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Danni Per Esposizione Prolungata Ai Led
- ILLUMINAZIONE
- by Testo Unico Sicurezza staff
- 13.12.2022
Anche le lampadine al led finisco sul banco dell’accusa: secondo uno studio francese, infatti, sono dannose per la vista. La fototossicità dei diodi emettitori di luce a dosi molto elevate è già stata documentata e provata, ma questa nuova ricerca condotta da Arthur Krigel e pubblicata su Elzevier, mirava a testare la tossicità del led allo stesso livello di luminosità che viene utilizzata quotidianamente in case o luoghi di lavoro. Nell’Unione Europea, ed in Italia, la radiazione ottica è considerata nella direttiva bassa tensione (LVD), applicata ai prodotti elettrici operanti a tensione alternata 50 – 1000 V o tensione continua 75 – 1500 V. La direttiva LVC richiede il rispetto della norma IEC 62471 rinominata EN 62471:2008 ed il suo rispetto permette l’apposizione del marchio CE e la vendita nel mercato Europeo Non di rado si legge della pericolosità dei LED per la nostra vista. Il pericolo sarebbe dato dalle piccole dimensioni della sorgente che porta a luce molto concentrata e dallo spettro d’emissione che ha un picco nel blu dannoso per l’occhio. Vorrei analizzare in dettaglio come stanno realmente le cose, grazie anche alle pubblicazioni di Leslie Lyons, membro dei comitati BSI, IEC e TS76 sulla sicurezza dalle radiazioni ottiche e sistemi laser, da cui ho tratto questo mio articolo che ho diviso in tre parti per la vastità degli argomenti. Lo studio è stato svolto testando per 24 ore quattro livelli di luminosità su due tipi di topi, per misurarne la degenerazione dei fotorecettori. Come riporta Le Monde, che ha dedicato un servizio di analisi alla ricerca, l’esposizione a livelli molto elevati (6000 lux) della luce emessa dai diodi, conferma quanto studi precedenti dicevano: il grande numero di danni, sia nei ratti albini che sui ratti non albini. La novità sta negli effetti con livelli di illuminazione inferiori. A differenza di altri tipi di fonti di luce testate (lampade fluorescenti, tubi fluorescenti a catodo freddo), la squadra ha trovato una perdita dei fotorecettori nei ratti non albini dopo una prolungata esposizione di ventiquattro ore. La squadra quindi ha sottoposto i due tipi di ratti all’esposizione ciclica per periodi di una settimana e un mese, alternando 15 ore di illuminazione con 12 di buio. Dopo trenta giorni, solo i ratti albini, i cui occhi sono più sensibili e fragili, hanno mostrato una perdita dei fotorecettori. I topi “normali”, invece hanno subito lesioni solo da una luminosità di almeno 1500 lux, un livello tre volte superiore all’esposizione media dell’uomo. Inoltre, le lesioni ai ratti albini riguardano principalmente le luci blu e verdi emesse dal diodi. I ratti esposti a 500 lux di una luce bianca emessa dai Led, invece, non hanno registrato alcuna differenza con i topi del gruppo di controllo. Il dato più interessante dello studio è dunque la degenerazione vista nei ratti “normali”, quando vengono esposti per ventiquattro ore. Un dato che potrebbe essere da non sottovalutare per chi lavora per lunghi turni in ambiente costantemente illuminati a led. Sembra che la luce emessa dai led sia più dannoso che altri tipi di illuminazione quando l’esposizione è prolungata e le pupille si dilatano per l’esperienza. Anche se è troppo presto per delle conclusioni sui rischi reali della tecnologia a led sui nostri occhi, questi risultati indicano un fastidio superiore rispetto ad altre tecnologie di illuminazione, in particolare con l’esposizione prolungata. Come ricordato dagli autori, molti fattori influenzano l’esposizione e la fototossicità di luce (il diametro delle pupille, la geometria del volto, la frequenza e l’intensità, la durata dell’esposizione, età o il colore dell’iride). Essi sottolineano inoltre che l’esposizione alla luce prodotta dai Led non è stata oggetto di numerosi studi. Ulteriori ricerche saranno necessarie per chiarire gli effetti di questo tipo di illuminazione sull’occhio umano. Sono tre gli scenari da prendere in considerazione: esposizione della pelle, della superficie esterna dell’occhio (cornea, congiuntiva e lenti) e della retina. Una parte della luce che incide sulla pelle è riflessa, la restante è trasmessa attraverso l’epidermide ed il