Check List rischio chimico e cancerogeno in excel

check list in excel con 160 punti di verifica sugli agenti chimici pericolosi e cancerogeni e mutageni.

Abbiamo realizzato una semplice check list in excel con 160 punti di verifica sugli agenti chimici pericolosi e cancerogeni e mutageni.
La check list e tratta dal lavoro fatto dal GRUPPO REGIONALE RISCHIO CHIMICO E CANCEROGENO nel Piano Regionale della Prevenzione 2014-2018 -  Rev.: 17/11/2016

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Note Alla check List

NOTE ALLE CHECK LIST

NOTA 1 Prima di iniziare la valutazione è necessario verificare la conformità dei luoghi di lavoro al titolo II
del D.Lgs. 81/08 e il rispetto dei principi generali di prevenzione;

Riferimento normativo: art. 63 comma 1, art. 64 comma 1 lett. a) - Allegato IV – Artt. 15 -18 – 224 del
D.Lgs. 81/08.

Sanzioni previste: arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.096,00 a 5.260,80 euro in riferimento all’art. 64. Per quanto riguarda l’art. 18, le sanzioni sono le seguenti: - co. 1, lett. a), d) e z) prima parte: arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.644,00 a 6.576,00 euro - co. 1, lett. c), e), f) e q): arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.315,20 a 5.699,20 euro - co. 1, lett. g), n), p) seconda parte, s) e v): ammenda da 2.192,00 a 4.384,00 euro - co. 1, lett. o): arresto da due a quattro mesi o ammenda da 822,00 a 4.384,00 euro

Le lavorazioni che espongono ad agenti chimici devono essere svolte in locali adeguati. A questo scopo, pur richiamando alla lettura integrale del testo di legge, ricordiamo le norme più rilevanti:
Art. 66 per quanto riguarda i luoghi confinati (sospetti di inquinamento)
Allegato IV punto 2 – Presenza nei luoghi di lavoro di agenti nocivi, con particolare riferimento a:
o Uso di recipienti a tenuta e dotati di buona chiusura (2.1.1)
o Limitazione delle quantità depositate in ambiente di lavoro (2.2.1)
o Separazione dei lavori nocivi (2.1.4)
o Aspirazione localizzata di gas, vapori, odori e fumi (2.1.5)
o Aspirazione localizzata delle polveri (2.2.3)
o Docce di sicurezza (2.1.11.2)
Allegato IV punti 3 e 4 per le problematiche di canalizzazioni, vasche etc. e antincendio, esplosione: o Evitare i pericoli di caduta dei lavoratori in contenitori di agenti chimici (3.4.1 - 3.4.2 - 3.4.3) o Identificazione delle tubazioni contenenti liquidi o gas nocivi o pericolosi (3.6.2)
L’adozione delle misure previste nell’allegato IV è obbligatoria, a prescindere dall’esito della valutazione
dei rischi poiché riguarda requisiti minimi dell’ambiente di lavoro. In particolare, deve essere assicurata la ventilazione generalizzata evitando correnti fastidiose per i lavoratori. Si ricorda anche che l’aspirazione localizzata deve essere coordinata con eventuali sistemi generali di ventilazione, assicurando il reintegro con apporto di aria salubre dall’esterno ed evitando interferenze tra questi impianti (un impianto di estrazione dell’aria ambientale interferisce con l’aspirazione localizzata riducendone l’efficacia).
Inoltre devono essere attuate, per quanto pertinenti, le previsioni generali dell’art. 15, quelle degli obblighi del datore di lavoro ex art. 18 (sanzionati) e quelli dell’art. 224 propri del rischio chimico. Per quanto alcune di queste norme non prevedano sanzioni, possono essere il presupposto di colpa in caso di infortunio o malattia professionale. L’art. 224 prevede la progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione, fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico, procedure di manutenzione, riduzione al minimo dei lavoratori esposti, riduzione al minimo della durata e intensità dell’esposizione, misure igieniche adeguate, riduzione al minimo della quantità di agenti chimici nei luoghi di lavoro in funzione delle necessità della lavorazione, metodi di lavoro appropriati, comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto degli agenti chimici pericolosi o dei loro rifiuti. Ai fini preventivi, occorre considerare la possibilità di cambiare la forma o lo stato fisico di un agente chimico in modo che risulti meno disperdibile (ad esempio manipolazione di un solido polverulento per via umida, sotto forma di pasta o gel, in pellet, incapsulato in involucro idrosolubile, colorazione con “master” nel settore della plastica).

