ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI SENSIBILIZZANTI CUTANEI

differenza di sesso e di genere nell’esposizione ad agenti chimici sensibilizzanti cutanei

differenza di sesso e di genere nell’esposizione ad agenti chimici sensibilizzanti cutanei

Il documento in esame, redatto dall’INAIL – Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, affronta in maniera approfondita il tema della differenza di sesso e di genere nell’esposizione ad agenti chimici sensibilizzanti cutanei, con particolare attenzione sia agli aspetti normativi sia a quelli biologico-clinici e socio-epidemiologici. In premessa, viene fornita la definizione di sensibilizzante cutaneo secondo il regolamento (CE) 1272/2008 (CLP): si tratta di un agente chimico che, a seguito di contatto con la pelle, può indurre una risposta allergica cutanea (fase di scatenamento), a sua volta preceduta da una fase asintomatica di induzione della memoria immunologica .

Viene poi contestualizzato il dibattito europeo in materia di sensibilizzanti cutanei: nel 2020 il Comitato per l’analisi socio-economica (SEAC) e il Comitato per la valutazione dei Rischi (RAC) dell’Unione europea hanno supportato la proposta di Francia e Svezia di introdurre, nel regolamento REACH (CE) 1907/2006, una restrizione in grado di ridurre significativamente la presenza di agenti sensibilizzanti cutanei nei prodotti tessili e in quelli in cuoio. Tale proposta nasce dalla stima dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA), secondo cui circa 180.000 persone ogni anno in Europa si sensibilizzano a causa di contatto con agenti chimici sensibilizzanti . La restrizione, tuttora in discussione a livello comunitario, coinvolgerebbe sia i composti già classificati come sensibilizzanti cutanei nel CLP sia quelli che acquisiranno tale classificazione in futuro, arrivando a comprendere centinaia di sostanze nell’area UE .

Processo di sensibilizzazione e dermatite allergica da contatto

Il documento descrive nel dettaglio il meccanismo attraverso cui avviene la sensibilizzazione cutanea, suddividendo tale processo in due fasi:

  1. Fase di induzione (asintomatica): l’esposizione a livelli relativamente elevati di un agente sensibilizzante induce la formazione di una memoria immunologica specifica nei soggetti esposti.

  2. Fase di scatenamento (elicitation): a seguito di un’esposizione successiva, anche a concentrazioni inferiori rispetto a quelle della fase di induzione, si manifesta una reazione allergica mediata da cellule o anticorpi, fino alla comparsa dell’effetto clinico visibile .

La dermatite allergica da contatto viene definita come una reazione di ipersensibilità della pelle causata dal contatto con sostanze allergizzanti, innescando risposte immunitarie nei soggetti già sensibilizzati. I sintomi più comuni includono prurito intenso, arrossamento, gonfiore e, in alcuni casi, lesioni cutanee quali eritema, vescicole, bolle che possono evolvere in crosticine e desquamazione .

Evidenze sulla differenza di sesso e di genere

Il documento distingue con precisione tra differenza di sesso e differenza di genere:

  • Differenza di sesso: si riferisce a quegli aspetti biologico-fisiologici, biochimici e ormonali propri dei due sessi, che possono influenzare i processi tossici e la risposta immunitaria al contatto con sostanze chimiche sensibilizzanti.

  • Differenza di genere: comprende gli elementi sociali, culturali e comportamentali vissuti come “femminili” o “maschili”, i quali possono influire sulle condizioni di esposizione e sulla probabilità di registrazione degli effetti avversi .

Differenze fisiologiche della cute tra uomo e donna

Studi biochimici riportati nel documento hanno messo in luce come la cute femminile e la cute maschile presentino alcune differenze strutturali e funzionali, come illustrato nell’Figura 2 (non riprodotta qui). Tra le evidenze principali vi sono variazioni nello spessore del derma, nella produzione di sebo, nella permeabilità epidermica e nella risposta lipidica, elementi che possono influenzare la penetrazione e la sensibilizzazione cutanea agli agenti tossici .

Impatto della differenza di genere sul rischio espositivo

Dal lato delle determinanti socio-ambientali, il documento sottolinea come il genere incida sulle condizioni di vita e di lavoro:

  • Le donne, nella sfera professionale, sono sovra-rappresentate in attività che comportano lavoro “umido”, come parrucchiere, infermiere e operatrici sanitarie. Tali mansioni prevedono un contatto prolungato con acqua e detergenti, fattori che possono aumentare la fragilità della barriera cutanea e facilitare la penetrazione di agenti sensibilizzanti .

  • Anche in ambito domestico, il lavoro umido (pulizie casalinghe, cura dei bambini) è maggiormente svolto dalle donne, determinando una condizione di esposizione continua che può favorire la sensibilizzazione .