derma. I rischi principali sono nell’esposizione agli UV, i quali come gia detto danneggiano il DNA dando origine ai familiari eritemi e scottature. Gli UV causano anche la produzione di radicali liberi i quali possono attaccare il DNA e le altre cellule della pelle come il collagene, proteina che da elasticità alla pelle. Se danneggiata causa elastosi e la formazione di macchie ed invecchiamento precoce della pelle. Dopo ripetute esposizioni agli UV la pella attiva un meccanismo di protezione: l’inspessimento degli strati superiori che riduce la trasmissione degli UV e la produzione di melanina che assorbe gli UV oltre a rendere la pelle più scura (abbronzatura).L’esposizione delle strutture superficiali dell’occhio hanno una risposta analoga alla pelle. Il rischio principale è dati dai raggi UV che possono causare fotocheratite. E’ una risposta infiammatoria, simile alla scottatura, che si verifica nella cornea e nella congiuntiva. Un altro danno possibile è la caratta da UV delle lenti mentre frequenti ed elevati livelli di esposizione agli IR possono causare la cataratta da infrarosso.I danni alla retina si hanno solo con raggi tra i 300 nm ed i 1400 nm. Il danno dominante per esposizioni superiori ai 10 secondi è quello fotochimico da luce blu (fotoretinite), dovuto alla produzione di radicali liberi che danneggiano sia i fotoricettori che l’epitelio pigmentato retinico (RPE – uno strato di cellule sulla superficie esterna della retina che supporta la funzione dei fotorecettori). Per esposizioni di pochi secondi prevale il rischio da interazione termica la quale può causare la denaturizzazione di proteine e componenti chiave della retina.L’occhio ha diversi meccanismi di protezione ma solo dalla luce visibile. Questi includono la chiusura della palpebra e la restrinzione della pupilla, assicurando che la retina non sia esposta di continuo. Nel 2006 la IEC adotta le linee guida della CIE S009/E-2002 e pubblica assieme alla CIE la IEC 62471:2006 “Sicurezza fotobiologica delle lampade”. Nel 2008 esce la versione europea, EN 62471:2008. La norma fornisce le linee guida per la valutazione e il controllo dei rischi fotobiologici derivanti da tutte le lampade e apparecchi di illuminazione alimentati elettricamente, compresi i LED, nella gamma di lunghezze d’onda da 200 nm a 3000 nm. Sicurezza di prodotto: la determinazione del gruppo di rischioArgomento di rilevanza primaria, causa dell’aspetto puntiforme e l’elevata intensità luminosa dei LED di ultima generazione, è la sicurezza fotobiologica connessa alla tutela della salute degli utilizzatori, ovvero la tutela nei confronti della nostra retina affinché non subisca una lesione irreversibile a causa di una sorgente luminosa fissata per un tempo considerevole.Priorità assoluta per le aziende è riuscire a determinare il gruppo di rischio del proprio prodotto con metodi e strumenti che i costruttori possano permettersi senza oneri elevatissimi per acquisto di strumentazione estremamente professionale come era richiesto dalla EN 62471. Generalmente in condizioni di utilizzo ragionevolmente normali il Gruppo di Rischio è sempre al di sotto del Gruppo 2, ovvero livello per cui esiste un “potenziale effetto dannoso” e quindi deve essere appropriatamente segnalato e marcato.Novità in tal senso sono arrivate alla fine del 2012 con il recepimento del TR 62778 “Application of IEC 62471 for the assessment of blue light hazard to light sources and luminaires” da parte del CEI, con la norma CEI 34-141, che finalmente porta in campo un metodo di determinazione del gruppo di rischio semplificato ed applicabile ad un ampissimo parco di LED utilizzati ad oggi.Citando testualmente il sommario: “Questo Rapporto Tecnico fornisce una guida per quanto riguarda la valutazione del rischio da luce blu di tutti i prodotti di illuminazione che emettono principalmente nello spettro del visibile (tra 380 nm e 780 nm). Attraverso calcoli di ottica e sullo spettro:– si mettono in evidenza le informazioni che le misure di sicurezza fotobiologica descritte nella IEC 62471 ci danno in merito alle caratteristiche del prodotto e se questo prodotto è da intendersi come componente di un prodotto di illuminazione ad un livello più alto;– come queste informazioni possono essere trasferite dal componente (per es. il LED package, il modulo LED, o