistema 231 l’Organismo di vigilanza (di seguito anche “OdV” o l’”Organismo”) ha il compito di valutare l’adeguatezza del Modello 231 dell’impresa, vigilare sulla sua corretta ed effettiva implementazione e suggerirne eventuali aggiornamenti al mutare di determinate circostanze, fermo restando che le decisioni gestionali e l’aggiornamento del Modello sono e restano di competenza dell’impresa.
Con riferimento all’emergenza in corso, come supra argomentato, l’opportunità di un aggiornamento del Modello 231 non costituisce, di regola, una conseguenza automatica del COVID-19, ma l’OdV dovrà comunque mantenere alto il livello di attenzione in ordine alla necessità di proporre una revisione o un’integrazione del Modello che possa eventualmente emergere in conseguenza dell’eccezionale intensità o frequenza dei rischi già mappati.
Pertanto, alla luce di queste considerazioni, il principale compito dell’OdV nel contesto emergenziale è una rafforzata vigilanza sulla corretta ed efficace implementazione del Modello esistente, nonché delle misure attuate dal datore di lavoro in ottemperanza alle prescrizioni delle Autorità pubbliche, come già richiamate.
A tal fine, l’OdV è chiamato anzitutto a interloquire con i vertici dell’impresa, con il Comitato costituito per l’emergenza e con le funzioni aziendali interessate, con frequenza maggiore rispetto a quella pianificata prima della pandemia, e ad assicurare un potenziamento dei flussi informativi da e verso l’ente. Al riguardo, può essere opportuno prevedere riunioni periodiche tra l’OdV e il Comitato, trattandosi della struttura interna istituita proprio al fine specifico di gestire l’applicazione e la valutazione delle misure organizzative adottate.
In tal senso, occorre che l’OdV mantenga uno stretto coordinamento, volto alla condivisione delle informazioni e delle conseguenti decisioni assunte dall’ente, con tutti i soggetti chiamati a: i) declinare le precauzioni individuate nei provvedimenti delle Autorità e nei Protocolli anti- contagio; ii) effettuare i controlli operativi sull’effettivo rispetto di tali precauzioni, tra cui in primis il richiamato Comitato interno. A tal fine, dovranno essere intensificati ovvero istituiti idonei flussi informativi a integrazione di quelli già esistenti.
In particolare, è opportuno che l’OdV, da un lato, si accerti che il quadro normativo di riferimento, collegato all’evoluzione dell’emergenza, sia costantemente monitorato dall’impresa e, dall’altro, ottenga in modo tempestivo dal datore di lavoro, dalle funzioni aziendali coinvolte (es. risorse umane, legale) e dagli organi preposti alla gestione del rischio (es. medico competente, RSPP) adeguati flussi informativi sulle misure concretamente implementate all’interno dell’impresa in chiave anti-contagio, al fine di valutarne l’adeguatezza rispetto ai provvedimenti emananti.
Resta in capo all’Organismo, evidentemente, anche la prerogativa di sollecitare l’adeguamento o l’adozione delle misure anti-contagio in caso di inerzia dell’impresa, in capo alla quale - si ribadisce - resta in ogni caso la decisione e la conseguente attività operativa.
Inoltre, l’OdV è chiamato a sollecitare e tenuto a ricevere, nella sua attività di vigilanza, eventuali segnalazioni in ordine a violazioni del Modello e delle precauzioni implementate in azienda, con particolare attenzione al puntuale rispetto dei protocolli anti-contagio.
All’OdV spetta poi di segnalare ai vertici aziendali e alle funzioni preposte ai controlli operativi, anche di propria iniziativa, eventuali criticità riscontrate nella propria attività di vigilanza, affinché ne venga assicurata la soluzione. Si tratta di un’attività che l’Organismo potrà svolgere, soprattutto in questa fase di gestione dell’emergenza e in quelle successive, attraverso un monitoraggio continuo basato sull’analisi di potenziali red flag, di volta in volta identificati in funzione della realtà dell’impresa, nonché attraverso mirate attività di consultazione, in ogni caso senza che l’OdV stesso assuma specifiche responsabilità manageriali al riguardo.