Il ruolo della differenza di sesso e di genere nell’esposizione a agenti sensibilizzanti

Evidenze epidemiologiche occupazionali

Nel documento vengono riportati studi epidemiologici su popolazioni lavorative seguite per 20 anni: risulta che le lavoratrici mostrano una prevalenza più alta di dermatiti allergiche da contatto rispetto ai lavoratori maschi. In particolare, settori come parrucchieri, infermiere e operatrici sanitarie evidenziano un’incidenza elevata, dovuta alla concomitanza di agenti sensibilizzanti e condizioni di lavoro umido .

Caso studio: esposizione al nichel

Un caso emblematico di differenza di genere negli effetti da sensibilizzazione riguarda il nichel. Storicamente, nell’Europa pre-restrizione, la prevalenza di allergie al nichel si attestava intorno al 20–25% nelle donne e solo al 4–5% nei maschi . Questo divario è stato attribuito non a differenze fisiologiche innate, bensì a fattori di esposizione legati alla cultura sociale: le donne, abituate a indossare orecchini fin dall’adolescenza, venivano esposte regolarmente al nichel rilasciato dai gioielli.

Per approfondire questo aspetto, alcuni ricercatori hanno condotto indagini distinguendo la popolazione in soggetti con orecchini (piercing) e senza, considerando due momenti: prima e dopo la restrizione europea n. 27/2006, che vieta la commercializzazione di oggetti metallici destinati al contatto con la pelle se rilasciano nichel oltre determinati limiti. I risultati hanno mostrato che:

  • Prima della restrizione, la prevalenza di allergie al nichel nelle donne con piercing era ~25%, mentre nei maschi con piercing raggiungeva circa il 20% (paragonabile alle donne), a fronte di un 4% di maschi senza piercing.

  • Dopo la restrizione, la prevalenza di allergie al nichel nelle donne è scesa drasticamente fino a livelli simili a quelli maschili (~5%). Anche l’incidenza tra gli uomini con piercing diminuisce significativamente, avvicinandosi a quella dei maschi senza piercing .

Questa evidenza dimostra chiaramente come la dimensione di genere (ossia abitudini sociali e culturali) abbia giocato un ruolo cruciale nell’aumentare precocemente la sensibilizzazione nelle donne; successivamente, il divieto europeo ha contribuito a ridurre l’incidenza dell’allergia in entrambi i sessi, rendendo il divario uomo-donna quasi inesistente .

Integrazione tra aspetti biologici e sociali

Le indagini menzionate (lavoro umido e uso di piercing) evidenziano come la differenza di genere si sovrapponga alle differenze fisiologiche di sesso, influenzando sia l’accumulo di esposizione sia la registrazione degli effetti clinici. In sostanza, la maggiore fragilità della cute femminile (aspetto biologico) si combina con condizioni lavorative e sociali tipicamente femminili (aspetto di genere), portando a una maggiore incidenza di dermatite da contatto allergica nelle donne, almeno fino a quando non interveniva la limitazione normativa sul nichel .

Considerazioni generali per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici

Sulla base delle evidenze sperimentali ed epidemiologiche, il documento offre indicazioni operative per datori di lavoro e medici competenti:

  1. Valutazione del rischio differenziata: va tenuto conto delle possibili differenze di sesso (es. maggiore permeabilità cutanea femminile) e di genere (es. mansioni tradizionalmente femminili a maggior contatto con prodotti chimici o attività di lavoro umido).

  2. Misure di prevenzione e protezione: implementare procedure e DPI (dispositivi di protezione individuale) idonei a ridurre il contatto diretto con le sostanze sensibilizzanti, come guanti appropriati, barriere protettive e detergenti specifici che non alterino eccessivamente il film idrolipidico cutaneo.

  3. Anamnesi approfondita: il medico competente deve condurre una raccolta dati (anamnesi) mirata a individuare eventuali precedenti di sensibilizzazione, comportamenti a rischio (es. uso di cosmetici, piercing) e condizioni cliniche rilevanti.

  4. Sorveglianza sanitaria attenta: occorre predisporre protocolli di monitoraggio periodico focalizzati sulla valutazione di segni precoci di dermatite allergica da contatto, con particolare attenzione alle lavoratrici impiegate in attività a rischio di lavoro umido o a contatto con sensibilizzanti riconosciuti.

  5. Formazione e informazione: sensibilizzare il personale sui rischi legati ai sensibilizzanti cutanei, sulle buone pratiche igieniche e sui corretti comportamenti da seguire in caso di comparsa di sintomi cutanei.

  6. Aggiornamento normativo: mantenere costantemente aggiornata la valutazione dei materiali utilizzati (tessuti, prodotti per la pulizia, componenti metallici) in funzione delle evoluzioni normative europee in materia di sostanze sensibilizzanti.

Queste raccomandazioni, se applicate correttamente, possono ridurre la possibilità di indurre sensibilizzazione e limitare l’insorgenza di reazioni allergiche nei soggetti già sensibilizzati, tutelando in modo più efficace sia le lavoratrici sia i lavoratori .

Fonte Inail

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