Ovviamente occorre anche valutare la sostituzione degli agenti chimici più pericolosi (con particolare riguardo a quelli persistenti, bioaccumulabili, tossici – PBT e vPvB); in alternativa considerare le lavorazioni in un processo chiuso (isolato, non comunicante con l’esterno) o confinato (es. cabina).
Le aspirazioni localizzate
Per progettare un’aspirazione localizzata occorre:
Definire le fasi del ciclo produttivo nelle quali sono presenti le emissioni. Si faccia attenzione al fatto che non sempre le emissioni sono visibili ad occhio nudo; polveri e nebbie con diametro inferiore a
10 m sono visibili solo se in concentrazione superiore a 10 mg/m3; alcuni gas potrebbero essere
incolori ma anche quelli colorati si vedono soltanto in concentrazione elevata.
Localizzare l’emissione, individuare la direzione dell’emissione e scegliere il punto di captazione dell’impianto di aspirazione in riferimento alla posizione probabile dei lavoratori; i lavoratori non devono trovarsi lungo il flusso dell’aria dal punto di emissione al punto di captazione.
Localizzare anche i punti, anche se non vi si posizionano stabilmente i lavoratori, in cui avviene l’eventuale evaporazione in ambiente di solvente o altre emissioni dopo la lavorazione (ad esempio, incollaggio, verniciatura, saldatura).
Definire le caratteristiche fisiche dell’emissione (fase, velocità, temperatura).
In caso di aspirazione di agenti chimici infiammabili o esplosivi, occorre tenere conto della normativa sulle atmosfere esplosive (ATEX) nella progettazione dell’impianto di aspirazione.
Definire la possibilità che vi sia una diffusione per aerodispersione o una contaminazione superficiale (polvere che si deposita sulle superfici).
Identificare quali sono i fattori rilevanti che provocano l’emissione e, se possibile, ridurli alla fonte (ad esempio, contenitori di collanti o vernici con apertura ridotta per limitare l’evaporazione del solvente).
Progettare un impianto adeguato sulla base dei parametri evidenziati. Per catturare gli inquinanti, la velocità dell’aria diretta verso la bocchetta di captazione deve essere superiore alla velocità con cui viene emesso l’inquinante. Per raggiungere questo scopo è fondamentale una progettazione corretta delle cappe di aspirazione. La velocità di cattura ottimale dipende da fattori ambientali e dal tipo di inquinante. Le particelle grandi emesse ad alta velocità sono più difficili da catturare mentre gas, fumi e particelle piccole e a bassa velocità seguono più facilmente il movimento dell’aria. La cappa deve essere posizionata il più vicino possibile al punto di emissione; la cappa deve chiudere il più possibile il punto di emissione senza ostacolare il processo produttivo. Le cappe non chiuse richiedono, a parità di efficacia, grandi quantità di aria (e costi maggiori) e sono disturbate da correnti d’aria presenti per altri motivi nel locale di lavoro. L’aspirazione dall’alto è idonea in caso di emissioni da processi a caldo e a condizione che il flusso non intercetti le vie aeree dell’operatore; in questo caso l’estensione della cappa deve essere calcolata in modo che sia più ampia di metà della distanza tra sorgente e cappa. Se possibile, è bene applicare un flangia sul bordo aspirante della cappa (riduce del 25% l’aria necessaria eliminando flussi dalle zone laterali dove non è necessario intervenire). L’angolo tra la zona di ingresso della cappa e il condotto di scarico non deve superare 45°. Nella progettazione bisogna tenere conto delle perdite di carico e della velocità minima per il trasporto nei condotti.
Definire, se possibile, i punti e i criteri di controllo successivo di alcuni parametri da misurare (ad esempio, integrità delle tenute, caduta di pressione nei filtri, efficienza di captazione, indice di decontaminazione, emissione totale)

Si ricordano anche le norme tecniche di riferimento per la funzionalità dei sistemi di aspirazione localizzata (UNI EN 12215 – Cabine di verniciatura per prodotti vernicianti liquidi; UNI EN 12981 – Cabine prodotti vernicianti in polvere; UNI EN 13355 – Cabine forno; UNI EN 12779 – sicurezza delle macchine per la lavorazione del legno – sistemi fissi di estrazione di trucioli e polveri).
Gli impianti di ventilazione devono essere sottoposti a regolare manutenzione e la funzionalità dell’aspirazione deve essere verificata: la norma UNI EN 1093-4 “Rendimento della captazione di un impianto di aspirazione” tratta la valutazione mediante l’uso di traccianti. In alternativa, un metodo semplice è quello di effettuare la misura in prossimità del punto di emissione della velocità dell’aria diretta verso il punto di captazione utilizzando un anemometro e confrontare il valore misurato con la tabella.

Tabella 1: velocità di cattura

Condizioni di
dispersione (polveri, fumi, gas, vapori) ESEMPI Vmin

m/s Vmax

m/s
Rilascio lento, aria
quieta Evaporazione di colle o vernici, nebbie da vasche di
sgrassaggio o galvanica 0,25 0,5
Rilascio a bassa velocità,
aria quasi quieta Verniciatura a spruzzo a bassa pressione, riempimento
contenitori (travaso), nastri trasportatori a bassa velocità, saldatura, stagnatura 0,5 1
Emissione a media
velocità in aria perturbata Verniciatura a spruzzo, polverizzazione, insaccatura
automatica, nastri trasportatori. 1 2,5
Rilascia ad alta velocità
in aria con forti correnti Molatura, sabbiatura 2,5 10
Nota:
I valori minimi (Vmin) indicati in tabella sono appropriati se:
Le correnti d’aria sono minime e favorevoli alla cattura
Sono presenti inquinanti a bassa tossicità
La lavorazione è saltuaria
La cappa è di grandi dimensioni e vi è una grande quantità di aria in movimento
I valori massimi (Vmax) indicati in tabella sono appropriati se: Sono presenti correnti d’aria
Sono presenti inquinanti di elevata tossicità
La produzione è continua
La cappa è piccola

Destino delle sostanze captate dall’impianto di aspirazione
I fumi o le polveri captate dall’impianto possono:
a) essere emessi all’esterno dell’ambiente di lavoro (avendo cura che non possano rientrare nell’ambiente interno attraverso porte e finestre) con o senza depurazione preventiva. L’emissione all’esterno è regolata dalla normativa ambientale ed è necessaria la preventiva autorizzazione da parte dell’Autorità competente.

b) essere riciclati, dopo depurazione, all’interno: questo metodo è largamente sconsigliabile in quanto non vi è mai garanzia assoluta di depurazione ed è comunque necessaria una continua manutenzione degli apparati filtranti. Questi ultimi devono essere in grado di trattenere tutti i materiali pericolosi e non soltanto alcuni. In linea di massima sono utilizzabili convenientemente quelli mobili, soltanto se non è possibile usare un impianto fisso con emissioni all’esterno, in caso di lavori in ambienti confinati e ristretti, occasionali e/o variabili nel tempo, con basse esposizioni a sostanze poco pericolose. Non vanno usati in presenza di cancerogeni (es. polveri di legno duro).

