Responsabilità del Coordinatore per l’Esecuzione (CSE) per difetto di coordinamento.

RESPONSABILITA' PENALE COORDINATORE ALLA SICUREZZA PER MANCATO COORDINAMENTO.


Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è responsabile, unitamente al datore di lavoro dell’impresa appaltatrice, dell’infortunio occorso ad un dipendente di quest’ultimo, quando ometta di svolgere quell’azione di coordinamento derivante dal suo ruolo e necessaria in ipotesi di compresenza di più soggetti operanti nel medesimo cantiere; nondimeno, deve escludersi qualsiasi legittimo affidamento del datore di lavoro sul comportamento del lavoratore, non essendo ravvisabile una situazione di abnormità nel comportamento di quest’ultimo, in quanto chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui.
Interessante decisione della Cassazione sul delicato tema dei rapporti intercorrenti tra i diversi soggetti gravati di obblighi di protezione dell’incolumità degli operai operanti su un medesimo cantiere.

I Supremi Giudici, chiamati ad affrontare l’ennesimo caso di infortunio mortale sul lavoro dovuto a inescusabile trascuratezza del coordinatore per l’esecuzione e del datore di lavoro della vittima, sottolineano con particolare vigore l’esistenza dell’inderogabile obbligo di coordinamento gravante sul coordinatore per l’esecuzione, cui spetta, anche in base alla nuova disciplina attuativa della “direttiva cantieri”, un ruolo di centrale importanza a tutela dell’altrui incolumità sul luogo di lavoro in caso di compresenza di più lavoratori dipendenti da imprese diverse.


Il caso

In particolare, la vicenda in questione traeva origine da un incidente sul lavoro verificatosi all’interno di uno stabilimento industriale di cui era titolare una società a responsabilità limitata; quest’ultima, dopo aver nominato un coordinatore per l’esecuzione dei lavori, aveva commissionato ad una ditta esterna, della quale l’operaio successivamente deceduto era dipendente, l’esecuzione di alcuni lavori “in quota” riguardanti il rifacimento della copertura di un capannone.

L’operaio della ditta esecutrice era quindi salito sul tetto, la cui copertura era costituita in parte da pannelli in vetroresina traslucidi non calpestabili, senza alcun mezzo di protezione né individuale (in particolare, cinture di sicurezza con bretelle collegate a dispositivi di trattenuta) né collettiva (ad esempio, la predisposizione di reti di protezione in corrispondenza delle lastre traslucide), nonostante dovesse eseguire la dismissione della preesistente copertura grecata dal capannone e predisporla per il successivo montaggio di nuovi tegoli.

Purtroppo, però, nel poggiare il proprio peso su uno dei pannelli in vetroresina, ne provocava lo sfondamento precipitando al suolo da un’altezza di circa 10 metri, riportando un trauma cranio – encefalico ed un trauma toracico che ne avevano determinato la morte. Il giudizio di merito aveva confermato, sia in primo grado che in appello, la responsabilità penale del coordinatore per l’esecuzione nominato dalla committenza (il quale, peraltro, rivestiva anche la veste di responsabile dei lavori e di coordinatore per la progettazione), sia del datore di lavoro dell’operaio infortunatosi.

Quanto al primo, era infatti emerso che prima dell’inizio dei lavori si era svolta una riunione tecnica di coordinamento, cui aveva partecipato anche il coordinatore, nella quale si era stabilito che la ditta esecutrice dei lavori avrebbe dovuto prestare ad altra ditta terza, che si occupava della fornitura e del montaggio delle opere prefabbricate “assistenza edile a 360°”, con particolare riferimento alla rimozione della scossalina che ricopriva il tetto del vecchio capannone; inoltre, il P.O.S. della ditta esecutrice prevedeva chiaramente la predisposizione dei dispositivi di protezione individuali e collettivi contro il rischio di caduta dell’alto, che invece non erano stati impiegati nel caso in esame. Inoltre, la ditta fornitrice, aveva comunicato alla ditta committente che il capannone presentava dei lucernai “a raso”, ottenuti mediante distanziamento dei tegoli, non calpestabili, consigliando di collocare una rete anticaduta sotto le lastre traslucide, sotto le quali non era alcuna struttura, al fine di evitare “spiacevoli eventi”.

Era dunque del tutto pacifico che il coordinatore per l’esecuzione, pur consapevole dei rischi d caduta dall’altro, aveva totalmente omesso di adottare dispositivi di protezione né aveva tenuto conto delle indicazioni provenienti dalla ditta fornitrice dei pannelli per scongiurare il pericolo di sfondamento.

Non poteva, del resto, attribuirsi alcuna efficacia esimente alla presunta inesistenza di un obbligo di presenza costante in cantiere, in quanto gravava sul coordinatore il dovere di svolgere opportune azioni di coordinamento e controllo per verificare il rispetto e l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento nonché la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, obblighi connessi all’effettivo svolgimento della funzione di coordinatore per l’esecuzione.