la lampada) al prodotto di illuminazione di livello più alto (per esempio l’apparecchio di illuminazione). Fermo restando quindi tutte le considerazioni delle norma EN 62471 e relativo TR, sono state applicate una serie di semplificazioni dettate dalla pratica di laboratorio e dalle situazioni reali di installazioni ed utilizzo, per la determinazione della soglia tra gruppo di rischio 1 e 2, prendendo in considerazione le misure, spettrometriche e radiometriche, eseguite a 200 nm (nanometri) e 0,011 rad. t<100sec., con sorgenti diverse per spettro, temperatura colore e potenza di emissione.Le attività di laboratorio hanno evidenziato che per ogni distribuzione spettrale il rapporto tra le grandezze radiometriche e quelle fotometriche resta costante e quindi si può utilizzare un fattore di conversione KB,v , W/lm, correlabile ad una determinata temperatura di colore della sorgente Criteri di valutazione del rischio fotobiologico delle lampade per illuminazione generale
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ILLUMINAZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO, EMERGENZE E VALUTAZIONE DEI RISCHI
- ILLUMINAZIONE
- by Testo Unico Sicurezza staff
- 13.12.2022
Indicazioni Sull’illuminazione Di Sicurezza E Su Come Misurare E Valutare L’illuminazione Nei Luoghi Di Lavoro. I Requisiti Minimi Dell’illuminazione Di Sicurezza, Gli Strumenti E La Misurazione Dell’illuminamento E Della Luminanza. Riguardo ai requisiti dei luoghi di lavoro, l’allegato IV del D.Lgs. 81/2008 riporta precise indicazioni sull’illuminazione sussidiaria da impiegare in caso di necessità.Ad esempio si indica che i mezzi di illuminazione sussidiaria devono essere tenuti in posti noti al personale, conservati in costante efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità del loro impiego. E quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all’aperto in condizioni di oscurità non sia sicura ed agevole;quando l’abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la sicurezza delle persone o degli impianti;quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili, l’illuminazione sussidiaria deve essere fornita con mezzi di sicurezza atti ad entrare immediatamente in funzione in caso di necessità e a garantire una illuminazione sufficiente per intensità, durata, per numero e distribuzione delle sorgenti luminose, nei luoghi nei quali la mancanza di illuminazione costituirebbe pericolo. Se detti mezzi non sono costruiti in modo da entrare automaticamente in funzione, i dispositivi di accensione devono essere a facile portata di mano e le istruzioni sull’uso dei mezzi stessi devono essere rese manifeste al personale mediante appositi avvisi. Inoltrel’abbandono dei posti di lavoro e l’uscita all’aperto del personale deve, qualora sia necessario ai fini della sicurezza, essere disposto prima dell’esaurimento delle fonti della illuminazione sussidiaria. E laddove sia prestabilita la continuazione del lavoro anche in caso di mancanza dell’illuminazione artificiale normale, quella sussidiaria deve essere fornita da un impianto fisso atto a consentire la prosecuzione del lavoro in condizioni di sufficiente visibilità. Per parlare di illuminazione sussidiaria, di illuminazione di sicurezza riprendiamo a sfogliare gli atti dell’intervento “Illuminazione”, a cura dell’Ing. Maurizio Tancioni, che si è tenuto durante il seminario tecnico dal titolo “Criteri e strumenti per l’individuazione e l’analisi dei rischi”, organizzato dall’ Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre (Roma, 23 Maggio 2015). Attraverso le parole di Tancioni, nei mesi scorsi abbiamo potuto parlare di illuminazione naturale e artificiale degli ambienti di lavoro, dei vari parametri e del confort visivo.Tuttavia il suo intervento si è soffermato ampiamente anche sull’illuminazione di sicurezza e sulla valutazione dell’illuminazione nei luoghi di lavoro. Riguardo al primo tema l’intervento sottolinea che in “assenza dell’ illuminazione ordinaria, la visibilità degli spazi da percorrere e delle indicazioni segnaletiche deve essere comunque tale che le persone possano identificare in modo inequivocabile il percorso verso un luogo sicuro e localizzare ed utilizzare dispositivi di sicurezza, antincendio e pronto soccorso”.Il relatore si sofferma anche sui requisiti minimi:- altezza di