NOTA 2 Nel documento di valutazione dei rischi non è necessario ricopiare ciò che dice la legge e riportare in dettaglio le metodiche di valutazione dei rischi se si adotta il metodo descritto in una linea guida o una norma tecnica

Questa abitudine è inutile, dannosa e talvolta serve soltanto a tentare di giustificare i costi del documento. Viceversa, poiché il datore di lavoro ha facoltà di scegliere il metodo di valutazione quando la norma non prevede una modalità precisa, se NON si tratta di una metodica validata occorre descriverla in dettaglio e dimostrarne la validità e l’applicabilità.

NOTA 3 La valutazione del rischio chimico deve essere effettuata dal datore di lavoro con la collaborazione del RSPP e del medico competente

Questo dettato della norma rientra nei criteri generali di valutazione dei rischi. In questa materia il ruolo del medico competente è fondamentale per gli aspetti tossicologici.

NOTA 4 La consulenza di un chimico “esperto” è opportuna se gli attori della valutazione non sono sicuri di possedere conoscenze specifiche sufficienti sulla materia

La materia è molto difficile perché occorre avere buone conoscenze di igiene industriale, tossicologia e chimica per tradurre la valutazione dei rischi in concrete misure di prevenzione nella realtà aziendale.

NOTA 5 L’uso di software per la valutazione dei rischio chimico da parte di persone non competenti espone a pericolosi errori e quasi sicuramente risulterà insufficiente

Immaginiamo, ad esempio, che la scheda di sicurezza di un prodotto indichi che a contatto con sostanze alcaline si possono sviluppare reazioni pericolose; il datore di lavoro dovrebbe individuare, fra tutti gli agenti chimici presenti nella sua azienda, quali sono quelli che potrebbero determinare queste reazioni per tenerne conto durante l’uso e la conservazione; questa informazione (con la specificazione dei nomi dei prodotti) deve essere trasmessa ai lavoratori perché conoscano i pericoli e le condizioni corrette per tenerli in magazzino e per usarli. La sola dicitura “evitare il contatto con sostanze alcaline”, pur essendo corretta, ha un contenuto insufficiente nella pratica perché sposta l’onere di decidere cosa è incompatibile dal punto di vista chimico sull’utilizzatore della sostanza (lavoratore che non ha adeguata preparazione per farlo). Il datore di lavoro invece ha l’onere giuridico di dare questa informazione e il documento di valutazione deve essere lo strumento con cui gestisce il problema con l’aiuto dei suoi consulenti. Per assicurare che il documento risponda ai requisiti di concretezza e praticità, deve essere esplicitato come si deve effettuare in azienda l’immagazzinamento separato di prodotti incompatibili, quali sono i prodotti incompatibili fra di loro, identificandoli uno per uno con l’indicazione presente sull’etichetta, e come si devono usare gli agenti chimici per evitare reazioni indesiderate.
Nessun software può entrare nel dettaglio operativo dell’azienda in modo così specifico. Poiché il datore di lavoro è comunque responsabile della valutazione, deve accertarsi che i consulenti a cui ricorre siano qualificati per svolgere questo tipo di valutazione, assicurandosi che i termini del contratto con il

professionista siano congrui per ottenere questo risultato. Le principali categorie di incompatibilità possono essere così esemplificate:
Ossidanti – riducenti
Acidi – basi Cianuri – acidi Solfuri – acidi Ipocloriti – acidi
Metalli – acido nitrico
Acetilene – rame
Aria ambiente (umida) – fosfuri
Naturalmente i prodotti commerciali effettivamente presenti devono essere ricondotti a queste categorie in modo che gli operatori abbiano chiara cognizione delle incompatibilità (ad esempio: il prodotto “Xxxx” contenente varecchina (ipoclorito di sodio) è incompatibile con prodotto “Zzzz” contenente acido muriatico (acido cloridrico); infatti, in caso di reazione, si libera cloro gassoso, potenzialmente letale.

NOTA 6 Il termine “ALGORITMO” non esiste nel D.Lgs. 81/08

Riferimento normativo: art. 222 comma 1 lett. h); art. 223 del D.Lgs. 81/08

Molte linee guida, alcune aggiornate al D.Lgs. 81/08, altre no, utilizzano algoritmi implementati in appositi software per effettuare la valutazione. Anche documenti della Comunità Europea sono dedicati all’uso di algoritmi. Il testo unico lascia al datore di lavoro ampia libertà di scelta sui metodi da utilizzare per la valutazione dei rischi e non usa mai il termine algoritmo; il che significa che l’uso dell’algoritmo è possibile, anzi è consigliato, ma ciò che conta è che siano completamente rispettati tutti i criteri previsti dall’art.
223 per effettuare la valutazione, cosa che non è completamente vera per tutte le linee guida pubblicate da vari enti (soprattutto quelle non aggiornate). La linea guida della Regione del Veneto, al momento non ancora aggiornata al D.Lgs. 81/08, lascia la scelta del metodo al datore di lavoro, citando anche linee guida di altre regioni, poiché mira prioritariamente al risultato principale della valutazione che è la protezione dei lavoratori. L’uso dell’algoritmo (e del software) deve essere comunque effettuato con cognizione di causa da parte di persona esperta della materia. In altri paragrafi saranno precisati possibili inconvenienti di un uso indiscriminato degli algoritmi di valutazione. In questa sede ci soffermiamo soltanto su un aspetto, in parte applicabile anche alla misura ambientale degli inquinanti aerodispersi. L’art. 222 contiene la definizione di rischio = “probabilità che si raggiunga il potenziale nocivo nelle condizioni di utilizzazione o di esposizione”. Ciò corrisponde molto bene a quanto si fa per la valutazione del rischio rumore per gli effetti uditivi: la misura del rumore in dBA e del tempo di esposizione a rumore permette di calcolare il livello equivalente di esposizione a rumore (LEX) e di predire la probabilità di ipoacusia (vedi anche la norma ISO
1999) e quindi si può affermare che la misura del rumore permette di quantificare il rischio (limitatamente
agli effetti uditivi). Per gli agenti chimici la questione è un po’ più complicata perché i pericoli sono molteplici, possono cambiare per lo stesso agente in funzione della concentrazione, della via e del modo di esposizione, per cui un unico numero prodotto dall’algoritmo (e anche da una misura ambientale) riferito a più sostanze con effetti diversi e su diversi apparati NON esprime la probabilità di un effetto specifico (rischio, cioè probabilità, di che cosa ?) ed è privo di significato clinico tossicologico anche se può creare una
scala empirica di priorità (… ma poi bisogna trarne le conseguenze e non fermarsi alla stima).