Quanto, infine, alla responsabilità del datore di lavoro dell’operaio deceduto, risulta dal p.o.s. redatto dalla ditta di cui egli era titolare, che era stata prevista la possibilità di caduta dall’alto, prescrivendosi l’adozione di dispositivi anticaduta, risultati assenti nel cantiere. Il datore di lavoro, quindi, aveva omesso di adottare le misure di sicurezza necessarie per scongiurare l’infortunio sul lavoro poi verificatosi.

I Ricorsi

Il giudizio di condanna veniva contestato dalle difese dei due imputati. Quanto al coordinatore, si eccepiva la violazione delle norme riguardanti i compiti di quest’ultimo, non spettando, a detta della difesa, un’azione di controllo nell’applicazione del p.o.s. predisposto dalla ditta esecutrice; in altri termini, solo la ditta appaltatrice sarebbe stata titolare del potere gerarchico nei confronti dei lavoratori impegnati sul cantiere con correlativo obbligo di individuazione dei rischi e di prevenzione degli stessi, laddove al coordinatore sarebbe spettato solo il compito di verificare il rispetto delle regola dettate dal p.s.c., senza obbligo di continua e giornaliera presenza in cantiere. In ogni caso, poi, sosteneva la difesa, vi sarebbe stata una condotta “abnorme” del lavoratore, il quale sarebbe salito negligentemente sul capannone senza d.p.i., dopo aver lasciato il cestello elevatore utilizzato per posizionarsi all’altezza della copertura del capannone.

Quanto, invece, alla posizione del datore di lavoro, le eccezioni difensive erano fondate su censure in fatto, in quanto tali sostanzialmente inammissibili.



La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare entrambi i ricorsi, ha enucleato alcuni importanti principi di diritto di cui opera una coerente e lucida applicazione nel caso in esame.

Anzitutto, quanto al compito del coordinatore per l’esecuzione, ben osservano gli ermellini – in linea del resto alla giurisprudenza di legittimità formatasi sotto la vigenza dell’abrogato D.Lgs. n. 494 del 1996, attuativo della cosiddetta direttiva cantieri – che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori e’ titolare di una autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal Titolo IV del nuovo T.U.S., si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (v., sul punto: Cass. Pen., Sez. IV, n. 38002 del 3 ottobre 2008, A., in Ced Cass. 241217). Del resto, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori non e’ assegnato esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori (così, ad esempio: Cass. Pen., Sez. IV, n. 27442 del 4 luglio 2008, G., in Ced Cass. 240961).

Ne discende, quindi, come sia stata corretta l’applicazione al caso di specie dei principi affermati già da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, posto che la figura del coordinatore per l’esecuzione (al pari di quella del coordinatore per la progettazione, nel caso in esame, coincidenti nella stessa persona) è titolare di una posizione di garanzia che non si sovrappone a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affianca per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Cass. Pen., sez. IV, n. 18472 dell’8 maggio 2008, B., in Ced Cass. 240393).

E’, quindi, mancata nella vicenda processuale in esame – in base agli elementi emersi – quella concreta e puntuale azione di controllo, che competeva allo stesso in qualità di coordinatore per esecuzione, la cui omissione ha comportato la sua responsabilità in ordine all’infortunio mortale verificatosi. Quanto, poi, alla responsabilità del datore di lavoro dell’operaio deceduto, alla stregua delle prove assunte, è evidente il suo coinvolgimento, anche causale, nell’infortunio mortale.

Egli, quale datore di lavoro, era pienamente consapevole della necessità, per l’esecuzione dei lavori, che i dipendenti dovessero utilizzare idonei dispositivi anticaduta, del resto indicati dallo stesso piano operativo di sicurezza da lui stesso elaborato.

Questi, del resto, non poteva invocare l’affidamento sull’osservanza da parte dell’operaio delle direttive impartite, in quanto nemmeno l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori non è invocabile, non solo per l’illiceità della condotta omissiva datoriale, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l’evento, imputabile a colpa altrui, quando si è, come nel caso concreto, nella possibilità in concreto di evitarlo.

Del resto, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro e’ esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (Cass. Pen., sez. IV, n. 21587 del 1 giugno 2007, P., in Ced Cass. 236721).

E, nel caso in esame, non poteva considerarsi abnorme il comportamento del lavoratore di lasciare il cestello elevatore utilizzato per posizionarsi all’altezza della copertura del capannone, salendo sul tetto ed iniziando a camminarvi sopra, attesa comunque la mancanza dei dispositivi anticaduta.

(Cassazione penale Sentenza, Sez. IV, 18/01/2011, n. 1225)
Fonte: IPSOA.IT
Autore: Alessio Scarcella

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