installazione degli apparecchi illuminanti e direzione della luce: “un percorso per l’esodo deve avere un’altezza minima di 2 m e perciò, per rendere ben visibile l’intero spazio di mobilità. Gli apparecchi illuminanti pertanto vanno posti a non meno di tale altezza e preferibilmente a parete poiché, se installati a soffitto o a ridosso del soffitto, può esserne ridotta rapidamente la visibilità dal fumo in caso di incendio. È opportuno che il flusso luminoso sia diretto dall’alto verso il piano di calpestio”;- collocazione degli apparecchi illuminanti: “gli apparecchi d’illuminazione di sicurezza vano posti lungo le vie d’esodo ed almeno nei seguenti punti: ad ogni porta di uscita prevista per l’emergenza e su ogni uscita di sicurezza indicata; vicino ed immediatamente all’esterno dell’uscita che immette in un luogo sicuro; vicino (meno di 2 m in senso orizzontale) alle scale ed in modo che ogni rampa sia illuminata direttamente; in corrispondenza di ogni cambio di direzione; ad ogni intersezione di corridoi; in corrispondenza dei segnali di sicurezza; vicino (meno di 2 m in senso orizzontale) ad ogni punto di pronto soccorso (locale, cassetta di pronto soccorso, pacchetto di medicazione, punto di chiamata, ecc.)”;- livello di illuminamento delle vie d’esodo: “la normaUNI EN 1838:2000 definisce valori minimi misurati al suolo (fino a 20 mm dal suolo) e calcolati senza considerare il contributo luminoso della luce riflessa, per: vie d’esodo di larghezza fino a 2 m (l’illuminamento orizzontale al suolo lungo la linea centrale non deve essere minore di 1 lx; mentre nella fascia centrale di larghezza pari ad almeno la metà della via d’esodo, l’illuminamento deve essere non meno del 50% di quello presente lungo la linea centrale); vie d’esodo di larghezza superiore a 2 m (devono essere considerate come un insieme di vie d’esodo di 2 m e per ciascuna di esse vanno adottati i valori minimi sopraindicati)”;- livello di illuminamento di dispositivi e attrezzature di sicurezza, pronto soccorso e antincendio: “nel caso che attrezzature e dispositivi non siano posti lungo le vie d’esodo o in un’area dotata di illuminazione antipanico, il livello di illuminamento al suolo deve essere di almeno 5 lx (escluso apporto della luce riflessa)”;- autonomia di funzionamento: “il tempo minimo di funzionamento dell’illuminazione di sicurezza deve essere di almeno 1 ora. Autonomie per tempi superiori sono previste da disposizioni di legge per particolari attività (es. 2 ore per le strutture sanitarie pubbliche e private)”.Ricordiamo che il lux (lx) è l’unità di misura dell’illuminamento. Veniamo infine alla valutazione dell’illuminazione, rimandando i nostri lettori ad una lettura integrale delle slide dell’intervento che riportano diverse immagini e tabelle, anche in relazione agli strumenti di misura dei parametri dell’illuminazione: luminanzometri (per la luminanza) e luxmetri (per l’Illuminamento). In particolare la misurazione dell’illuminamento “deve essere condotta nella zona e nella posizione di lavoro effettivamente occupate durante lo svolgimento del compito visivo” e inoltre:- “la misurazione deve essere effettuata tenendo conto della normale posizione del lavoratore e della sua ombra e il sensore del luxmetro deve essere posto sul piano di lavoro potendo quindi assumere posizione orizzontale, verticale o inclinata tipologia dell’attività lavorativa effettivamente svolta;- posizionare lo strumento con la fotocellula rivolta verso la sorgente luminosa se questa agisce ortogonalmente al piano di misura, oppure, nel caso più generale, con la fotocellula parallela alla superficie di interesse;- analogamente si procede per le superfici verticali, avendo l’accortezza di posizionare lo strumento parallelamente al piano considerato ed in ogni caso di disporsi in modo tale per cui lo strumento non subisca l’influenza del corpo dell’operatore (ombra portata) e non riceva la luce con un angolo di incidenza eccessivo (luce radente);- dopo aver effettuato la lettura in un numero sufficiente di punti (maggiore è il numero di letture, più precise risultano le informazioni) riferendo la somma dei singoli valori al numero totale dei punti di misura, si ottiene il valore dell’illuminamento medio”.Ricordando tuttavia che se nell’ambiente “si prevedono fluttuazioni del livello d’illuminamento