E’ ben vero anche che l’ACGIH definisce un TLV miscele ma le indicazioni prevedono di utilizzare la formula per il calcolo limitatamente a sostanze che agiscono sullo stesso organo o sistema bersaglio confrontando i valori misurati con i TLV delle sostanze (ma anche i TLV sono costruiti su specifici effetti patologici); non ha

senso valutare insieme un irritante delle vie aeree con un epatotossico perché il risultato non esprimerebbe né il rischio di epatopatia, né il rischio di irritazione e nemmeno un effetto clinico cumulativo delle due sostanze (che non esiste). Il massimo che si può fare con un unico indicatore è escludere che ci sia un qualsiasi effetto patologico (quindi giungere alla valutazione di rischio irrilevante per la salute) ma forse non vale la pena di produrre enormi volumi di carta soltanto a questo scopo quando è evidente che il rischio non può essere irrilevante nelle normali condizioni di utilizzo se il prodotto è classificato come pericoloso. A parte questo aspetto, la valutazione rischio (nel senso di stima della probabilità di concretizzare il danno) è da riferire ad ogni specifica modalità di interazione fra l’agente chimico e il lavoratore, indicando qual è lo specifico pericolo che si può concretizzare, distinguendo, inoltre, tra rischi per la salute e rischi per la sicurezza.

NOTA 7 Prima di iniziare la valutazione è necessario individuare e quantificare tutti gli agenti chimici presenti

Riferimento normativo: art. 223 comma 1 primo capoverso e lett. d)

Sanzione prevista: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro

Con il termine presenti non si devono intendere soltanto i prodotti acquistati e utilizzati nel ciclo produttivo ma anche quelli che ci sono nell’ambiente di lavoro a qualsiasi titolo (ad esempio prodotti confezionati e tenuti in magazzino o destinati alla sola vendita, prodotti impiegati per la pulizia dei locali che non hanno nulla a che fare con l’attività produttiva); questi ultimi possono essere noti, confezionati o no, oppure non noti perché si possono formare durante la produzione in modo più o meno prevedibile (vedere anche punto successivo).
Per quanto riguarda la quantificazione, è abbastanza facile per i prodotti acquistati che sono all’interno di
un ciclo produttivo; nel caso di agenti presenti come prodotto della lavorazione, la quantità si può ipotizzare sulla base di altri parametri produttivi noti. Si ricorda però che l’aspetto quantitativo deve essere riferito, in fase di valutazione, alla persona esposta (è una valutazione che deve essere antropocentrica, come quella del livello equivalente nel caso del rumore).
Un caso molto particolare che ha già dato luogo ad infortuni mortali è connesso alla presenza di METANO nell’acqua emunta dal sottosuolo in pianura padana; il metano può accumularsi nei serbatoi ove viene conservata con il conseguente rischio di esplosione.

NOTA 8 Tra gli agenti presenti occorre considerare quelli che si formano durante il processo produttivo, di cui si può ignorare l’esistenza finché non ci si domanda se “nelle condizioni di produzione, si possono formare altri agenti chimici”

Vedere anche nota 7. Si devono considerare varie possibilità:
Altri agenti chimici pericolosi si formano regolarmente durante il processo produttivo come prodotto di reazione.
Altri agenti chimici si possono formare per eventi accidentali o comunque in modo non regolare (es. INCENDIO, miscelazione impropria di acidi con basi, dissoluzione e diluizione di acidi o basi con forte innalzamento di temperatura, sostanze acide a contatto di soluzioni di cianuri, solfuri, fosfuri etc.).
Altri agenti vengono deliberatamente prodotti in loco e non acquistati (es. azoto prodotto con generatore a membrana e non acquistato in bombole)