Si ribadisce poi quanto già anticipato, vale a dire la necessità che anche l’attività di vigilanza realizzata trovi corrispondenza in un’adeguata reportistica, assicurando così la tracciabilità di tale documentazione. In questo senso, può risultare utile la predisposizione di check list sul rispetto delle misure di contenimento, da compilare periodicamente e fare oggetto di adeguata informativa tra i diversi soggetti coinvolti.
In altre parole, e in sintesi, ciò che si richiede all’OdV è un engagement rafforzato sulla vigilanza in ordine all’attuazione delle prescrizioni, vigilanza che passa attraverso un adeguato e rafforzato sistema di flussi informativi. L’esito dovrebbe essere di accrescere il livello di effettività di tali prescrizioni nel contesto aziendale e ciò rappresenta, evidentemente, un portato positivo di un “sistema 231” efficace e accuratamente implementato.
In conclusione, nel contesto dell’emergenza sanitaria, una completa ed effettiva compliance aziendale risulta importante per garantire un’adeguata tutela della salute dei lavoratori ed escludere profili di responsabilità dell’impresa.
Infatti, alla luce delle considerazioni svolte in ordine alla natura straordinaria e imprevedibile della pandemia in corso e all’assenza delle necessarie competenze tecnico-scientifiche in capo ai datori di lavoro, è ragionevole sostenere che vadano esclusi profili di responsabilità, anche in chiave 231, in capo al datore di lavoro e all’impresa che abbiano adottato e concretamente implementato le misure anti-contagio prescritte dalle Autorità pubbliche per far fronte al rischio pandemico.
In questo senso, si è peraltro espresso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali che, in risposta a un’interrogazione parlamentare dinanzi la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ha affermato che “[…] le conseguenze per i datori di lavoro cui fanno riferimento gli odierni interroganti, si può ritenere che la diffusione ubiquitaria del virus Sars-CoV-2, la molteplicità delle modalità e delle occasioni di contagio e la circostanza che la normativa di sicurezza per contrastare la diffusione del contagio è oggetto di continuo aggiornamento da parte degli organismi tecnico-scientifici che supportano il Governo, rendono particolarmente problematica la configurabilità di una responsabilità civile o penale del datore di lavoro che operi nel rispetto delle regole. Una responsabilità sarebbe, infatti, ipotizzabile solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni a tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, di quelle emanate dalle autorità governative per contrastare la già menzionata emergenza epidemiologica3”.
Anche l’INAIL, con la circolare n. 22 del 20 maggio scorso4, è intervenuta sul tema della responsabilità civile e penale del datore di lavoro per fornire alcuni chiarimenti. In particolare, l’Istituto ha chiarito che il riconoscimento delle infezioni da Covid-19 dei lavoratori come infortunio sul lavoro, ai sensi dell’art. 42 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (cd. DL Cura Italia) e della circolare Inail stessa del 3 aprile scorso5 , non comporta automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro. Infatti, afferma l’Inail, “Non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi casi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. […] Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze
sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33.”.
In tal senso, Confindustria ha più volte sollecitato un intervento legislativo che chiarisse, escludendola, il perimetro della responsabilità dei datori di lavoro che abbiano implementato tutte le misure anti-contagio individuate dalla Autorità pubbliche.
Al riguardo, durante l’esame parlamentare del DDL di conversione del decreto-legge 8 aprile
2020, n. 23, cd. DL Liquidità, è stata approvata una norma che, recependo tale impostazione, chiarisce come i datori di lavoro adempiano agli obblighi conseguenti alla previsione generale di cui all’art. 2087 c.c. mediante l’applicazione e il mantenimento, cioè mediante la corretta implementazione nell’operatività aziendale, delle misure anti-contagio previste dai più volte richiamati Protocolli di sicurezza6.
In questo contesto, il sistema 231 e, dunque, l’insieme dei presidi e protocolli implementati dall’impresa per mitigare il rischio di commissione dei reati presupposto e delle specifiche misure anti-contagio legate al COVID-19, unitamente al meccanismo dei controlli e dei flussi informativi da e verso l’OdV e la continua interlocuzione tra quest’ultimo, i vertici e i presidi aziendali preposti, rappresenta una best practice per affrontare l’emergenza, assicurando la contemporanea tutela delle diverse esigenze in campo, anche per la gestione delle successive
fasi, che potranno essere caratterizzate dalla convivenza con il rischio COVID.
Fonte: Confindustria La Spezia