connesse all’illuminazione naturale si deve prevedere la misurazione dell’illuminamento del posto di lavoro in tempi differenziati in modo da caratterizzare compiutamente la situazione in esame”. Riguardo poi alla luminanza (quantità di luce che una superficie illuminata riflette verso l’occhio dell’osservatore che sta guardando in quella direzione), l’intervento indica che:- “il rilievo dei valori di luminanza deve essere effettuato nelle condizioni di lavoro e nelle posizioni di lavoro effettive;- il misuratore di luminanza deve essere posizionato al livello degli occhi del lavoratore e direzionato verso la sorgente di luce, verso la luce riflessa o verso la superficie di cui si vuole misurare la luminanza;- la presenza di riflessi fastidiosi deve essere rilevata mediante specifiche misurazioni di luminanza;- nel caso di spazi di lavoro occupati di giorno e di notte si deve procedere a misurazioni di luminanza in entrambe le condizioni”. Per concludere l’articolo riportiamo infine alcune possibili misure di sicurezza tecniche - organizzative, relative all’adozione di correttivi previsti da norme di legge o di buona tecnica, quali:- “corretto posizionamento delle postazioni di lavoro rispetto alle fonti di illuminazione;- adeguamento dell’intensità e delle caratteristiche della illuminazione alle esigenze connesse al tipo di lavorazione/attività espletata;- correzione dell’incidenza diretta o riflessa del flusso luminoso adottando schermature, tendaggi e veneziane preferibilmente a lamelle orizzontali;- contrasti adeguati (un oggetto sarà più o meno facilmente visibile a seconda del contrasto dello stesso al fondo);- cura costante nella manutenzione e nella pulizia, soprattutto per le superfici vetrate o illuminanti”.a cura dell’Ing. Maurizio Tancioni da fonte puntosicuro SLIDE POWERPOINT: “ Illuminazione”, a cura dell’Ing. Maurizio Tancioni, intervento al seminario “Criteri e strumenti per l’individuazione e l’analisi dei rischi” (formato PPT, 4.70 MB).
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CORRETTA ILLUMINAZIONE DEI LUOGHI DI LAVORO INTERNI ED ESTERNI.
- ILLUMINAZIONE
- by Testo Unico Sicurezza staff
- 11.12.2022
La Guida Alla Norma UNI EN 12464-2 Per Una Corretta Illuminazione Dei Luoghi Di Lavoro In Esterno E La Guida Alla UNI EN 12464-1:2011 Per La Verifica Dei Parametri Illuminotecnici Per L’illuminazione Dei Luoghi Di Lavoro In Interno. Illuminare i luoghi di lavoro in esterno: la norma UNI EN 12464-2Si è soliti parlare di illuminazione di uffici, scuole o industrie, chiedendosi come questi spazi possano essere illuminati per migliorare la capacità produttiva e tutelare le condizioni psico-fisiche dei lavoratori.Ma non si lavora solo in spazi chiusi e gli stessi requisiti che devono soddisfare l’illuminazione di un ufficio o un os- pedale vengono anche richiesti per l’illuminazione di luoghi di lavoro in esterno come aree di carico e scarico, aree di parcheggio, cantieri navali o zone ferroviarie.Quindi per permettere alle persone uno svolgimento efficace ed accurato dei compiti visivi all’aperto, specialmente durante la notte, è necessario fornire un'illuminazione adeguata e appropriata garantendo un grado di visibilità e comfort regolato dalla durata e dal tipo di attività svolta.La normativa EN 12464 “Light and Lighting – Lighting of workplace” (Luce e illuminazione: Illuminazione dei posti di lavoro) è appunto composta dalle seguenti parti:- Parte 1: Indoor work places (Posti di lavoro in interno)- Parte 2: Outdoor work place (Posti di lavoro in esterno) La verifica dei parametri illuminotecnici per l’illuminazione dei luoghi di lavoro in interno: UNI EN 12464-1:2011L’obiettivo di un progetto illuminotecnico è offrire una condizione di comfort da poter svolgere al meglio le attività che siamo chiamati a compiere in un determinato luogo.La progettazione d’illuminazione nei luoghi di lavoro è forse uno degli ambiti più difficili da sviluppare, perché ad esso è legato non solamente il mantenimento della capacità produttiva, ma anche la garanzia che le condizioni psico-fisiche dei lavoratori vengano tutelate, così da rendere l’ambiente lavorativo un luogo più confortevole e sicuro.Fonte:Voltimum SCARICA IL QUADERNO TECNICO VOL1 DVR ELETTRICISTI, ANTENNISTI E FOTOVOLTAICO
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