Questo è uno dei motivi che richiede la presenza di un esperto di chimica e di igiene industriale perché non sempre le schede di sicurezza riportano le informazioni in tal senso (ma si possono trovare indicazioni sui principali prodotti di degradazione in caso di combustione o di altro evento accidentale con reazioni chimiche indesiderate). Può anche succedere che il preparato acquistato non sia nemmeno classificato come pericoloso (ad esempio gli oli lubrificanti dei motori) e che gli agenti pericolosi, talvolta anche cancerogeni, si formino per surriscaldamento o altri processi di degradazione durante la lavorazione.
Ove esista il dubbio, si ritiene necessario valutare il prodotto, anche con opportune analisi chimiche, nelle varie fasi di impiego, al fine di determinare la presenza e la quantità di tali agenti. A puro titolo di esempio si citano alcune situazioni tipiche:
Olio lubrificante motori, oli da taglio: con l’uso ad alta temperatura possono dare luogo a idrocarburi policiclici aromatici (IPA) classificati come cancerogeni
Plastica alla temperatura di lavorazione in pressofusione o a temperature più elevate in caso di malfunzionamento.
Colle termo-fondenti alla temperatura di utilizzo emettono gas (es. aldeidi), vapori e fumi
Resine termoplastiche e termoindurenti che alla temperatura di lavorazione emettono gas, vapori e fumi (aldeidi, monomeri, prodotti vari di pirolisi)
Elettrodi di saldatura con emissioni che dipendono: dall’elettrodo, dal tipo di materiale saldato, dalla presenza di residui di verniciatura, oli residui di lavorazione
Agenti chimici non classificati come pericolosi che possono comportare un rischio a causa delle loro proprietà chimico fisiche o del modo in cui sono utilizzati (es. in recipienti sotto pressione).
La Formaldeide può essere presente in ampia gamma di prodotti, ad esempio adesivi, sigillanti, cosmetici, prodotti per la pulizia, biocidi, cere, polimeri (come monomero libero o come prodotto di degradazione), stucchi, inchiostri, toner, intonaci, plastilina.
Infine si deve ricordare quanto recepito dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i. relativamente alle novità introdotte dal
regolamento REACH.: “L’etichetta tiene conto di tutti i pericoli potenziali connessi con la normale manipolazione ed utilizzazione delle sostanze e dei preparati pericolosi nella forma in cui vengono commercializzati, ma non necessariamente nelle altre possibili forme di utilizzazione finale, ad esempio allo stato diluito …”. (Dell’ultima frase si tenga conto anche in fase di individuazione dei pericoli, che potrebbero non essere indicati nell’etichetta e nella scheda di sicurezza!). Ad esempio, la diluizione può modificare le proprietà pericolose e la conseguente etichettatura (di solito in riduzione). Nel caso di discioglimento di un solido, invece, i rischi derivanti possono non essere riportati nella classificazione: i Sali disciolti in acqua possono dare reazione neutra (es. cloruro di sodio - NaCl), reazione acida (solfato ferroso
–Fe SO4; bifluoruro di ammonio – NH4HF2) o reazione basica (solfuro di sodio – Na2S; acetato di sodio –
CH3COONa); di ciò si deve tenere conto quando si valuta la incompatibilità tra gli agenti chimici (vedere anche nota 5). Per esempio una soluzione di cianuro non deve venire a contatto con una soluzione di solfato ferroso (che ha caratteristiche acide) perché si può liberare gas acido cianidrico che si disperde in aria con rischio di gravi intossicazioni (anche letali).

NOTA 9 Prima di iniziare la valutazione è necessario acquisire le schede di sicurezza aggiornate

Riferimento normativo: art. 223 comma 1 lett. b)

Sanzione prevista: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro

Attualmente le schede sicurezza (SDS) devono avere una struttura aggiornata al Regolamento N. 1907/2006 (REACH) e s.m.i.. Lo stato di aggiornamento è indicato sulla scheda. La classificazione degli agenti deve essere aggiornata all’ultimo “Aggiornamento al Progresso Tecnico (ATP)” in materia di classificazione.

Per le sostanze pericolose immesse sul mercato in quantitativi superiori a 10 t/anno, il produttore fornisce la scheda di sicurezza estesa con allegati gli scenari di esposizione (sds-e) che possono essere di ulteriore supporto in fase di valutazione di fasi specifiche di lavorazione.
Le schede di sicurezza devono essere messe a disposizione dei lavoratori.

NOTA 10 L’uso dell’agente chimico deve essere quello indicato tra gli usi pertinenti previsti nella sezione
1 – sottosezione 1.2 della SDS. Inoltre devono essere evitati gli usi sconsigliati, se presenti nella stessa sezione

Ciò vale indipendentemente dai casi in cui è previsto che siano definiti scenari di esposizione in cui è obbligatoria la sds-e.

NOTA 11 Se sono previsti gli scenari di esposizione, è possibile utilizzare l’agente chimico esclusivamente nelle condizioni di esposizione descritte negli scenari

In presenza di scenari riportati nella sds-e, le modalità di uso possibili sono soltanto quelle previste dagli scenari. Se l’utilizzatore a valle vuole usare l’agente chimico con altre modalità deve richiedere al produttore/distributore di inserire tale previsione nella sua scheda di sicurezza oppure deve eseguire una propria CSA (chemical safety assessment) e predisporre un proprio CSR-DU (chemical safety report- downstream user) per sostenere il proprio uso.

NOTA 12 Gli agenti chimici pericolosi da valutare comprendono:
a. Le sostanze e le miscele classificati come pericolosi
b. Le sostanze e le miscele che, pur non essendo classificati, rispondono ai criteri di classificazione come agenti chimici pericolosi
c. Gli agenti chimici che, pur non rispondendo ai due punti precedenti, possono comportare un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori (compresi gli agenti a cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale – VLEP)

Riferimento normativo: art. 222; art. 223 comma 1

Sanzione prevista: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro

In primo luogo occorre precisare che la mancanza di indicazioni di pericolo sulla confezione non esclude con certezza l’agente dalla valutazione come agente chimico pericoloso; si deve anche ricordare che il campo di applicazione delle norme sull’etichettatura (Regolamento Europeo N. 1272/2008 del 16 dicembre
2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele - CLP)
NON comprende le sostanze e le miscele seguenti, allo stato finito destinati all'utilizzatore finale:
specialità medicinali ad uso umano o ad uso veterinario;
prodotti cosmetici;
miscele di sostanze in forma di rifiuti;
prodotti alimentari; alimenti per animali; antiparassitari; sostanze radioattive;
altre sostanze o preparati per i quali esistono procedure comunitarie di notifica o di approvazione
sulla base di requisiti equivalenti a quelli stabiliti dai decreti sull’etichettatura

al trasporto delle sostanze e preparati pericolosi per ferrovia, su strada, per via fluviale, marittima o aerea;
alle sostanze e preparati in transito soggetti a controllo doganale quando non siano oggetto di trattamento o trasformazione.
In situazione lavorativa, ad esempio quando lo stato non è finito, o in altre condizioni di esposizione dei lavoratori, si applica comunque la normativa sulla sicurezza sul lavoro per cui gli agenti chimici presenti in queste sostanze o miscele devono essere inclusi nella valutazione del rischio se ricadono nella definizione dell’art. 222 (fumo passivo di sigaretta in ambiente di lavoro, fumi di saldatura, polvere di legno tenero, allergeni di natura biologica come, ad esempio, gli acari della farina che non rientrano, al contrario di quello che si potrebbe credere, nel rischio biologico non essendo endoparassiti).
Inoltre bisogna ricordare che gli agenti cancerogeni e mutageni, di categoria 1A e 1B, che rientrano nella valutazione del rischio prevista dal titolo IX capo II, potrebbero avere anche rischi di natura chimica da valutare in questa sede. Ad esempio la formaldeide (cancerogeno cat. 1B) è anche classificato mutageno (cat 2) e tossica per via cutanea e inalatoria … per questi rischi deve essere inserita anche nella valutazione del rischio chimico

NOTA 13 Per effettuare la valutazione si devono prendere in considerazione le informazioni contenute nelle schede di sicurezza per le sostanze pericolose

Riferimento normativo: art. 223 comma 1 lett. b)

Sanzione prevista: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro

Le schede di sicurezza contengono molte informazioni utili e necessarie per la valutazione dei rischi e per la definizione delle misure di prevenzione e protezione. Soprattutto con le modifiche introdotte dal Regolamento N. 1907/2006 (REACH) e s.m.i. e con l’adozione del Regolamento Europeo N. 1272/2008 (CLP), le informazioni sono molto più dettagliate che in passato e prendono in considerazione effetti acuti o cronici e vie di esposizione

NOTA 14 Per effettuare la valutazione si devono prendere in considerazione le proprietà pericolose degli agenti chimici

Riferimento normativo: art. 223 comma 1 lett. a)

Sanzione prevista: arresto da tre a sei mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro

Note: Il fatto che sia previsto questo adempimento, separatamente dal riferimento alla scheda di sicurezza (lett. b dello stesso comma), specifica che la consultazione delle schede di sicurezza è necessaria ma non sufficiente, anche se il nuovo regolamento CLP agevola molto di più il valutatore rispetto alla precedente classificazione dei pericoli. Ciò si collega anche alla previsione dell’art. 2087 del codice civile, come presupposto di responsabilità in caso di danno per il lavoratore.


a) Come si concretizzano i pericoli per la salute
i) Meccanismo di azione: i prodotti pericolosi non determinano effetti generalizzati e casuali ma, in base alle loro caratteristiche chimico-fisiche, interagiscono con strutture ben determinate dell’organismo e con modalità tipiche di ogni sostanza. Le conseguenze che si determinano sono, in genere, proporzionali all’esposizione, di tipo e grado simile in tutti gli individui esposti (salvo modeste variazioni individuali) e prevedibili una volta che la sostanza sia stata studiata dal punto di vista tossicologico. Ad esempio, l’assunzione di alcool etilico determina in tutti i soggetti (con piccole variazioni individuali) una sintomatologia acuta e progressiva caratterizzata da euforia, turbe dell’equilibrio, ebbrezza, coma, morte, man mano che aumenta la dose introdotta. Si differenziano da questo modello i cancerogeni, in quanto il tumore, una volta iniziato, è sempre una malattia che evolve in modo indipendente dalla dose, e le allergie e le idiosincrasie perché soltanto alcuni soggetti presentano alterazioni patologiche se esposti a quantità di sostanza che ad altri non provocano alcun disturbo.
ii) Effetti tossici acuti e cronici: gli effetti sull’organismo dipendono anche dalle modalità con cui avviene l’esposizione in relazione a due fattori inversamente proporzionali: dose e tempo. Dosi elevate in tempi brevi determinano gli effetti acuti mentre dosi minori per tempi più lunghi determinano effetti cronici che possono manifestarsi anche su organi diversi da quelli colpiti nell’intossicazione acuta. Per usare un esempio familiare a tutti, mentre una dose elevata di vino in tempi brevi provoca l’ubriachezza (sistema nervoso centrale) e poco o nulla al fegato, l’assunzione per anni di quantità elevate ma non sufficienti a determinare l’ubriachezza può provocare la cirrosi (fegato).
iii) Organo bersaglio o organo critico: per ogni sostanza sufficientemente studiata, sono noti gli organi che vengono interessati per primi in caso di intossicazione acuta o cronica. L’organo bersaglio o critico è quello che per primo e a dosi più basse mostra segni di alterato funzionamento perché è stata superata la capacità di autoregolazione dell’organismo. Riassumendo, in caso di esposizione a qualsiasi tipo di sostanza, l’organismo è in grado di mantenere il suo stato fino a quando la quantità introdotta è sufficiente a superare i meccanismi di compenso nell’organo più debole; a questo punto iniziano le manifestazioni patologiche. In altre parole, la quantità di sostanza che esercita l’effetto nocivo è una piccola percentuale di quella introdotta ma che riesce a pervenire nell’organo critico in quantità sufficiente.
iv) La biotrasformazione: quando una sostanza estranea entra per qualsiasi via nell’organismo subisce alcune modificazioni (prevalentemente da parte del fegato) e viene trasformata in prodotti più semplici e facilmente eliminabili attraverso la bile, l’urina, il sudore etc (attraverso i cosiddetti organi emuntori). Una parte delle sostanze introdotte nell’organismo può anche essere eliminata senza modificazioni nelle urine o, se si tratta di prodotti volatili, con l’aria espirata. Alcune delle sostanze che derivano dal metabolismo, che per questo motivo vengono chiamate metaboliti, sono più pericolose delle stesse sostanze dalle quali hanno avuto origine e, in questi casi, sono le vere responsabili degli effetti tossici.

v) Relazione con l’esposizione: come si può facilmente intuire, la quantità di sostanza che può giungere all’organo bersaglio e l’effetto che questa determina dipendono da numerosi fattori:
(1) Le caratteristiche tossicologiche, chimiche e fisiche intrinseche della sostanza o dei
suoi metaboliti pericolosi: la pericolosità intrinseca di una sostanza dipende da una parte dall’importanza vitale dell’organo che viene colpito dal suo specifico effetto tossicologico (connesso alla struttura chimica e allo stato fisico della sostanza) e dall’altra dalla quantità necessaria perché l’effetto si manifesti. Il cianuro è considerato più pericoloso dell’alcool etilico perché blocca alcune funzioni vitali delle cellule mentre l’alcool deprime più blandamente la funzione dei neuroni; inoltre il cianuro è letale per esposizione a pochi milligrammi mentre l’alcool deve essere introdotto in quantità molto maggiore per esercitare qualche effetto. La struttura chimica e lo stato fisico della sostanza sono importanti anche nel determinare l’assorbimento e la diffusione all’interno dell’organismo dell’agente chimico.
(2) Polveri: per le polveri, oltre alle caratteristiche tossicologiche, occorre valutare anche la granulometria (cioè la dimensione dei granelli). Le vie aeree hanno un andamento tortuoso e si comportano come un filtro centrifugo: i granelli più grossi, a causa della loro massa e velocità, non sono in grado di seguire questo percorso e si impattano sulle pareti (quelli più grossi già nelle cavità nasali); possono pervenire agli alveoli polmonari soltanto le polveri respirabili che hanno diametri inferiori a 10 (un micron
= un milionesimo di metro, cioè un millesimo di millimetro). Per le particelle a struttura
fibrosa (es. amianto), le caratteristiche aerodinamiche dipendono dalla tortuosità delle fibre e dal rapporto lunghezza/larghezza; possono giungere agli alveoli soltanto le fibre che hanno una lunghezza superiore a 5 e una larghezza inferiore a 3 e in cui il rapporto lunghezza/larghezza è superiore a 3:1. Se l’azione dannosa si esercita esclusivamente a livello polmonare, si deve tenere conto principalmente delle polveri respirabili. In alcuni casi (polveri di legno e cuoio, amianto, particolati di saldatura etc.) sono possibili anche effetti sulle prime vie aeree (tumori dei seni paranasali, ulcerazioni, emorragie); per la valutazione di questi rischi si dovrà tenere conto delle polveri totali. I trucioli e le particelle di dimensioni tali da non essere aerodisperse non fanno parte delle polveri.
(3) La concentrazione della sostanza in un prodotto o nell’aria: è intuitivo che più è alta la
concentrazione più facilmente vengono introdotte nell’organismo quantità maggiori di sostanze potenzialmente nocive. Per gas, vapori etc può essere indicata in mg/mc o in ppm (parti per milione) mentre per le polveri (totali o respirabili) può essere usato un criterio numerico (fibre/litro o fibre/cc) o gravimetrico (mg/mc). Nel caso di polveri contenenti quarzo, deve essere indicato il contenuto percentuale in silice libera cristallina. La misura deve essere effettuata tenendo conto del sito di azione; ad esempio, per le polveri di legno si misurano le polveri inalabili (sede di azione = mucosa del naso) mentre per le polveri silicee si misura la frazione respirabile (sede di azione = alveolo polmonare); in altri casi è più appropriata la frazione toracica (sede di azione = tutto il parenchima polmonare).
(4) La via di somministrazione: dal punto di vista professionale le vie di esposizione più importanti sono quella respiratoria e quella cutanea. L’apparato digerente è coinvolto soltanto in caso accidentale o per inosservanza delle norme igieniche. La via parenterale (iniezioni) è improbabile per esposizioni professionali.

(5) Le caratteristiche dell’individuo esposto: le caratteristiche dell’individuo sono molto importanti per valutare la suscettibilità agli agenti nocivi. A prescindere dalle allergie, dalle idiosincrasie e da situazioni di maggior suscettibilità per condizioni genetiche, occorre considerare la presenza di situazioni patologiche o fisiologiche che, a parità di concentrazione ambientale, producono un maggior assorbimento e, di conseguenza, una dose maggiore a livello dell’organo critico. L’alterazione della cute può influire sulla capacità di quest’ultima di impedire l’assorbimento di alcune sostanze. Per gli inquinanti aerodispersi è importante la quantità di aria introdotta nei polmoni per ogni minuto. Un soggetto sano che svolge un’attività fisica leggera introduce circa 7-8 litri di aria al minuto nei polmoni (Volume corrente = 500 cc per ogni atto inspiratorio; frequenza respiratoria = circa 16 atti al minuto). La quantità di sostanza nociva aerodispersa introdotta nei polmoni è proporzionale al volume corrente, alla frequenza del respiro e alla concentrazione della sostanza nell’aria.
Esistono cause fisiologiche e patologiche che possono far aumentare la ventilazione
(lavoro pesante, cardiopatie, gravidanza etc) e, di conseguenza, l’esposizione a parità di condizioni ambientali. Questi fattori devono essere valutati nel giudizio di idoneità dell’individuo ma anche nella valutazione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro. Altre caratteristiche dell’individuo possono influenzare la distribuzione della sostanza (ad esempio la quantità di tessuto adiposo) o possono determinare una suscettibilità maggiore.
(6) Le allergie e le idiosincrasie: alcune persone, per predisposizione ereditaria, reagiscono ad una o più sostanze con cui vengono a contatto in modo diverso dalla generalità dei soggetti. In alcuni casi il motivo è metabolico, cioè il prodotto chimico introdotto nell’organismo viene eliminato con processi diversi che portano alla formazione di metaboliti tossici che non si formano negli altri individui; in questo caso si parla di idiosincrasia. Per alcune persone il meccanismo è immunologico e coinvolge in modo anomalo il nostro apparato difensivo contro le infezioni (sistema immunitario). In genere esiste un periodo di esposizione asintomatico, di durata variabile, durante il quale il soggetto predisposto sviluppa la sensibilizzazione (aumento di linfociti e/o anticorpi); a questo fa seguito, in caso di riesposizione, la manifestazione clinica conclamata. Sono di interesse professionale prevalentemente due tipi di allergie o ipersensibilità che possono coesistere nello stesso soggetto:
(a) Di tipo immediato: sono prevalentemente dovute alla produzione di anticorpi di
tipo IgE; i sintomi si manifestano poco tempo dopo il contatto e possono consistere in orticaria, edema di Quincke, asma, shock anafilattico. Nei casi più gravi può esservi la morte, anche in presenza di esposizioni bassissime ed innocue per i soggetti normali.
(b) Di tipo ritardato: sono prevalentemente dovute all’attivazione dell’immunità cellulare. I disturbi si manifestano anche dopo 48-72 ore dal contatto; un esempio è la dermatite da contatto (eczema).
(7) Le differenze di genere: alcune sostanze o miscele hanno una pericolosità che può dipendere dal genere (maschile o femminile) della persona esposta; rientrano tra queste, ad esempio, le sostanze tossiche per il sistema riproduttivo (H360-H361-H362) e gli interferenti endocrini.

(8) La soglia olfattiva: in linea di massima non esiste relazione tra soglia olfattiva e limiti di esposizione; alcune sostanze hanno una soglia olfattiva più elevata del limite di esposizione mentre altre possono essere percepite a bassissima concentrazione, molto al di sotto di livelli pericolosi. Tuttavia è da evitare la presenza di soggetti con anosmia (incapacità di percepire gli odori) dove questo rappresenta un rischio di non avvertire una situazione pericolosa. In alcuni casi si avvertono gli odori a bassa concentrazione mentre a concentrazione più alta (pericolosa) l’odore non si percepisce più: è questo il caso dell’idrogeno solforato (H2S). Si ricorda infine che la capacità di percepire gli odori varia molto da individuo a individuo.
La patologia neoplastica (tumori): in questa sede si ricorda soltanto che l’esposizione non è proporzionale alla gravità dell’effetto ma alla probabilità che la malattia compaia. Ad esempio, chi fuma 40 sigarette al giorno ha una probabilità di tumore al polmone superiore a chi ne fuma 20 e di molto superiore ai non fumatori; tutti però possono avere il tumore e la sua gravità non è proporzionale alla quantità di sigarette fumate.
Si ricorda che le sostanze e le miscele classificate secondo CLP cancerogeni di categoria 2 (H351) non rientrano nelle previsioni del Titolo IX capo II (Cancerogeni) del DLgs 81/08 ma devono essere valutati nell’ambito del rischio chimico.
Buona parte delle proprietà pericolose deve essere valutata assieme al medico competente che ne trarrà vantaggio anche per la definizione dei criteri della sorveglianza sanitaria mirata agli effetti critici sull’organo bersaglio di ciascun agente. Ciò vale soprattutto quando le informazioni nella scheda hanno un carattere generale; ad esempio, la dicitura “H372 - provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta” deve essere concretizzata: quali sono gli organi critici ?(cioè quelli che per primi risentono degli effetti tossici, per quali dosi e vie di esposizione, in quali tempi si manifesta la tossicità, etc…). Queste informazioni sono utili allo stesso medico competente per la sorveglianza sanitaria che, non a caso, è “mirata”, nel senso che non solo il protocollo di eventuali esami strumentali e di laboratorio ma anche l’anamnesi e l’esame obiettivo (visita) devono essere mirati a trovare precocemente i primi segni di una possibile malattia. Le stesse nozioni sono necessarie per informare e formare correttamente i lavoratori. Anche dal punto di vista dell’infortunio chimico, devono essere ben chiare le possibili conseguenze di un contatto accidentale per individuare correttamente le misure da adottare. Nelle attività già avviate, la consultazione del registro infortuni può essere utile per identificare situazioni di possibili incidenti chimici. Esistono molte fonti informative e banche dati con informazioni tossicologiche, alcune on line e gratuite (citiamo ad esempio, TOXNET), che possono essere consultate e sintetizzate dal medico del lavoro per inserirle nel documento di valutazione dei rischi. Ad esempio, la scheda di sicurezza di un insetticida riporta la presenza di oli minerali raffinati ( 480 minuti, se possibile evitarlo con procedure di lavoro adeguate. Vanno considerati a questo scopo i dati forniti dal produttore sulla coppia guanto / agente chimico. Attenzione al fatto che il tempo di permeazione misurato in laboratorio potrebbe non corrispondere al tempo di protezione effettiva in determinate condizioni di uso (ad esempio se c’è usura meccanica).
OCCHIALI PROTETTIVI (vedere anche nota 23)
Sulla montatura, in posizione predeterminata deve essere presente il codice:
3 - per la protezione da schizzi di liquidi
4 - per la protezione da granuli di polvere di grandi dimensioni
5 - per la protezione da polveri fini e gas
Si ricorda che, per i DPI di III categoria, è obbligatorio l’addestramento (APVR, alcuni tipi di guanti e indumenti, occhiali protettivi.

NOTA 30 Il D.Lgs. 81/08 definisce i Valori Limite di Riferimento obbligatori per il confronto dell’esposizione inalatoria ad agenti chimici pericolosi (Allegato XXXVIII) e ad agenti cancerogeni e mutageni (Allegato XLIII)

Per gli agenti chimici non compresi in questi allegati si può fare riferimento agli OELVs (Occupational Exposure Limit Values) dello S.C.O.E.L. (Scientific Committee on Occupational Exposure Limit), a quelli definiti dagli altri Stati dell’Unione Europea, a quelli indicati da organismi riconosciuti internazionalmente come ECHA, ACGIH, NIOSH E OSHA.

Note e fonte: 
La check list e tratta dal lavoro fatto dal GRUPPO REGIONALE RISCHIO CHIMICO E CANCEROGENO nel Piano Regionale della Prevenzione 2014-2018 - Progetto 7.2 con Coord. Dr. Teresio Marchì e con Rev.: 17/11/2016

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